Lo scorso 29 Dicembre, con un colpo di coda in extremis, sono uscite le nuove linee guida del BJCP, edizione 2021. Già oggi, a distanza di un paio di giorni, possono essere considerate “vecchie”, visto che siamo nel 2022. Scherzi a parte, come ogni nuova release richiede, proviamo a vedere quali sono le novità, se ce ne sono di rilevanti e se è stato fatto qualche passo avanti (o qualcuno indietro).

Lascio qui i link ai documenti analizzati:

Per chi non conoscesse il BJCP, rimando agli articoli del blog nella sezione BJCP.

Modifiche sostanziali

Partiamo da quelli che sono gli aggiornamenti più evidenti e, per certi versi, anche più significativi. Come vedremo, alcuni si presentano meglio, altri sono a mio avviso piuttosto discutibili. Ma andiamo con ordine.

Stili provisional

Dato che gli aggiornamenti delle linee guida BJCP si concretizzano a intervalli di tempo piuttosto lunghi (in genere più di 5 anni), l’organizzazione, nel lasso di tempo che passa tra un aggiornamento e l’altro, rilascia una serie di stili detti “provisional”. A ciascuno di questi stili viene associato un codice numerico che li identifica nell’ambito dell’ultima versione del BJCP, nella categoria che dovrebbe essere quella di appartenenza. Questi stili vengono descritti nel dettaglio e “seguiti” per gli anni successivi, valutando quanto frequentemente si presentano nei concorsi per homebrewing (non quanto siano in se’ popolari o quanti birrifici li producano). Se si conferma una discreta popolarità, vengono inseriti nella successiva edizione del BJCP.

Gli stili provisional in ballo per questa edizione del BJCP erano 4 (i dettagli sono sul sito BJCP):

  • 17A > British Strong Ale > Burton Ale
  • 21B > Specialty IPA > New England IPA
  • X4 > Local Styles > Catharina Sour
  • X5 > Local Styles > New Zealand Pilsner

Che fine hanno fatto? Vediamo.

Le Burton Ale sono state cassate: evidentemente non hanno riscosso molta popolarità, anche perché possono facilmente rientrare nelle British Strong Ale. Ricordo ne fece una Birrificio dell’Eremo qui in Italia, ma non ho avuto occasione di assaggiarla. A ogni modo: non credo ci mancherà particolarmente come stile.

Le New England IPA invece ce l’hanno fatta. A ragion veduta, devo dire: mi è capitato di valutarne diverse nei concorsi hb in questi anni, oltre a vederne prodotte a quintalate dai birrifici craft di tutto il mondo. Tuttavia non sono entrate nel BJCP come variazione delle IPA, ovvero nella categoria “Specialty IPA” 17A, ma come stile a parte, di pari livello rispetto alle APA e alle IPA. Hanno anche cambiato nome, togliendo la paternità del New England dal nome e chiamandole semplicemente Hazy IPA (non mi risulta nessuno nel New England si sia offeso, ma potrei non essermene accorto). Ora le troviamo nella categoria 21C.

Catharina Sour e New Zealand Pilsner sono entrate negli stili locali (dove troviamo ancora le Italian Grape Ale). Di Catharina sour mi è capitato di assaggiarne nei concorsi hb, di New Zeland Pilsner no. A suo tempo si provò a far inserire tra gli stili locali anche le Italian Pilsner, con scarso successo (qui la storia raccontata su Fermento Birra da Simonmattia Riva).

Per chiudere il paragrafo sui Local Styles, una nota molto importante a mio avviso. Mentre nella precedente edizione del BJCP l’introduzione ai Local Styles diceva espressamente che “the [local] guidelines were written by local members and were not validated by the BJCP“, nella nuova edizione la risonanza data a questo paragrafo è diversa. L’introduzione infatti ora recita “Those local styles are part of the Styles Guidelines […] The BJCP has reviewed, edited and verified the styles descriptions which may be used by anyone, not just as an appellation in the local area“. Sottigliezze, ma nemmeno troppo.

Nuovi stili

Non sono entrati nel BJCP 2021 solamente gli stili che prima erano provisional, qualche altra sorpresa si è palesata tra le nuove linee guida.

Arrivano le Brut IPA, ovvero le IPA secche e luppolate che ricordano una sorta di spumante di luppolo. C’è stato un periodo in cui sono state di moda tra gli homebrewer anche qui in Italia, ma la moda è passata velocemente. In America sono state prodotte da qualche birrificio (anche in Italia, credo), ma a differenza delle Hazy IPA, non hanno suscitato un grande interesse né sul mercato, né tra gli homebrewer. La American Homebrewers Association aveva anche buttato giù una sorta di linea guida dello stile, che trovate qui. Sono entrate nel BJCP come sottocategoria delle Specialty IPA (21B), insieme alle Rye IPA, le Black IPA e via dicendo. Il bello è che nel paragrafo “History” della descrizione delle Brut IPA il BJCP stesso le definisce “a dying style“. Mi chiedo che senso abbia a questo punto averle messe dentro un documento che verrà aggiornato, se tutto va bene, tra altri 5-6 anni. Perché non inserire invece le Session IPA, per dirne una? Mistero.

Sono apparsi poi alcuni stili “tecnici” nell’ultima parte del documento, quello dedicato alle birre wild, acide o con spezie. Sono stili che servono più che altro a riempire buchi che altrimenti avrebbero richiesto voli pindarici per iscrivere birre particolari a un concorso. Troviamo così l’ingresso delle Straight Sour Beer nelle American Wild Ale (28D), che sono una sorta di birre Berliner Weisse “imperial” visto che sono acide, senza Brett e possono arrivare anche a gradazioni di 7% ABV.  Tra le Spiced Beer sono comparse le Specialty Spice Beer (30D), categoria dove iscrivere birre con erbe e ortaggi vari con ingredienti aggiuntivi (zuccheri vari, lattosio e altri) o con passaggi in botte invasivi nel profilo organolettico.

Il caso dell’anno: le Italian Grape Ale (IGA)

Non so quanti di voi si sono appassionati alla diatriba degli ultimi mesi, Italia vs BJCP, sulle Italian Grape Ale. Apparse come stile locale X3 (non validato, ricordiamolo) nelle linee guida del 2015, le troviamo quest’anno ancora tra gli stili locali, più o meno invariate nella descrizione. Tra gli addetti ai lavori è girata nel 2020 una voce insistente che le voleva private dell’aggettivo “Italian” nella nuova versione, il che ha suscitato gran clamore in Italia. Senza entrare nel merito di quanto accaduto ed evitando di dare giudizi sui toni pomposi e talvolta drammatici che hanno accompagnato la diatriba, vediamo invece quale è il risultato effettivo.

Come già detto, nelle nuove linee guida sono rimaste le IGA tra gli stili locali (sempre con codice X3), ma è comparso un nuovo stile, le Grape Ale, nella categoria delle birre con frutta (Fruit Beer, sottostile 29D). Via l’aggettivo Italian quindi, che invece rimane nello stile locale.

Ha senso questa distinzione? Sinceramente non lo so, ma forse no. Anche perché, leggendo bene le descrizioni di entrambe (X3 Italian Grape Ale e 29D Grape Ale) non si capisce quando uno dovrebbe usare l’una o l’altra. Pensavo inizialmente che l’origine geografica del vitigno potesse essere un discriminante, ma no. Un pasticcio, insomma, come scrive anche Andrea Turco su Cronache di Birra. Non una novità, del resto: chi segue e legge il BJCP sa che pasticci del genere ce ne sono diversi anche già dalle precedenti edizioni. Speriamo vengano corretti in futuro, ma per ora non trovo la gestione di questo stile particolarmente azzeccata. Al di là del patriottismo, trovo le linee guida confusionarie sulle Grape Ale anche come giudice. Non per questo se ne produrranno meno nel mondo, e non so se sia un bene o un male. Vedremo.

Modifiche minori

Anche semplicemente scorrendo l’indice, si possono notare delle modifiche minori ma comunque importanti.

Spostate le Keller tra gli stili storici

Premetto che trovo estrema difficoltà a definire Keller uno stile. Ho apprezzato lo sforzo che il BJCP ha fatto nel 2015 inserendole nelle linee guida, anche se posizionarle nella categoria “Amber Bitter European Beer” era già un salto logico non da poco. Lo dico sempre da giudice, al di là della teoria pura: quando mi è capitata davanti una birra hb iscritta come keller, ho avuto grandi difficoltà a giudicarla. Finivo quasi per andare alla ricerca dei famosi “difetti da birra giovane”, cosa che di per se’ non ha senso. Mi verrebbe da dire che “kellerbier” è più una filosofia di vita, di bancone, una modalità di produzione e servizio piuttosto che uno stile. Un concetto non lontano dalle Real Ale inglesi. Non riesco a concepirle come uno stile, specialmente se presentate in bottiglia in un concorso per homebrewer. Leggendo questo articolo di Andrea Camaschella su Fermento Birra, si intuisce come sia difficile classificare le Keller come uno stile.

Nelle nuove linee guida il BJCP ha pensato bene di spostare quindi le Keller tra gli stili storici, accanto a birre come Lichtenhainer, Grodziskie, Pre-Prohibition Porter.  Ma non solo: ne ha ridotto pesantemente la descrizione, togliendo oltretutto qualsiasi riferimento ai famosi “difetti” da birra giovane. Il consiglio è di valutarle come “Specialty Type Beers”, il che significa lasciare ampio margine all’interpretazione, valutando di fatto il bilanciamento complessivo senza altri particolari riferimenti se non al fatto che la birra sia “giovane”. Capisco la difficoltà nel descriverle, ma messe così le descrizioni a mio avviso sono di scarsissimo aiuto per il giudice. Lo erano anche prima, per carità, diciamo che non c’è stato miglioramento.

Le Gose entrano tra gli stili standard

Finalmente una variazione che ha il suo perché: le Gose passano dagli stili storici della precedente versione alla categoria ufficiale delle European Sour Ale (23) insieme alle Berliner Weisse, ai Lambic e via dicendo. Ci sta, assolutamente, vista la popolarità che questo stile ha guadagnato negli ultimi anni. Sia nei concorsi hb che nel mercato craft. Ben fatto (ogni tanto ne azzeccano una).

Modifiche sparse

Chiudiamo con alcune differenze che mi sono balzate all’occhio rileggendo le linee guida (molte altre mi saranno sicuramente sfuggite). Le elenco in ordine sparso:

  • Le Trappist Ale (categoria che include, tra le altre, Dubbel e Tripel) diventano Monastic Ale. Ce ne era bisogno? Bah, sinceramente anche no.
  • Le Trappist Single (26A, ovvero le Patersbier o Enkel) diventano Belgian Single. Come coerenza con Belgian Dubbel e Belgian Tripel può anche starci.
  • Nel complesso è stato fatto uno sforzo per allungare le sezioni di comparazione tra gli stili (Style Comparison). Molto bene, trovo questa sezione utilissima come giudice.
  • Non si fa più esplicito riferimento al DMS come difetto tollerato in alcuni stili. Si sottende (è scritto nell’introduzione) che le basse fermentazioni prodotte con grandi quantità di malto pilsner possano presentare sempre questo difetto in piccolissime dosi, purché non rovini il profilo organolettico. Ci sta, alla fine. Stesso discorso sugli spunti sulfurei: in piccole dosi a volte si trovano nelle basse, se non compromettono l’aroma la birra non viene penalizzata.
  • Elemento curioso: nelle birre scure prima veniva specificato che gli aromi fruttati di dattero, prugna e simili venivano dal malto. Questo dettaglio sull’origine di questi aromi è stato tolto, vengono semplicemente elencati come aromi fruttati o esteri (che poi tecnicamente spesso non sono esteri). Ci sta, alla fine poco importa da dove vengono: al giudice importa se ci devono o possono stare.
  • È stata estesa l’introduzione alle Scottish Ale, di cui viene spiegata meglio l’origine e l’attuale diffusione. Interessante.

Per chiudere

Al di là della polemica sulle Italian Grape Ale, non è che sia variato granché in questa nuova edizione delle linee guida. Senza dubbio è stato fatto un faticoso lavoro di rilettura delle singole descrizioni, spesso modificate per renderle più chiare e leggibili, ma grandi evoluzioni non ne ho viste.

Poteva essere l’occasione per mettere a posto alcune piccole o grandi incongruenze (dove sono le Brown Porter, perché le avete tolte? Perché le Imperial Stout sono American?), ma poco si è fatto in questa direzione a mio avviso.

Sono giudice BJCP, ho continuato e continuerò a studiare le linee guida per sostenere il prossimo esame, le trovo davvero utili e interessanti. Un immenso lavoro, probabilmente unico, che è andato ben oltre il suo scopo iniziale di guida per i giudici dei concorsi per homebrewer. Tuttavia ho l’impressione che il BJCP perda ogni volta occasione per rinnovarsi, per evolversi, per integrarsi meglio a livello mondiale. Rimane a mio avviso un’organizzazione un po’ chiusa, spesso arroccata sulle proprie posizioni, poco aperta al dialogo (e non solo sul tema linee guida). Tuttavia, se non ci fosse il BJCP sarebbe molto più difficile studiare e conoscere gli stili, e anche meno divertente fare il giudice ai concorsi. Speriamo nel futuro, c’è sempre spazio per migliorare.

3 COMMENTS

  1. Buonasera Frank e grazie per aver eviscerato queste nuove linee BJCP. Concordo con la tua disamina e , da neofita , alcune volte anche io mi sono trovato a chiedermi perché alcuni stili si trovino collocati “così”. Volevo farti un paio di domande: cosa intendi quando dici che il BJCP rimane arroccato sulle proprie posizioni non solo per le linee guida? Quale altro esame ti appresti a sostenere? Si trovano già tradotte in Italiano? Tnx , Rino

    • Ci sono tante cose che sono un po’ “lente” nell’organizzazione del BJCP. Lente e poco aperte alle collaborazioni. Impiegano mesi a correggere i tasting exam (il primo esame), quando molte persone si sono offerte di dare supporto ma non sono mai state accetate, a causa di un regolamento che a sensazione di molti è estremamente rigido. Stessa cosa per le modalità di esame, che spesso rallentano tantissimo tutto per via di regole esageratmente severe che rendono difficilissimo organizzare esami, specialmente fuori dall’America. Lo stesso written exam (quello che dovrò fare io, maggiori dettagli li trovi sul post che ti linko nel seguito) andrebbe rivisto, così com’è è inutilmente complicato e si basa soprattutto su memoria e velocità di scrittura a mano, abilità che poco hanno a che fare con il BJCP e con la birra in generale. Insomma, ci sarebbe molto da rivedere, ma si va a rilento.

      https://brewingbad.com/2019/04/ho-livellato-bjcp/

  2. Ciao Frank, volevo chiederti se conosci la formula per determinare il potenziale SG (non OG) del mosto d’uva per poterlo poi inserire nella ricetta su Brewfather. Perché nella lista dei fermentabili l’uva non c’e’. Grazie mille

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