Noi homebrewer abbiamo tante fobie e fissazioni. Alcune sono comuni, altre sono riconducibili a tipologie specifiche di produttori casalinghi: quelli fissati con l’ossidazione, quelli con la fobia dell’autolisi, quelli che se lasci un minuto di più la birra a contatto con il luppolo diventa astringente e via discorrendo.

In qualche caso felice, queste fissazioni vengono superate con il tempo, spesso per essere rimpiazzate, ahimè, da nuove e più feroci ossessioni (alzi la mano chi non l’ha sperimentato di persona). In qualche caso hanno un fondamento pratico, ma molti approcci sono diventati prassi comune per condizioni particolari che ad oggi non sono più attuali. Si è sempre fatto così, continuiamo a fare così.

Per mia indole personale mi sono sempre fatto tante domande, non di rado mi sono dato delle risposte. Spesso pure sbagliate, ci mancherebbe. Le convinzioni cambiano. In alcuni casi sono rimasto della mia posizione, in altri ho cambiato radicalmente idea con il passare del tempo, studiando e sperimentando, arrivando anche a tonare sui miei passi.

Oggi provo a sviscerare tre “fissazioni” che noto spesso nei produttori casalinghi e che mi trovo frequentemente a dover gestire anche in me stesso, quando le cose non vanno nel verso giusto nonostante le mille attenzioni che ogni volta dedico al processo di produzione.

Travasi e spurgo del lievito

Che si chiami spurgo del lievito o travaso della birra, il risultato che si vuole ottenere con questa pratica è sempre il medesimo: allontanare il più presto possibile le cellule di lievito dalla birra, senza compromettere la fermentazione. Le motivazioni alla base di questa esigenza, che facilmente può trasformarsi in ossessione, si possono ricondurre a due principali obiettivi: rendere la birra limpida ed evitare l’autolisi delle cellule.

A leggerli così possono sembrare obiettivi ragionevolmente condivisibili. Peccato che entrambe le condizioni – birra torbida e saporacci da autolisi – sono raramente risolvibili con uno spurgo o un travaso. Anzi, mi sentirei di affermare con estrema tranquillità che, almeno a livello casalingo, il collegamento tra spurgo (o travaso) e limpidezza finale della birra sia quantomeno flebile; quello con l’autolisi delle cellule di lievito, poi, totalmente inesistente. Vado ad articolare.

La torbidità, nella birra, è provocata dall’interazione tra una molteplicità di fattori, ricondurla al solo lievito in sospensione è una semplificazione estrema. Togliere il lievito dal fondo del fermentatore (o spostare la birra) a fine fermentazione non è quasi mai la soluzione al problema. Del resto è anche intuitivo: perché mai togliere il lievito dal fondo del fermentatore dovrebbe rendere la birra più limpida? Se sta sul fondo, rimane sul fondo. Se deve continuare a precipitare sul fondo, continua a precipitare sul fondo anche se ce ne è già, di lievito, sul fondo. Toglierlo non cambia la quantità di cellule che rimangono in sospensione. La loro concentrazione dipende dalla capacità di flocculazione del lievito e dal tempo che si dà alle cellule per arrivare sul fondo del fermentatore. Fermentatori bassi e freddo aiutano a ridurre il tempo di deposito, togliere il lievito dal fondo no.

La rimozione del fondo può aiutare a ridurre l’altezza della torta di lievito sul fondo del fermentatore, in prossimità del rubinetto che si utilizza per passare la birra in fusto o in bottiglia. Questo sì, può succedere. Il problema si può tuttavia risolvere facilmente pescando dall’alto tramite sifone o con un tubo a cui si applica una sfera inox galleggiante. Ma se anche pescassimo dal rubinetto sul fondo del fermentatore, entrerebbe un po’ di lievito solamente nelle prime bottiglie, senza che necessariamente si intorbidisca l’intero batch. Se stiamo travasando in fusto, avremo un po’ di fondo che verrà via con le prime pinte spillate, le altre saranno salve.

Per quanto concerne l’autolisi, be’, credo di averne parlato a sufficienza in questo post. Si tratta di un difetto che non ho mai riscontrato in birre fatte in casa, nemmeno in quelle meno riuscite. Mi è capitato di avvertirla in birre molto invecchiate, ma parliamo di Barley Wine d’annata, con 10-15 anni sulle spalle. Per indurre livelli di autolisi tali da essere percepibili all’assaggio bisogna davvero impegnarsi: usare lievito stravecchio, usarne tanto, tenere la birra al caldo per mesi. Nel classico processo produttivo con al massimo 15-20 giorni di fermentazione e 10-15 di abbattimento al freddo, non si genera alcuna autolisi. Probabilmente nemmeno in un periodo di permanenza maggiore, ma uno spostamento della birra se si pianifica di lasciarla più di un 30-40 giorni nel fermentatore può anche starci. Ma farlo prima, ha davvero poco senso.

Dice eh, ma i birrifici lo fanno! Lo so, è vero. Lo fanno, lo fanno. Ma non ha alcun senso confrontare una produzione casalinga da 20, 30 o anche 50 litri con quella di un birrificio. Le dinamiche sono diverse, tra cui – da non sottovalutare – il fatto che spurgare da un fermentatore troncoconico di 1000 o più litri è molto più efficace piuttosto che spurgare da uno di 20 litri.

L’unico scenario casalingo in cui può aver senso togliere una parte del lievito prima del tempo è quando si fa dry hopping: le cellule tendono a “incollarsi” agli oli del luppolo portandoli sul fondo, specialmente se si rimette in ricircolo il luppolo (ad esempio tramite bubbling di CO2) per rendere più efficace il dry hopping. Tuttavia, sempre per le osservazioni di cui sopra sui volumi, a livello casalingo le dinamiche sono diverse dal birrificio e probabilmente fare bubbling ha poca efficacia di per se’.

E se la birra prendesse poi sapore di lievito? No, no e no. Ho già detto no? (qui lo spiegone).

La ricerca ossessiva dell’attenuazione

Sarà probabilmente perché l’attenuazione è l’unico parametro fermentativo facilmente misurabile in casa, ma a volte sembra che non si parli d’altro. Quanto ti ha attenuato? Dove sei arrivato? 76%? Mi pare poco. A me attenua al 99%. Ce l’ho fatta, sono arrivato al 101%!

Fermi. Non è una gara. Ma per niente, proprio.

Se da un lato è vero che una scarsa attenuazione può essere il primo campanello d’allarme di una fermentazione bloccata, o comunque non condotta al meglio, dall’altro bisogna intendersi su cosa significhi ottenere una “scarsa” attenuazione.

I range “ragionevoli” di attenuazione possono andare dal 65-70% fino al 100-110%. Qualsiasi valore in questo range può rappresentare una buona attenuazione, dipende ovviamente dal lievito che abbiamo utilizzato, dagli ingredienti, dal profilo di ammostamento e da quello che ci aspettiamo dalla nostra ricetta. Puntare alla massima attenuazione possibile, sempre e in ogni caso, non è necessariamente l’approccio migliore per progettare una ricetta. Risultato che si può, tra l’altro, raggiungere agevolmente aggiungendo zuccheri semplici in ricetta, come si fa tipicamente nelle birre belghe. Ma in quel caso la secchezza è un aspetto molto importante, per altri stili non è detto sia così.

Occorre poi sempre considerare il bilanciamento complessivo della birra, senza dimenticare che alla percezione della “consistenza” della birra sul palato, specialmente sul finale della corsa gustativa, contribuiscono altri elementi oltre agli zuccheri residui, come proteine, tannini, livello di amaro, frizzantezza, beta-glucani, alcol. Quello che dobbiamo gestire quando creiamo la ricetta è l’equilibrio tra tutte queste componenti, piuttosto che l’attenuazione in se’. Purtroppo, nessuno degli altri elementi che contribuiscono alla secchezza o pienezza della birra è quantitativamente misurabile in casa, quindi ci si aggrappa spesso all’unico parametro rilevabile: l’attenuazione. E qui scatta la gara a chi “fermenta meglio”, arrivando a un’attenuazione maggiore.

Altro elemento che genera ansia sono le previsioni che i software di ricetta elaborano per la FG, la Final Gravity o densità finale. Dipendendo questa da innumerevoli fattori, non è semplice da stimare. In genere, a parte qualche eccezione, i software non ci prendono. La FG, e quindi di conseguenza l’attenuazione che otterremo dalla nostra fermentazione, è spesso e volentieri diversa da quella prevista dal software. E allora? Come facciamo a prevederla? Niente, non lo facciamo.

Consideriamola una stima, poi basiamoci sull’esperienza. Guardiamo le schede di birre che abbiamo già fermentato con quel lievito, ragioniamo, misuriamo e vediamo quando si stabilizza nel corso della fermentazione. Due-tre punti in meno o in più non cambieranno sensibilmente la birra, possiamo stare tranquilli. Ragioniamo sempre sul risultato complessivo, sul bilanciamento, assaggiamo e non limitiamoci a valutare la riuscita della fermentazione unicamente su un valore numerico solo perché è l’unico che riusciamo a misurare.

La prossima volta che qualcuno posta la foto di una birra autoprodotta con un certo lievito, non chiedete “quale attenuazione hai raggiunto?”, ma piuttosto: “che profilo aromatico hai ottenuto? A quale temperatura?”. Ne risulteranno discussioni ben più interessanti.

Il risucchio di aria durante il cold crash

Ricordo le prime fermentazioni nei fermentatori in plastica. La leggerezza con cui gestivo il dry hopping, i travasi, l’imbottigliamento. Si cercava sempre di fare attenzione a non incamerare quantità eccessive di ossigeno durante i vari trasferimenti, ma non c’era la consapevolezza – e in alcuni casi la fobia – che abbiamo (e che ho!) oggi nei confronti dell’ossidazione. All’epoca, parlo di circa otto-dieci anni fa, qualche bolla d’aria che entrava nel fermentatore durante l’abbattimento di temperatura era l’ultimo dei miei problemi.

Oggi, invece, sembra essere diventato un ulteriore elemento di ansia.

Stiamo parlando di quel fenomeno dovuto alla compressione dei gas che si trovano nello spazio vuoto del fermentatore. Questa riduzione di volume è indotta dall’abbassamento della temperatura quando si avvia il cold crash. Contrariamente a quanto molti pensano, non è la birra che si riduce di volume: la variazione di volume dell’acqua (principale elemento contenuto nella birra) tra 20°C e 3-4°C è trascurabile. I gas invece si espandono e si comprimono molto di più a parità di variazione di temperatura. Quando i gas nello spazio di testa si comprimono, si crea una pressione negativa all’interno del fermentatore che risucchia aria dall’esterno attraverso il gorgogliatore. Nell’aria c’è ossigeno, l’ossigeno entra nella birra e… sappiamo tutti quello che può succedere.

Quanto ossigeno può entrare a contatto con la birra per via del risucchio attraverso il gorgogliatore? Non farò dei calcoli (non mi pare il caso e probabilmente nemmeno sono capace), ma mi sento di dire che il problema viene secondo me quantomeno sopravvalutato.

Le dinamiche all’interno dello spazio di testa del fermentatore sono complesse. Qualcuno, con eccesso di ottimismo, sostiene che durante la fermentazione si forma il famoso “tappetino di CO2” che protegge la birra da ogni male, perché la CO2 è più pesante dell’aria. Questo è vero fino a un certo punto, per due ragioni. In primo luogo, quando i gas si comprimono all’interno del fermentatore, si creano sicuramente dei moti, tant’è che entra aria dall’esterno: è molto probabile che questi movimenti portino qualche molecola di ossigeno a contatto con la birra. Inoltre, anche se ci fosse un tappetino di CO2 sopra la birra e i gas fossero immobili (spoiler, non lo sono mai se non allo zero assoluto), la differente pressione relativa tra l’ossigeno nello spazio di testa e quello nella birra (che ne è priva a fine fermentazione e che comunque man mano lo consuma, ossidandosi) alla lunga portano tutto l’ossigeno all’interno della birra, finche non ce ne sarà più né nello spazio di testa né nella birra stessa (nella birra perché man mano l’ossigeno cambia forma molecolare attraverso i processi ossidativi, fuori perché si è solubilizzato nella birra).

Quindi: la birra si ossida. Alla lunga. Ma quanto alla lunga? E, soprattutto: quanto si ossida?

Ecco, questo è difficile dirlo. E torniamo a quanto dicevo prima: non facciamoci prendere dal panico. Per chi fermenta in plastica con gorgogliatore imbottigliando senza contropressione, un poco di ossigeno che entra a fine fermentazione non mi pare il male peggiore, visto che ne entrerà comunque altro in fase di imbottigliamento. Ci si può convivere, specialmente se si tratta di birre non particolarmente luppolate. Per le luppolate, sicuramente ogni molecola di ossigeno è un problema, ma anche qui: se non abbiamo un sistema in contropressione, ne entrerà comunque molto altro prima (dry hopping) e dopo (imbottigliamento), non credo che due bolle di aria durante il cold crash possano rovinare inevitabilmente la birra.

Mettiamoci l’anima in pace e lasciamo entrare qualche bolla con serenità.

Per chi invece fermenta in fermentatori che si possono chiudere, come fusti o altro, può semplicemente staccare il blow-off e chiudere tutto, poi passare al cold crash. Per evitare che la pressione negativa deformi alcuni contenitori (specialmente se in plastica e se lo spazio di testa è tanto), basta sparare un po’ di CO2 ogni tanto (4-5 psi) fino a che non si raggiunge la temperatura di cold crash. L’assorbimento nella birra è minimo, non variano le modalità di priming. Se poi si fa carbonazione forzata, il problema non si pone. Anzi, a questo punto si può carbonare direttamente durante il cold crash.

Se proprio non ce la fate, esistono diversi sistemi per recuperare la CO2 espulsa con il blow off, ma sono sempre un po’ pallosi da mettere insieme (altra roba da gestire e sanitizzare), a me fanno passare la voglia solo a guardarli (link1, link2). Occhio che spesso si è convinti di aver risolto con un tubo lungo di blow-off, ma con i fermentatori in plastica accade spesso che le guarnizioni con il semplice tubo infilato dentro non tengano e che quindi entri aria senza che ce ne accorgiamo. Un chiaro segnale in questo senso è il mancato risucchio del liquido del blow-off lungo il tubo: se non sale durante il cold crash, è probabile che da qualche altra parte stia entrando aria.

2 COMMENTS

  1. Interessante, io uso la bottiglia della coca cola con l’apposito tappo che attacco sul conduttore del co2

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here