La prima volta che provai a produrre una Pilsner in stile ceco (link) risale a ben otto anni fa. Correva l’anno 2015, all’epoca erano solo un paio d’anni che producevo birra in casa. Si trattava della mia seconda bassa fermentazione, la prima in cui utilizzai il lievito secco W34/70. In quella precedente, la mia prima bassa fermentazione in assoluto, avevo utilizzato addirittura un lievito liquido con uno starter da sei litri (ah, beata ignoranza!).
Mentre la prima non fu un gran successo – era una Vienna Lager – la seconda, la Czech Pilsner, venne piuttosto bene. Almeno per quel che ricordo tenendo conto dell’esperienza che potevo avere allora – ben poca – nell’assaggio di questo tipo di birre. Di “ceco” non aveva in effetti granché, se non un leggero tocco maltato (che all’epoca ricordo giudicai addirittura eccessivo) e l’impiego di luppolo Saaz. Era anche, ovviamente, rifermentata. Ne rimasi comunque soddisfatto, diede il via alla mia sperimentazione con le basse fermentazioni.
Dopo tanti anni di produzioni, assaggi vari, approfondimento e studio, ho finalmente deciso di riprendere in mano la questione. Stavolta però facendo attenzione al minimo dettaglio: orzo boemo maltato a terra, decozione, acqua osmotizzata, carbonazione in spunding, lunga lagerizzazione. Vediamo come è andata.
LO STILE
Non mi dilungo eccessivamente sulle caratteristiche dello stile, che nel BJCP troviamo all’interno della categoria 3. Czech Lager, declinato secondo il grado alcolico e le variazioni di colore. Comunemente chiamate Pilsner per via della prima prodotta nel 1842 nella cittadina boema di Plzen e indicate più prosaicamente Czech Lager nel BJCP, nella terra d’origine hanno tutt’altra denominazione che richiama il colore ma anche il grado alcolico.
Per un approfondimento sullo stile, la storia, le caratteristiche organolettiche e le modalità di denominazione vi consiglio i tre link che trovare sotto La puntata del podcast che conduco con il mio amico Daniele, dedicata interamente alle lager ceche, con ospiti Angelo Ruggero e Daniele Cogliati. Il post molto approfondito sul tema Repubblica Ceca nel blog Berebirra di Angelo. E infine il focus video su YouTube che The Malt Miller ha dedicato allo stile, diviso in tre puntate. Ecco i link:
- Episodio #54 di MashOut! Podcast (link)
- Dal blog Berebirra di Angelo Ruggero (link)
- Speciale YouTube di The Malt Miller in tre puntate (Budwar Brewery, Spillatura, Produzione in casa)
Se dovessi riassumere in pochissime righe cosa cerco in questo stile, in particolare nelle versioni chiare, la vedrei così:
- maltato abbastanza intenso, sia al naso che al palato, con note di miele e addirittura un filo di caramello. Ovviamente non deve essere stucchevole, ma più intenso di quello che si percepisce in una Pilsner tedesca
- amaro erbaceo, fresco, piuttosto intenso ma molto morbido. Lungo ma non invadente, a bilanciamento del malto.
- finale mediamente secco ma non troppo esile
- al naso una buona intensità, sia di malto che di luppolo
- no diacetile. Anche se so che può essere tollerato in questo stile, io non lo tollero granché e non voglio rischiare. Pochissimo ci potrebbe anche stare bene, ma non me lo vado certo a cercare.
- colore dorato carico
- corpo medio, non esile
Insomma, un vero e proprio miracolo di equilibrio, come del resto ho trovato quelle che ho assaggiato dei birrifici cechi:
RICETTA
Per valutare appieno il contributo della decozione, già sperimentato nella precedente Helles Bock “Decoction Sucks” prodotta l’anno scorso (link), ho scelto di utilizzare 100% malto Pils, anche se già avevo ideata che non fosse la strada migliore. Questa volta però ho acquistato l’orzo boemo maltato a terra della Weyermann. Sebbene si dica sia meno modificato rispetto al classico malto Pils, in realtà, se si va a confrontare il suo indice di Kolbach con quelle del Pils standard sempre della Weyermann, si può facilmente notare che non cambia granché.
Anzi, il Floor Malted ha anche un indice di Kolbach massimo più alto del Pilsner standard, quindi in teoria potrebbe avere anche una maggiore modificazione. Inoltre, salta subito all’occhio come le Aroma Wheel dei due malti siano identiche. Il me stesso di qualche anno fa avrebbe detto “ma andate tutti affanculo, uso il malto Pils normale”. Ma questa è la birra dedicata “all’attenzione ai dettagli”, quindi sono andato lo stesso dritto per la mia strada.
Mi sono tuttavia concesso di fare una doppia decozione invece di una tripla saltando il protein rest, mi perdonerete per questo.
Per il resto la ricetta è banale. Potrete notare la presenza di una gettata di luppolo Hersbrucker al posto del Saaz. Non era assolutamente voluta, il razionale è che quando ho pesato il Saaz la sera prima ho scoperto che non mi sarebbe bastato. Dopo un paio di imprecazioni contro me stesso, ho messo mano al congelatore recuperando qualche decina di grammi di Hersbrucker. Tutto sommato non siamo lontanissimi come profilo aromatico.
Nessun dry hopping, non ci penso nemmeno in una birra del genere di aprire il fermentatore e rischiare ossidazione – ma poi non farebbe nemmeno parte dello stile. Generoso dosaggio però a fine boil e in hopstand, tenuto per 15 minuti a 75C.
L’acqua è 100% osmotizzata, ho aggiunto pochissimi sali giusto per portare il calcio intorno alle 50 ppm, cercando di tenere le ppm di solfati al di sopra di quelle dei cloruri.
Ovviamente lievito liquido specifico, il 2278 della Wyeast, con relativo starter. La prima prova non è andata a buon fine: la busta aveva circa tre mesi, non vecchissima, ma lo starter non è partito. Ho buttato lo starter, ho atteso che tornasse una busta fresca e ho ricominciato da capo. La seconda volta è andata alla grande: starter da 1,5 litri con agitatore magnetico, lasciato fermentare a temperatura ambiente. Pitching stimato 227 miliardi di cellule, circa 1.9 milioni/ml/plato, leggermente in overpitching per assorbire eventuali (e probabili) errori di stima.
Per la decozione ho scelto la stessa identica procedura sperimentata con la Helles Bock, trovate tutti i dettagli in quest’altro post. Sotto il grafico per gli step di temperatura. Processo un po’ lungo ma, devo dire, non particolarmente difficile con questi volumi (i miei batch sono da 11 litri).
FERMENTAZIONE
Invece del classico approccio che utilizzo con il W34/70 (link), ho deciso di andare sul classico anche per la fermentazione. Dopo la classica pausa diacetile, quando la densità era ormai arrivata a quella che mi sembrava una ragionevole FG (nel mio caso 1.012), ho iniziato ad abbassare la temperatura di un grado al giorno.
A cosa serve questa lenta discesa? Più che a non far addormentare il lievito, cercando di farlo lavorare anche durante la lunga lagerizzazione, condotta a temperatura leggermente più alta del solito (5°C, nel frigo, invece di 0°C o sottozero). Questo allunga i tempi, ma permetterebbe al lievito di consumare – eventualmente – qualche altro punto di FG continuando nel contempo a pulire la birra da diacetile, composti solforosi o acetaldeide.
Ho carbonato con la CO2 prodotta a fine fermentazione, chiudendo il fermentatore (nel mio caso un keg da 19 litri pre fermentarne 11 litri) con la valvola di spunding. Alla fine della discesa della temperatura ho travasato in un piccolo keg da 9 litri precedentemente riempito di acqua e svuotato con CO2. Il litro in eccesso me lo sono bevuto al momento del travaso: una buona keller ceca.
La carbonazione target è di circa 2,3 volumi.
Metà fusto l’ho bevuto dalla spina, l’altra metà l’ho imbottigliato in isobarico direttamente dalla spina utilizzando la riempitrice della Kegland, con cui mi trovo benissimo per fare qualche bottiglia ed evitare di bere troppo scolandomi l’intero fusto in pochi giorni. È un giocattolino economico un po’ rozzo, ma lo trovo molto comodo e funzionale.
ASSAGGIO
L’assaggio che descrivo viene dalla versione alla spina. Quelle in bottiglia, conservate ovviamente sempre in frigo, non sono molto diverse a distanza di un paio di settimane dall’imbottigliamento. Non so quanto resisteranno ancora, ma mi importa poco visto che non farò certo fatica a finirle.
ASPETTO I primi boccali spillati dal fusto erano leggermente velati, poi man mano si è pulita. Alla fine risulta una birra piuttosto limpida, con un leggero velo che si manifesta di più nei boccali ampi. Colore giallo dorato. Bella schiuma, bianca, bolle fini, ottima persistenza. Molto bella.
AROMA L’aroma non è particolarmente intenso, ma è molto pulito. Il malto si sente poco, arriva giusto al naso un po’ di miele. La luppolatura è più intensa, anche se comunque medio-bassa. Si percepisce un leggero floreale (fiori bianchi), una speziatura molto delicata e un tappeto di erba appena tagliata nelle retrovie. Nessuna traccia di diacetile. Decisamente meglio l’aroma rispetto alla Helles Bock, dove usciva uno nota “vegetale” che non mi aveva convinto.
AL PALATO Nel complesso la trovo un po’ timida, specialmente in riferimento allo stile. Il maltato è piacevole, torna il miele, ma rimane piuttosto delicato. L’amaro tiene bene, la fa scorrere sul palato senza intoppi. Buona secchezza, maltato interessante ma sottotono. La decozione sul solo malto Pils non ha prodotto il boost aromatico che pensavo. Si percepisce l’erbaceo del luppolo ma anche questo potrebbe essere più intenso. Ben bilanciata, estremamente piacevole ma poco incisiva.
MOUTHFEEL Morbida, rotonda, nessuna astringenza. Carbonazione media, piacevole. Alcol non percepito.
IMPRESSIONI GENERALI La birra è buona. Molto buona. Forse è una delle migliori basse fermentazioni che ho fatto fino ad oggi. Mezzo litro scorre via in dieci secondi. Estremamente pulita, ben bilanciata, senza sbavature. È in linea con le lager ceche che ho assaggiato ultimamente? Non proprio, ma siamo sulla buona strada. Non so dire quanto abbia influito la decozione, ma ha comunque un bel maltato, rotondo e morbido. Secondo me il lievito liquido ha il suo perché, nell’insieme la trovo più rotonda delle altre pilsner che ho fermentato con il W34/70 secco. Sarà la decozione? Sarà il lievito? Difficile dirlo.
Rispetto alla Helles Bock, l’altra birra che ho fatto in decozione fermentata con il W34/70, questa è più morbida, pulita e nel complesso più piacevole (sebbene anche l’altra non fosse male).
L’ho fatta 100% pilsner per valutare meglio l’effetto della decozione, ma nella prossima ricetta penso proprio che userò un 5-10% di malto Monaco, sempre in decozione. Aumenterei anche un po’ l’amaro, più o meno di +5 IBU, e le gettate in late boil/hopstand (di un paio di g/L). Il resto lo lascerei invariato. Ci siamo quasi, sento che la prossima volta sarà quella buona!