Prendendo spunto dalle ultime schede che ho ricevuto sulla mia BDSA dalla recente tappa MoBI (link), e in base alla mia personale esperienza come giudice nei concorsi per homebrewer e per birrifici degli ultimi 5 anni, provo a elencare alcuni aspetti della compilazione delle schede BJCP che troppo spesso vengono trascurati dai giudici, sia BJCP che non-BJCP.
Il post è rivolto anche a me stesso, perché mi sento tutt’altro che perfetto. Una cosa è scrivere qualche riga qui a mente fredda, tutt’altra è mantenere coerenza, calma e concentrazione durante una giuria.
Alcuni cose però possiamo tenerle a mente, cercando di metterci impegno e fare del nostro meglio.
Scrivere e descrivere. Tanto.
Una delle cose che più mi piace dei concorsi per homebrewer e delle schede BJCP in generale, è lo spazio riservato alla descrizione della birra. Quelle poche volte che mi è capitato di compilare schede sintetiche (usate a volte anche nei concorsi homebrewer, tipo queste) mi sono sentito davvero a disagio.
Lo so che nei concorsi cosiddetti “pro” (ovvero dedicati ai birrifici) è normale mettere tre crocette e passare avanti, ma questo non significa necessariamente che lo stesso approccio sia adatto ai concorsi per birrai casalinghi. Questo perché gli obiettivi di chi partecipa ai due tipi di competizioni sono diversi: nei primi, si è – giustamente – alla ricerca di medaglie per aumentare le vendite e il prestigio del birrificio; nei secondi, oltre alla ricerca di conferme e – perché no – anche in questo caso di un po’ di “prestigio”, si è soprattutto alla ricerca del parere di una persona esperta sulla produzione inviata al concorso.
L’homebrewer è interessato a sapere cosa il giudice sente nella birra, come la percepisce, quali sono gli aspetti negativi e quelli positivi. Se ci sono difetti, se il bilanciamento dolce/amaro è corretto, quali sono gli aromi che arrivano al naso.
Inoltre, e qui non tutti saranno d’accordo, ritengo che la stesura di una descrizione dettagliata stimoli l’articolazione di un ragionamento strutturato sulla birra che stiamo assaggiando, mentre se ne ripercorrono le caratteristiche principali esplicitandole nella scheda. Aiuta a non distrarsi durante l’assaggio, a focalizzare i pensieri.
È faticoso, senza dubbio, specialmente quando si arriva all’assaggio della decima birra. Ma descrivere una birra in parole obbliga alla concentrazione, alla riflessione, all’articolazione del pensiero critico. Per me è un elemento essenziale.
C’è da dire che gli ambiti con descrizioni più “impegnative” sono due: aroma, ma soprattutto flavour. Aspetto e moutfheel ci si mette due secondi a compilarli, le impressioni generali sono più semplici da articolare. Di questi dettaglio parleremo a breve.
Coerenza tra descrizione e valutazione numerica
Mi è capitato tante volte di leggere schede in cui la descrizione va in una direzione e il voto numerico completamente in un’altra. Spesso capita al ribasso, ovvero: nella descrizione non c’è scritto nulla di particolarmente negativo ma poi il voto è stranamente basso.
Dobbiamo sempre, e ripeto sempre, giustificare il nostro voto. L’homebrewer deve capire bene perché abbiamo tolto dei punti. È fondamentale. Prendo un paio di casi pratici da alcune schede che ho ricevuto.
ESEMPIO 1 Questa è una scheda che ricevetti anni fa dopo aver inviato una mia Porter a un concorso per hb in UK (qui il post completo):
Cosa me ne faccio di una scheda del genere? Qual è il problema di questa Porter? Ha poco aroma tostato? Troppo? È fuori stile?
Non viene evidenziato un singolo difetto nell’aroma, non ci sono descrittori, non è riportato nulla, ma l’aroma ha preso 4/12. Quattro. Riportando in 50esimi, equivale a 16/50. Roba da birra piena di difetti e fuori stile. Da dove emergerebbe questa cosa? Va bene, magari la birra non ha un grande aroma, può starci. Ma perché? Cosa c’è che non va? Non è dato saperlo.
ESEMPIO 2 Questo è un estratto di una delle schede ricevute sulla mia BDSA brettata (qui il post completo):
Qui il voto è più alto, almeno: 8/12. Ma perché non 12/12? Frutta rossa, carruba e vaniglia sono in stile per una BDSA con aggiunta di Brett. Difetti non sono evidenziati. Alla fine la descrizione, sebbene breve e laconica, la trovo abbastanza azzeccata: anche io ho sentito aromi di frutta rossa e leggero cacao in questa birra (tra le altre cose). Ci sta.
Dov’è quindi il problema? È che c’è scritto solo quello. Non c’è un commento sulla parte fenolica (c’è? non c’è? in una Brett beer è importante). Non si capisce se sia poco o troppo intensa. L’aroma di Brett si sente? Non si sa. Ha difetti? Sembrerebbe di no, il che per una Brett beer è già un grande elemento positivo. E perché allora “solo” 8 su 12? Così, non si capisce.
ESEMPIO 3 Questo è ancora un estratto delle schede della Porter mandata un UK, ma dell’altro giudice:
C’è scritto “a fine beer, but lacks ‘wow’ factor“, ovvero: una birra decente, ma manca il fattore “wow”. Povera, come descrizione, ma almeno è comprensibile. Quello che non è comprensibile è il voto: 4/10 per una birra fatta bene a cui manca il fattore “wow”? In 50esimi siamo su 20/50, un voto da assegnare a una birra in cui c’è molto da rivedere: decisamente fuori stile e con difetti.
Dove sono i difetti? Cosa sarebbe fuori stile? Se andate a leggere la scheda completa (qui) non sono praticamente evidenziati difetti da nessuna parte, giusto una carbonazione bassa (tra l’altro lo stile consente un livello di carbonazione medio-basso, quindi parliamo di inezie).
Mi sembra evidente come schede compilate in questo modo non restituiscano nulla di significativo all’homebrewer se non una valutazione numerica i cui razionali non sono comprensibili. Quindi, poco utili dal punto di vista del feedback.
Evidenziare – sempre – gli aspetti positivi
Cerchiamo di metterci nei panni di chi riceve la nostra scheda. Da homebrewer “ferito”, so bene cosa significa ricevere una valutazione negativa, o comunque al di sotto delle proprie aspettative. Ci si rimane male.
Per questa ragione è importante evidenziare sempre gli aspetti positivi della birra che stiamo assaggiando. Non dovrebbe essere difficile, per birre con un voto superiore a 20/50 (la maggior parte delle birre): qualche aspetto positivo si trova.
Che sia anche solo l’aspetto visivo, o la carbonazione corretta, il bilanciamento dolce/amaro, l’idea dello stile, o l’assenza di grandi difetti. Evidenziamo sempre ciò che c’è di buono nella birra, magari prima di commentare – sempre con delicatezza – gli aspetti migliorabili o quelli decisamente negativi.
Se la birra è proprio un disastro – per fortuna capita raramente – e non riusciamo a trovare un singolo aspetto positivo (parliamo di birre che si beccano un 13 secco), cerchiamo almeno di modulare il linguaggio. Tipo “mi dispiace, ma deve esserci stato qualche grosso problema di fermentazione. Peccato!“.
Non abbiate paura, non è un esame
Situazione tipica di un tavolo di giuria: assaggiamo la birra, ognuno compila la sua scheda in silenzio, assegna il voto, poi ci si confronta. È capitato anche a me di pensare: “e se ho messo un voto troppo alto rispetto agli altri? che figura ci faccio? meglio non esagerare“.
Sbagliato.
Questo ragionamento può aver senso all’esame BJCP, dove si cerca di attribuire un voto numerico il più vicino possibile a quello dei proctor per prendere più punti all’esame. In quel caso un ragionamento “statistico” può aver senso, ovvero non posizionarsi mai troppo alti o troppo bassi in modo da avere più probabilità di beccare il numero giusto (che poi non è giusto in assoluto, ma vicino a quello dei proctor).
In giuria non dobbiamo dimostrare quanto siamo allineati agli altri giudici (magari perché hanno più esperienza di noi), dobbiamo assegnare un voto in base alle nostre percezioni. Non è giusto penalizzare l’homebrewer con un voto più basso di 3-4-5 punti solo perché abbiamo paura di allontanarci dal voto dell’altro giudice. Scriviamo quello che riteniamo corretto e soprattutto allineato ai commenti descrittivi che abbiamo scritto.
Non incasinate troppo la scheda dopo il confronto con gli altri giudici del tavolo
In genere alla fine della valutazione ci si confronta con l’altro giudice (o gli altri giudici, se il tavolo è a tre) per commentare la birra e verificare di non essere troppo disallineati nella valutazione numerica.
Per il BJCP il massimo disallineamento concesso tra le schede del tavolo è 7 punti, ovvero tra il minimo e il massimo voto del tavolo non dovrebbero esserci più di 7 punti di differenza. In molti concorsi si cerca di ridurre questo disallineamento a 5 punti.
Questo è un approccio sano, perché se il disallineamento è evidente significa che c’è divisione sulla birra ed ha senso capire perché. Magari si chiama un altro giudice al tavolo per avere un terzo parere, nel caso in cui non si riesca a venirsi incontro.
7 punti sono comunque tanti, non capita di frequente. Ed è comunque facile rientrare nei 7 punti di differenza anche in casi abbastanza estremi, senza modificare troppo il proprio voto. Se un giudice ha messo 30 e uno 40, è abbastanza facile salire a 32 da un lato e scendere a 38 dall’altro, e il gioco è fatto.
Capita di frequente che i due giudici si mettano a cambiare i loro punteggi alla fine per portarli il più vicino possibile l’uno all’altro, senza però rivedere i commenti descrittivi. Ad esempio un giudice toglie un paio di punti al mouthfeel, facendolo scendere da 5 a 3. Peccato che non avesse evidenziato difetti, quindi questa parte della scheda perde coerenza. Oppure, ancora peggio, toglie un paio di punti all’overall facendolo passare da 7 a 5, ma poi nel commento rimane scritto che la birra è molto buona.
Fate attenzione alle correzioni dell’ultimo minuto, a volte è meglio non farle per niente e lasciare 5-7 punti di differenza. Come homebrewer mi sentirei più confortato nell’aver ricevuto un giudizio non unanime dove un giudice reputa la mia birra molto buona mentre l’altro magari solo mediocre. Purché le due schede siano coerenti con le valutazioni numeriche di ciascuno e siano chiare le motivazioni di entrambi (si possono avere idee e impressioni diverse su una stessa birra).
Sarebbe peggio ricevere due schede con punteggi numerici perfettamente allineati ma con commenti non coerenti alla valutazione numerica. Mi darebbe molto più fastidio.
Prendere un 37 e un 30 con due belle schede coerenti e complete dà più soddisfazione rispetto a ricevere due allineatissimi 33 con schede incoerenti, anche se la media numerica del voto è la stessa.
Il flavour è la parte più difficile e sottovalutata
Questa parte della scheda, su cui molti giudici passano troppo velocemente, assegna alla birra ben 20 dei 50 punti totali. Va ben gestita, descritta e soppesata.
Non è facile descrivere il flavour, perché è un mix di sensazioni di gusto e retrolfatto che possono essere quasi istantanee, andare e venire durante la bevuta.
Spesso tornano in buona parte gli aromi percepiti al naso, il mio consiglio è di non sprecare spazio elencandoli nuovamente tutti. Si può scrivere “tornano gli aromi percepiti al naso”, magari specificando “con maggiore enfasi dell’agrumato rispetto al resinoso”, ad esempio.
Non dimenticate però il resto: è importantissimo per assegnare i punti al flavour. Seguite la traccia che la scheda riporta sotto al titolo: malt, hops e fermentation in genere seguono l’aroma, ma ci sono altre caratteristiche importanti.
- Balance: fondamentale. Come si comporta l’amaro? Arriva e poi sparisce? Supporta la bevuta? È ben bilanciato? La birra è troppo dolce, troppo amara?
- Aftertaste (retrolfatto): sentite qualcosa di diverso quando mandate giù il sorso? Emergono aromi che non avevate notato al naso? Sono piacevoli? In linea con lo stile?
- Finish: il finale è secco? È maltato? È troppo secco o troppo maltato per lo stile? Questo è fondamentale per attribuire il punteggio finale.
Se c’è qualcosa che non va, scrivetelo. Se non lo scrivete, non c’è. Quindi non andate poi a togliere punteggio. Ogni punto in meno rispetto ai 20 totali del flavour va giustificato. Ovviamente non è una attribuzione lineare e matematica, ma se non scrivete nulla su retrolfatto, bilanciamento e finale della birra, almeno la metà dei 20 punti devono essere lì. E a questi vanno poi aggiunti quelli per il flavour in se’, relativi agli aromi percepiti e all’assenza di difetti.
Aspetto e Mouthfeel sono immediati: è la somma che fa il totale!
Qui invece la questione è piuttosto matematica.
Aspetto, massimo 3 punti. Uno per il colore, uno per la schiuma (colore e ritenzione, siate tolleranti sulla grana perché nei bicchieri da assaggio non si riesce a esprimere per bene) e uno per la limpidezza.
Moutfheel, massimo 5 punti. Uno per la carbonazione, uno per il corpo, uno per il calore alcolico, uno per l’astringenza e il restante per altre sensazioni “generiche” come ad esempio “cremosità” (se dovrebbe esserci e non c’è), “piccantezza” e via dicendo. I primi 4 punti sono matematici, o ci sono o non ci sono. Il quinto lo potete giocare come jolly, ma dovete giustificarvi se non lo attribuite.
L’overall deve essere coerente con la scheda e con il voto complessivo
La sezione Overall è la più importante. Non perdiamo tempo a spiegare come correggere tecnicamente eventuali difetti, è una cosa che si fa all’esame BJCP ma non serve a niente in questo contesto. I difetti dipendono spesso da molteplici cause, scriverle tutte sarebbe una perdita di tempo e un utilizzo non intelligente dello spazio disponibile sulla scheda.
Inoltre porterebbe a fare mille supposizioni sul processo produttivo, che renderebbero le indicazioni per la correzione dei difetti piuttosto deboli. Ormai gli homebrewer hanno mille fonti per andare a scoprire le cause dei difetti, non hanno bisogno di leggerlo sulla scheda del concorso.
Quello che invece è importantissimo è articolare per bene il giudizio complessivo sulla birra. Evidenziamo, senza ripeterli necessariamente tutti, i lati positivi e negativi della birra (sempre prima gli aspetti positivi!).
Chiariamo cosa non ci ha convinto della birra. Se è un problema di aderenza allo stile, spieghiamo cosa manca secondo noi o cosa c’è e non ci dovrebbe essere. Se è un problema di bilanciamento, evidenziamo se ad esempio è troppo amara o troppo dolce. Se ci sono problemi tecnici, riepiloghiamoli qui. Possiamo fare delle ipotesi sulle cause, ma con attenzione e senza sondare tutte le possibile cause.
Si potrebbe ad esempio scrivere “la birra mi sembra ossidata” perché l’aroma ci sembra spento, ma le cause dell’aroma spento potrebbero essere mille, non solo l’ossidazione. E anche le cause dell’ossidazione stessa potrebbero essere molteplici (ossidazione a caldo, a freddo, durante l’imbottigliamento, conservazione al caldo).
Attenzione al voto numerico, deve essere coerente con i commenti e con il totale. Se non ha preso 10/10 all’overall, dobbiamo spiegare perché. Se la birra in totale arriva a 25/50, il voto in decimi dell’overall deve essere vicino alla metà di 10, ovvero 5. Non può prendere 7/10 all’overall e poi in totale arrivare solo a 25/50. L’overall alla fine è un po’ la sintesi in decimi del voto complessivo in cinquantesimi (ricordate che il 6/10 non è la sufficienza, ma di più!). Non deve essere necessariamente proporzionale al voto in cinquantesimi ma nemmeno andare completamente da un’altra parte.
Non abbiate paura di consultare il BJCP durante l’assaggio
Chiudo con qualcosa che dovrebbe essere ovvio ma, ahimè, ho notato che spesso non lo è: in un concorso BJCP le birre vanno giudicate secondo le linee guida BJCP, non secondo quello che ricordiamo dello stile o secondo la nostra personale idea dello stile.
Può essere difficile ricordare i dettagli di tutti gli stili, ma il bello è che non è necessario. Non siamo a un esame, possiamo aprire il manuale e leggerlo. Quindi: facciamolo! Con un po’ di esperienza ci si può affidare un po’ di più ai ricordi personali che si hanno di esempi classici dello stile (il BJCP non è perfetto nelle classificazioni) ma su piccole sfumature, non sulle basi dello stile.
Tante volte mi è capitato di vedere detratti punti per una carbonazione bassa o alta, per un corpo leggero, per una vaga astringenza, quando nelle linee guida c’è invece scritto che possono far parte dello stile. Oppure punti detratti per una parte speziata troppo bassa, quando nelle linee guida il range è magari “low to medium”. Stesso discorso per il malto o per il luppolo: quante volte ho visto una American Pale Ale penalizzata per un aroma di luppolo non particolarmente esplosivo. Be’, sorpresa: può andare da moderato a moderato-alto, quindi ci può assolutamente stare!
Fare il giudice non è affatto facile
Visto quanto è difficile valutare una birra? In molti pensano “ah che bello fare il giudice, si beve gratis e ci si diverte“. Per carità, la componente edonistica e sociale c’è e ci deve essere, ci mancherebbe. Ma fare il giudice è anche un impegno, notevole.
Dobbiamo avere rispetto per chi invia le proprie birre perché ha riposto fiducia nelle nostre valutazioni. Sbagliare è concesso, capita, non siamo macchine infallibili. Ma una cosa è consegnare una scheda completa, coerente e allineata allo stile di riferimento, anche se non perfettamente centrata nella percezione degli aromi o dei difetti; tutt’altra cosa è una scheda confusa, incompleta, non coerente, compilata con svogliatezza.
Sempre nel contesto del rispetto per chi invia le birre ai concorsi, cerchiamo di non passare la serata prima del concorso al pub a bere 45 birre, per la smania di assaggiare tutta la gamma di tal birrificio. Capisco la convivialità, il piacere della condivisione, l’entusiasmo, ma ricordiamo sempre che il giorno successivo il nostro palato sarà al servizio del concorso. Cerchiamo di non devastarlo la sera prima. Semmai, se proprio dobbiamo devastarlo, facciamolo la sera dopo.
Chiudo con una breve guida e qualche commento sull’interpretazione della scala di valutazione nelle schede BJCP.
ADDENDUM: interpretare correttamente la scala BJCP
Questo è un aspetto che molto spesso viene trascurato, soprattutto dai giudici che non sono BJCP (ma anche tra quelli BJCP si fa spesso fatica). Certo la scala di valutazione in cinquantesimi non aiuta, e soprattutto non aiuta la differenziazione delle scale a seconda dell’aspetto che si sta valutando. La scheda BJCP prevede infatti:
- 12 punti per l’aroma
- 3 per l’aspetto
- 20 per il flavour
- 5 per il mouthfeel
- 10 per il giudizio complessivo
Quello che spesso accade è che le valutazioni numeriche raccontano tutt’altra cosa rispetto a quello che il giudice esplicita nella descrizione.
Per supportare il giudice su questo aspetto, c’è un apposito specchietto in basso sinistra nella scheda. Specchietto a cui bisogna sempre far riferimento. Non è il massimo, a volte confonde un po’, le parole scelte per la descrizione dei vari intervalli numerici non sono il massimo, lo so, ma comunque aiuta.
- da 0 a 13 la birra è “problematica” Tradotto: non si riesce a bere, è piena di difetti. Cattiva. Abbiamo quasi paura di avvelenarci assaggiandola. Per prassi ormai storica (io non condivido, ma è così), non si da mai un voto minore di 13 a una birra. Quindi questa non è propriamente una scala, ma un fondo scala. Assegnate 13 solo a una birra imbevibile, una di quelle che vi da la sensazione di mettere a rischio la vostra salute. Una birra fortemente ossidata non è da 13, per capirci. In 5 anni di giuria, mi è successo di assegnare 13 una sola volta.
- da 14 a 20 è una birra “onesta” (fair) A proposito di onestà: no, una birra in questa fascia non è buona, c’è poco da fare. Considerando che la fascia “dell’avvelenamento” non è una fascia ma un numero (13, vedi paragrafo precedente), in questo range “fair”, nonostante la descrizione edulcorata, si collocano birre completamente sbagliate e generalmente caratterizzate da una significativa presenza di difetti. Fino a un certo punto (guardate ad esempio questa scheda) non compariva il termine “unpleasant” (spiacevole), mentre poi è apparso, insieme a “hard to drink” per la categoria precedente. Insomma, birre in questa categoria non fanno gridare all’avvelenamento ma hanno comunque diversi difetti. Se sono molto fuori stile (ad esempio una Tripel di colore ambrato-carico che ha una significativa nota di caramello) ma comunque piacevoli da bere e senza difetti significativi, le porterei alla categoria successiva. Magari nella parte bassa del range (21-24).
- da 21 a 29 è una birra “buona” Ecco, secondo me la definizione di questa categoria è un po’ sballata. Qui siamo effettivamente nel range “birra onesta”, che inizia a essere “buonina” nella parte alta del range. In questo intervallo ricade il 25, ovvero il punteggio che sta esattamente a metà della scala BJCP. Che, ci tengo a ricordarlo, non è come quella “italiana” in cui la sufficienza non è nel mezzo della scala del 10, ma è spostata sul 6. Qui siamo effettivamente nel mezzo, quindi la birra non è né buona né cattiva. È, appunto, onesta. Qualche difettuccio che però non ne pregiudica la bevibilità, qualche caratteristica che la manda fuori stile. Si beve, l’homebrewer ha lavorato discretamente, ma c’è molto da rivedere. 29 dovrebbe essere anche il massimo voto per una birra fuori stile, ma attenzione: si intende completamente fuori stile. Quindi se mi arriva una Porter ambrata, o una pils buona ma fenolica, o ancora una Berliner Weisse non acida o una Saison con note resinose o fortemente tropicali. Se invece ho davanti una German Pils un filo troppo maltata o una Saison molto buona ma con un lieve sentore di luppolo americano, non necessariamente mi devo fermare al 29. Se non ha alcun difetto ed è molto buona, posso anche salire un po’. C’è la categoria superiore che recita infatti “generally within style parameters”, e con “general” intende, appunto, “più o meno”.
- da 30 a 37 è, finalmente, una birra buona Ecco, qui siamo nel range di una birra davvero buona. Fatta bene, senza difetti o con difetti molto lievi (ad esempio una punta di acetaldeide al naso) che però vanno evidenziati nella scheda. Una birra ben fatta, magari non un esempio classico dello stile, ma molto piacevole da bere. Avvicinandoci al 37 la birra è decisamente buona.
- da 38 a 44 siamo su un livello molto alto La birra è davvero buona, fatta molto bene, in stile e senza difetti. Considerando che, similmente a quanto accade per la fascia bassa 0-13, raramente i giudici arrivano ad assegnare voti in quella più alta (la successiva), secondo me – di nuovo – sbagliando, in questo range ricadono le birre davvero buone. Al livello di una produzione craft commerciale. Senza alcun difetto. Fate attenzione, siete comunque obbligati a proporre delle azioni di miglioramento, una birra in questo range non è perfetta. Se non riuscite a suggerire almeno uno (ma anche due) aspetti da migliorare, siete moralmente obbligati ad assegnare un voto più alto. Lo so, questo non accade quasi mai, ma dovrebbe invece essere così. Non abbiate paura.
- da 45 a 50 scatta la ola Siamo a livelli altissimi, la birra è perfetta. In questo caso siete autorizzati a non evidenziare aspetti di miglioramento. 50 non è stato quasi mai assegnato nella storia del BJCP, ma io un paio di 45 ricordo di averli assegnati. Fatelo anche voi, se la birra merita, non abbiate paura.
Bell’articolo! Considerando che è appena iniziato il campionato italiano di homebrewing fa venire voglia di iscriverle… 🙂 ,
Post da fare leggere a parenti e amici che ti dicono che la tua birra fa schifo senza dirti il perché. (E intanto dicono che la “nome di birra da supermercato” è una signora birra)