Siamo a fine luglio, l’estate è nel pieno. Sto per imbottigliare le ultime birre della stagione, prima del fermo forzato di agosto. Ho un paio di sacchetti di Kveik in frigo, ma non credo ormai farò in tempo ad utilizzarli con il caldo. Magari a settembre, vedremo.
Fatto sta che quest’anno, a meno di una fermentazione sperimentale di un kit luppolato, non ho prodotto birre con lieviti Kveik. E non ne ho viste produrre granché nemmeno da altri homebrewer.
Cosa è successo? Era davvero tutto hype e niente arrosto, come scrivevo in un post di qualche anno fa?
Dove tutto ebbe inizio. Forse.
Correva l’anno 2014, avevo da poco acquisito consapevolezza con il processo di produzione. Dopo i primi tentativi, di cui molti tutt’altro che perfetti, stavo iniziando a produrre qualche birra interessante. Studiavo parecchio, imparavo.
Avevo frequentato il primo corso di degustazione, il blog stava crescendo, suscitando interesse tra gli homebrewer. Da poco mi ero aggiudicato un discreto quarto posto nella mia prima partecipazione a un concorso per produzioni casalinghe. La prima ricetta, rivista e perfezionata: era una Porter. Navigavo nel pieno delle mie “crociate” di evangelizzazione del mondo brassicolo. No ai travasi! Sì al BIAB! No ai maledetti fiocchi!
All’epoca si battagliava molto sui forum e sui gruppi Facebook, dove si cercava di arginare la marea di stupidaggini che puntualmente venivano raccontate. C’era in particolare un personaggio, durato sul web poco più di un anno, che faceva spesso capolino nei vari gruppi decantando le qualità di quelli che chiamava i “suoi” lieviti. O meglio, per essere precisi, li definiva “lieviti prodotti in Belgio sotto direttive specifiche dallo scrivente“.
Lo “scrivente” aveva nozioni birrarie molto basiche, come potete facilmente intuire da questo post del 2014 nel Forum della Birra. Nutrivamo tutti seri dubbi che avesse qualsivoglia competenza tecnica per far produrre lieviti su proprie specifiche, in Belgio poi! Questo bislacco personaggio si faceva chiamare Mandrake, gestiva una pagina e un blog chiamati Mandrake Birra (vedo che ora esiste un Mandrake Birra su Tik Tok, ma non mi pare lo stesso).
Dove prendesse queste “polverine” che vendeva sul web (non ho idea se legalmente oppure no) non è dato saperlo. Il suo motto era il seguente: “si precisa che il sottoscritto non vuole insegnare niente a nessuno ma vuole solo diffondere le sue conoscenze ed esperienze brassicole“.
Era tutto molto surreale. Per certi versi frustrante, per altri piuttosto divertente.
Cosa c’entra tutto questo con i lieviti Kveik?
Tra i lieviti che vendeva il buon Mandrake, uno, che lui aveva chiamato “Africa”, mostrava delle caratteristiche curiose. Almeno stando a quello che diceva il suo “inventore”:
- questo lievito può fermentare anche a temperature elevate
- testato anche sopra i 32°C senza avere problemi come esteri indesiderati
- tollera benissimo l’alcool
- attenuazione medio alta
- dosaggio max di 8 grammi per 25 litri di mosto, io consiglio 4 grammi per 25 litri di mosto
Rileggendo oggi quello che scriveva il buon Mandrake, sorge forte un dubbio: possibile si trattasse di un lievito Kveik? Io non gli diedi fiducia, ma alcuni homebrewer pionieri e coraggiosi che lo avevano provato ne confermavano le caratteristiche decantate dal buon Mandrake.
In quei tempi non si trovavano ceppi commerciali di Kveik, ma è probabile che tra alcuni homebrewer girassero già delle colture recuperate da quelle diffuse in Nord Europa. Magari erano capitate tra le mani di questo bislacco personaggio che si era poi inventato la storia che se li faceva produrre in Belgio. Oppure se li faceva produrre sul serio in Belgio.
Probabilmente non lo sapremo mai, ma quando penso ai Kveik mi vengono sempre in mente il buon Mandrake Birra e i suoi papiri sconclusionati sul web. Oltre al pentolone da 500 litri con cui era solito fare le cotte dimostrative. Ma veniamo al tema vero del post.
Quando il Kveik diventò mainstream
Il povero Mandrake venne più volte blastato nel Forum della Birra ma soprattutto nel gemello gruppo Facebook. Non solo per questo fantomatico lievito Africa, ma per tante altre cose che scriveva sul tema birra.
Sparì dal web improvvisamente poco tempo dopo, insieme ai suoi fantomatici lieviti e alle sue conoscenze confuse sulla produzione di birra, nessuno sa bene perché. Qualche ipotesi circolò, ma furono solo voci. Non importa.
Fu solo molti anni dopo però, nel 2019, che Lallemand lanciò il primo ceppo di lievito Kveik in formato secco, il famoso Voss. Non sono sicuro al 100% che questo sia stato il primo ceppo Kveik lanciato commercialmente, ma è probabile (almeno in Italia). Sicuramente circolavano già da anni, nel sottobosco birrario, diverse colture miste. Spesso essiccate in forno, scambiate tra homebrewer in Europa. La Lallemand ebbe il merito di velocizzarne la diffusione.
Nel 2018 Lars Marius Garshol, autore del libro “Tecniche tradizionali di birrificazione” e tra i primi a studiare questi ceppi di lievito tipici delle tradizioni birrarie del Nord Europa, sul suo blog non citava ancora ceppi commerciali ma appunto colture miste condivise tra homebrewer.
In Italia, uno dei primi a cavalcare l’ondata dei Kveik fu Antonio Golia, del blog Homebrewing Condor. Riprese quanto studiato da Lars Garshol. Dopo una breve infatuazione per il sidro di cui parlò per qualche puntata sul suo canale YouTube, è sparito anche lui dalle scene.
Dopo aver letto il libro di Lars Garshol, che ho trovato ben scritto, affascinante, pieno di risorse e anche molto romantico per certi versi, ho provato a usare qualche ceppo di questi nuovi lieviti anche io (link).
Perché non è scattato l’amore, allora?
In questo post non voglio però ripercorrere le origini e le caratteristiche dei lieviti Kveik, di cui ho già abbondantemente parlato in quest’altro post. Vorrei piuttosto provare a spiegare perché non è scattato l’amore. Il che non significa che non li utilizzi sporadicamente o che siano malvagi in assoluto, ma non sono riusciti a convincermi. Ecco perché.
Non sono lieviti poi così neutri
Dei ceppi Kveik viene decantata soprattutto la loro capacità di generare un profilo organolettico neutro anche in condizioni estreme come underpitching o fermentazioni a 30-40°C. Il livello di neutralità dipende dal ceppo, il Lutra è in genere considerato quello maggiormente neutro, adatto addirittura per la produzione di “pseudo-lager”.
Premetto che non ho fatto test comparativi alla cieca, quindi prendete quanto segue con il beneficio del dubbio.
Ho provato a fare 4 birre con i kveik (Voss, Lutra secco e liquido, Hornindal): una Golden Ale, una pseudo-Pilsner, una pseudo-Dunkel e una American Porter. Qui trovate le schede delle 4 birre. Birre assolutamente piacevoli, fermentate in estate fuori dal frigo con temperature tropicali. Nulla da dire. Però.
C’è un però.
In tutti i casi ho notato qualcosa di “strano”. È difficile esprimerlo a parole, ed è difficile anche essere sicuro che non si tratti di bias o condizionamento. Resta il fatto che in tutte queste birre ho percepito qualcosa fuori dall’ordinario che andava da una leggera sapidità, a tratti quasi un sapore “meaty/savoury” (non proprio brodo o autolisi, ma qualcosa che poteva ricordarlo), leggera acidità. In alcuni casi (Golden Ale e pseudo-Pilsner) ho sentito anche aromi fruttati (arancia, limone) ma potrebbero essere dovuti alla luppolatura.
Insomma, io non li ho trovati poi così neutri questi lieviti Kveik. Senza dubbio possiamo definirli neutri considerando le temperature a cui fermentano. Adatti a una birra senza grandi pretese, da produrre in estate e da bere al volo. Non li userei però per una birra in stile a cui tengo particolarmente.
Non sono nemmeno così caratterizzanti
Raccontavo prima del bellissimo libro di Lars Marius Garshol. Proprio da quel libro, dedicato alle birre farmhouse del Nord Europa per buona parte fermentate con lieviti Kveik (ma non sempre) si intuisce che la caratterizzazione di queste birre non viene dai lieviti Kveik, ma dal processo di produzione.
Birre prodotte senza bollitura o con bollitura durante l’ammostamento, largo utilizzo di rami di ginepro, birre ammostate in forno. I lieviti Kveik, che poi spesso non sono nemmeno Kveik (in Lituania utilizzano lieviti saison come da Jovaru, in altri casi lieviti da pane o addirittura S04) non sono propriamente l’elemento caratterizzante di queste birre. Sono piuttosto una strumento per la produzione. Facilitano il lavoro del birraio, spesso svolto in condizioni poco igieniche con strumentazione dalla scarsa affidabilità.
Isolati e tolti da quel contesto, perdono di fascino e di scopo. Vengono snaturati. Diventano quasi dei coadiuvanti di processo. Utili in alcuni casi, ma certamente non più lieviti “farmhouse”.
Utili, ma non essenziali
Se siamo in piena estate, abbiamo tutte le camere di fermentazione piene e abbiamo bisogno di una birretta da battaglia da produrre in pochi giorni senza particolari pretese, i Kveik sono un ottimo aiuto.
C’è da dire però che un US-05 a 20°C farebbe lo stesso lavoro con risultati migliori, secondo me. E non ci metterebbe molto di più: con un Kveik si può arrivare a bere la birra rifermentata in bottiglia nell’arco di una settimana, con un US05 ce la si fa in dieci giorni, massimo due settimane. Non cambia granché.
E poi: che fretta c’è? I casi di “emergenza birraria”, per chi fa birra in casa, sono rari. Magari può servire una birra al volo per spedirla a un concorso, ma mi chiedo che senso abbia farla di corsa con un kveik, a questo punto. Sarebbe una birra competitiva per il concorso? Secondo me, no.
I Kveik possono essere utili per chi è alle prime armi e non ha una camera di fermentazione, vista la loro capacità di fermentare abbastanza bene in un range di temperature molto ampio (20-40°C).
Per il resto, il mio è un grande boh.
Kveik e luppolo: anche no
Da maniaco nella gestione del luppolo quale sono – ahimè – diventato, l’idea di lasciare gli oli essenziali del luppolo in balia di un mosto tenuto a 30-40°C per tutta la fermentazione non mi fa stare bene.
È vero che durante la fermentazione l’ossigeno viene consumato dal lievito; è vero che per il dry hopping si può abbassare la temperatura (ah, ma allora ce lo avevi il frigo libero!); ma a me continua a dare fastidio l’idea.
È dimostrato che dal luppolo, quando è a contatto con la birra, si estrae una maggiore quantità di polifenoli via via che la temperatura sale. In teoria, sarebbe meglio fare dry hopping intorno ai 10°C. Perché farlo a 35°?
Non è che kveik e luppolo non vadano d’accordo in assoluto, ma la gestione delle temperature di fermentazione quando c’è tanto luppolo in ballo per me è critica. Fondamentale. Non riesco a dormire tranquillo se fermento una birra luppolata a 40°C, che ci posso fare. Sarà un mio limite.
Non è scattato l’amore, ma rimaniamo amici
Mi rendo conto che quanto scritto sopra si basa su impressioni soggettive relative solo ad alcuni ceppi, quindi altamente discutibili. Come tali le ho presentate. Rimane il fatto che, pur avendoli utilizzati più volte – anche con una certa soddisfazione – i miei sentimenti verso questa tipologia di lieviti rimangono piuttosto “freddi”.
Dalle impressioni che ho avuto parlandone con altri homebrewer, mi sembra una opinione abbastanza diffusa. Dopo un vivace hype iniziale, l’entusiasmo per i lieviti Kveik sembrerebbe in generale scemato. Sicuramente si trovano alcuni ceppi che possono rilevarsi interessanti anche se usati singolarmente, non ho dubbi, ma non avverto lo stimolo di sostituirli ad altri lieviti “classici” che regolarmente utilizzo da tempo.
Ripeto: sicuramente i Kveik restano una risorsa nel caso di birre da fermentare in estate quando si hanno tutte le camere di fermentazione piene; preziosi come sostituzione del lievito da kit per chi non ha camera di fermentazione; interessanti – ma nemmeno troppo – per ridurre i tempi di fermentazione.
Il buon Mandrake ne sarebbe entusiasta. Io non tanto.
Io in birrificio produco una DH Kveik Farmhouse ed uso il Voss della WHC lab, da alcune cotte pilota effettuate effettivamente danno quell’agrumato anche piacevole, solo nell’ultima cotta pilota abbiamo aggiunto il DH di Summit ed il Sumac come spezia proprio per esaltare ancora di più quei sentori agrumati. Però effettivamente come dici è stato un hype iniziale poi sinè perso l’interesse per questi lieviti che sicuramente sono particolari ma per alcuni difficili da gestire.
Io mi sono cimentato con il Voss kveik di recente per un test. L’idea era di produrre una birra velocemente, da portare in viaggio nel Salento rovente e da condividere con gli amici
Se al primo assaggio ho provato storto un po’ il muso, nei successivi ho trovato un gran godimento. Si trattava di una pale ale, una best bitter per la precisione, dove ho cercato di mantenere le note maltate in evidenza e bilanciarle con leggeri aromi speziati, erbacei inglesi. Insieme a tutto questo il lievito doveva aggiungere una nota agrumata.
L’esperimento mi é riuscito, me lo riconosco con soddisfazione, ma più di tutto la lezione imparata : i luppoli e il loro contributo vanno SCELTi, a mio avviso accuratamente. Questo perché non c’è uno stile di riferimento preciso per questi lieviti ( Lars parla di mille modi diversi di fare la birra, alla fine).
Long story short, credo che si potrebbe dare qualche chance a questi ceppi, ma dobbiamo inventare qualcosa di nuovo.
Sinceramente, non saprei. Sicuramente si possono produrre birre piacevoli con questi lieviti, come dimostrano ampiamente le tante birre in commercio. Ma non vedo come si potrebbe inventare qualcosa di nuovo basandosi su questi ceppi, che non apportano particolari caratteristiche alla birra. Sarebbe qualcosa di nuovo non grazie ai kveik, ma ad altri ingredienti o processi, come è per le molte farmhouse norvegesi. Non mi hai convinto. 🙂