Quando con Daniele Iuppariello pubblicammo la puntata di MashOut! Podcast sugli stili reietti del BJCP (la #76 – se non lo avete ancora fatto, andatela ad ascoltare) mi venne subito voglia di provare a produrre diversi dei 10 stili citati in quell’oretta di chiacchiere. Dopo la Bière De Garde, è arrivato quindi il momento della Belgian IPA. Vediamo cosa è uscito fuori.
LO STILE
Le caratteristiche di una Belgian IPA si possono immaginare facilmente già dal nome: potenza luppolata – sia in amaro che in aroma – di una IPA; secchezza, esteri e fenoli da birra belga, in particolare Tripel o Belgian Golden Strong Ale. Anche il livello alcolico è tipicamente belga, con una gradazione che può facilmente arrivare ai 9% ABV e che generalmente non scende sotto i 6% ABV.
Tuttavia, leggendo attentamente la descrizione che ne fa il BJCP nella categoria 21B (quella delle Specialty IPA), emergono dettagli quantomeno curiosi. Anzitutto la luppolatura, che secondo il BJCP può essere americana o pacifica, ma anche continentale. La potenza luppolata, che può variare in intensità da alta a modesta, addirittura senza necessariamente prevedere un dry hopping. Ancora più curioso l’aspetto fermentativo: esteri da moderati ad alti – fin qui tutto bene – ma fenoli speziati leggeri o addirittura opzionali.
Devo dire che tutto ciò mi lascia un po’ perplesso, anche perché tra gli ingredienti il BJCP cita come lieviti quelli usati tipicamente per Tripel e Belgian Golden Strong Ale, che di fenoli speziati ne hanno. Vabbè, per fortuna non me ne sono mai trovata una in giuria a un concorso, altrimenti sarebbe stata dura.
La mia visione di questo stile viene da assaggi dove sia i luppoli che i fenoli si sentono bene. Ricordo la mitica Cali-Belgique IPA del birrificio americano Stone, che mi capitò di assaggiare diversi anni fa, una versione “belgizzata” della loro Stone IPA. Ma anche la Duvel Triple Hop, che mi capita ogni tanto di trovare in alcuni supermercati (non sempre in formissima, ma piacevole in ogni caso), di cui si possono trovare varie versioni che impiegano diversi luppoli.
Queste due birre, in particolare, rappresentano un po’ le due versioni estreme dello stile: da un lato, quella del birrificio belga Duvel, che è una Belgian Golden Strong Ale con più luppolo (spesso americano); dall’altro, quella del birrificio americano Stone, che è invece una IPA con lievito belga.
L’esempio tipico dello stile che cita il BJCP è la Houblon del birrificio belga La Chouffe, che fa largo utilizzo di luppoli americani come Tomahawk e Amarillo, ma anche del continentale Saaz. Oppure, ma questa non mi è mai capitato di assaggiarla, la Brussels Calling di Brasserie De La Senne, che ogni anno cambia luppolo. Anche la loro Tripel – la Jambe De Bois – è piuttosto luppolata, ma non arriverei a definirla una Belgian IPA.
RICETTA
Per la base maltata ho preferito tenermi leggero: due malti base, un Pale e un Pilsner, affiancati dal destrosio per snellire leggermente il corpo. Nonostante questo, il colore è venuto fuori piuttosto carico: le foto scuriscono un po’, ma comunque la birra era di un bel giallo dorato intenso. Mi sarei aspettato un colore un pelo più chiaro, segno che questi malti base della Dingemans sono probabilmente leggermente più scuri rispetto a quelli di altre malterie. Meno male che non ho utilizzato malti Crystal.
Come protagonista della luppolatura ho scelto il luppolo australiano Enigma che non avevo mai utilizzato prima. Viene descritto come fruttato, con una interessante nota di vino bianco (a volte chiamata anche uva spina o gooseberry) che mi sembava azzeccata in abbinamento a un lievito leggermente speziato. Ho usato anche Simcoe e Chinook in late boil, per mantenere un tocco resinoso americano in sottofondo.
Come lievito ho voluto provare questo WLP575, un blend di lieviti del Belgio della White Labs che mi ha inviato Pinta per provare il nuovo formato Pure Pitch Next Generation nella confezione da 70ml.
Come ormai faccio sempre nelle mie IPA, ho utilizzato l’acqua di Roma semplicemente filtrata a carboni attivi. Niente osmosi. Per arrivare al pH di mash, boil e sparge desiderato ho semplicemente aggiunto acido lattico. Parliamo di 13 ml di acido lattico su 19 litri di acqua totale. Circa 0,7 ml/L.
FERMENTAZIONE
La White Labs sostiene che il lievito conservato in questo formato, se tenuto in frigo, riesce a mantenere una vitalità del 95% fino a 6 mesi dal confezionamento. Nel mio caso, la busta aveva circa 4 mesi. Teoricamente, avrebbe dovuto essere molto vicina al 95% di vitalità, se non superiore. Considerando il 95% dei 150 miliardi di cellule contenute nella bustina, dovrei aver inoculato circa 143 miliardi di cellule, con un tasso di inoculo di circa 1,0 miliardi di cellule per ml per grado Plato (considerando una densità iniziale di 1.056, visto che lo zucchero l’ho aggiunto a fine fermentazione). Direi ottimale.
Non ho visto segni di fermentazione fino all’ora di pranzo del giorno dopo la cotta, ma poi le bolle sono andate veloci e la fermentazione è andata avanti senza intoppi fino a raggiungere, nel giro di una decina di giorni, una FG di 1.009 con un 86% di attenuazione apparente. Probabilmente l’attenuazione era stata raggiunta anche prima, ma in genere lascio in pace la birra durante la fermentazione misurando la densità – per verifica – qualche giorno prima di andare in cold-crash.
Al 10° giorno ho aperto il fermentatore (nel mio caso un keg da 19 litri) e aggiunto lo zucchero, il luppolo e una punta di metabisolfito per ridurre l’ossidazione (150 mg su 10 litri di birra). Di solito compio queste operazioni mentre lascio passare anidride carbonica a bassissima pressione (2psi) attraverso lo spinone del keg che arriva quasi al fondo (è leggermente tagliato). In questo modo riduco l’ingresso di ossigeno mentre il keg rimane aperto. Una volta richiuso, continuo a insufflare anidride carbonica attraverso lo spinone per circa 1 minuto.
Per compiere queste operazioni, utilizzo il coperchio del keg con un attacco aggiuntivo, in modo da avere:
- un ingresso per la CO2 al centro, a cui collegare il blow-off durante la fermentazione e la bombola durante il travaso, per spingere fuori la birra;
- un altro ingresso collegato allo spinone tagliato che arriva 10 cm sopra al fondo, per insufflare CO2 sul fondo attraverso lo spinone (durante il dry hopping). Questo ingresso, a sinistra nella foto, lo contrassegno con una X ben in evidenza onde evitare di sbagliare e attaccarci il blow-off durante la fermentazione, facendo uscire litri di birra (mi è capitato, più di una volta);
- il terzo connettore, a destra in foto, è la classica uscita per la birra. All’interno, è collegato al tubo in silicone con la sfera galleggiante.
Durante il dry hopping è impossibile prelevare campioni di mosto per via del luppolo libero in pellet che verrebbe aspirato intasando il ball lock. Dopo il cold crash, fila invece tutto liscio fino al fondo, dove però spreco un po’ di birra in più del solito per via del luppolo che si deposita durante il cold crash.
Dal grafico sopra non si vede, ma prima di travasare ho fatto 24 ore di cold crash giusto per evitare intasamenti da luppolo durante il trasferimento in un fustino da 10L che ho messo poi in frigo.
ASSAGGIO
Di questa birra ho fatto pochissime bottiglie, giusto per non finirmi il fusto in pochi giorni. L’assaggio viene da una delle prime pinte spillate dal fusto.
ASPETTO Colore giallo dorato, brillante. Buona limpidezza, anche se nella foto sopra non rende benissimo. Nella foto sotto, si vede meglio. Gradevole cappello di schiuma bianca, bolla fine, buona persistenza.
AROMA Buona intensità. Non esplosivo ma molto fresco e pulito. Spicca subito al naso una delicata ed elegante nota speziata, rustica, ricorda il pepe bianco. Il fruttato è ben presente con sfumature citriche (pompelmo, cedro), di pesca bianca e sentori molto delicati di uva spina o uva bianca. Nessuna nota di banana né frutta troppo matura. Nelle retrovie, percepisco una nota resinosa e balsamica piacevole e rinfrescante.
AL PALATO Ingresso muscoloso. La dorsale maltata supporta l’intensità luppolata con lievi sentori di miele chiaro. La luppolatura è intensa sia in amaro che in retrolfatto, ritornano le note citriche percepite al naso con uno sbuffo di arancia e pesca che fa capolino dopo il sorso. La corsa gustativa è lunga, l’equilibrio è buono fino alla chiusura amara. Buona secchezza.
MOUTHFEEL Corpo medio, carbonazione medio-alta. Non avverto particolare astringenza, né calore alcolico.
CONSIDERAZIONI GENERALI Non mi aspettavo una riuscita del genere, sinceramente. Trovo l’equilibrio complessivo di questa birra assolutamente azzeccato, con un bilanciamento al palato davvero notevole. Il luppolo australiano Enigma, che ho usato per la prima volta in questa birra, si è rivelato un’ottima scelta. Lo trovo più delicato e meno “cafone” dei classici luppoli americani (che pure si avvertono in sottofondo per via delle gettate in late boil). Le sue note leggermente “vinose” si sposano perfettamente con la speziatura apportata dal lievito. Questo blend WLP575 della White Labs mi ha davvero stupito, sarebbe da provare in qualche altro stile belga classico senza luppolo per comprenderlo al meglio. Ho fatto assaggiare la birra a diversi amici, degustatori e homebrewer, ricevendo pareri positivi. Sono molto soddisfatto, da rifare!
Ciao! Grazie per condividere le tue produzioni in modo così dettagliato. Mi è venuta la curiosità sulla fase di dry hopping e aggiunta di metabisolfito e zuccheri, nello specifico mi riferisco a quest’ultimo, dato che per quanto riguarda il metabisolfito ho letto il tuo precedente post, in cui ne spiegavi la funzione e il modo in cui lo hai utilizzato.
L’aggiunta di zucchero è esclusivamente legata al fattore “belgian” (prerogativa delle dubbel o delle tripel ad esempio), e comunque a snellire il corpo come hai spiegato, oppure ha (o potrebbe avere) qualche altra funzione nel momento in cui si aggiunge il luppolo in dry hopping?
È legata al “fattore Belgian” in questo caso, ma aiuta anche a ridurre l’ossidazione durante il dry hopping.
Ciao Frank complimenti per il post. Vedo che hai usato un paio di volte il purepitch. Cosa ne pensi? Confermi la semplicità di utilizzo? Richiede qualche attenzione in fermentazione?
Mi sembra evidente dai die post (questo e il precedente) che è andato tutto bene. 🙂
Ciao Frank, molto interessante il post ed il passaggio su metabisolfito e destrosio per limitare l’ossidazione. Il metodo potrebbe funzionare in modo efficace anche in assenza totale di CO2? Io lavoro con fermentatore conix inox atmosferico e il tema dell’ossidazione è sempre un cruccio, specialmente a imbottigliare…
Direi di sì
Ciao Frank sempre molto interessanti i tuoi post in particolare in questo volevo capire se le aggiunte di zucchero le hai realizzate sciogliendolo in acqua o a “secco”? Se hai sciolto in quanta acqua?
Sciolto in acqua e lasciato bollire per qualche minuto. La quantità non l’ho misurata, ma è il minimo indispensabile per farlo sciogliere. Non c’è bisogno di raffreddarlo troppo, anche inserendolo a 40°C non fa variare molto la temperatura della birra trattandosi di piccole quantità.
Ciao Frank, non mi è chiaro se vanno aggiunti i sali anche all acqua di sparge o solo a quella di mash. Il profilo dell acqua che a noi interessa si riferisce al totale dell acqua utilizzata o solo a quella di mash?
I sali sono sprecati nell’acqua di sparge, perché calcio e magnesio aiutano a ridurre il pH solo se ci sono i malti. Per l’acqua di sparge è sufficiente portare il pH intornuo a 5.2 con acido.