Riprendiamo il filo lasciato in sospeso con il post precedente. Stavolta parleremo nello specifico di oli essenziali e delle fasi di luppolatura, sempre nell’ottica della scelta del luppolo per le nostre IPA.

Breve recap sugli oli essenziali del luppolo

Gli oli essenziali del luppolo sono i principali responsabili degli aromi che percepiamo quando beviamo una birra luppolata. I composti che generano queste sfumature aromatiche sono diversi, principalmente ascrivibili a tre grandi gruppi: terpeni, terpenoidi (e altri composti ossigenati) e composti dello zolfo.

Alla prima famiglia (i terpeni, detti genericamente idrocarburi) possiamo associare aromi resinosi/balsamici e legnosi (woody), ma anche speziati ed erbacei (tipici dei luppoli nobili). A questa famiglia attribuirei anche gli aromi cosiddetti grassy (di cui ho già parlato in quest’altro post) che possono ricordare la clorofilla, la corteccia verde o una foglia verde. Fanno parte di questa famiglia tutti quei composti che finiscono in -ene, come mircene, pinene, farnesene, cariofillene.

Alla seconda famiglia (i terpenoidi, detti anche idrocarburi ossigenati) sono in genere associati aromi legati ai fiori, all’erba appena tagliata o alla frutta (spesso agrumi). Fanno parte di questa famiglia tutti i composti che finiscono in -olo come linalolo, citronellolo, geraniolo, linalolo, farnesolo. Il suffisso -olo è dovuto alla loro struttura molecolare, simile a quella degli alcoli (sono alcoli). Appartengono a questa famiglia anche altri composti aromatici come aldeidi, esteri e chetoni ed epossidi con aromi in generale fruttati, ma sono meno comuni.

Gli esteri presenti nei luppoli (il cui nome in genere finisce in -ato) hanno aromi piacevoli che possono spaziare dall’ananas (isoamilbutirrato) fino all’albicocca (2-metilbutilisobutirrato).

Alla terza famiglia appartengono tutti i composti dello zolfo, quelli con i nomi assurdi spesso abbreviati in 4MMP (black currant, a volte piscio di gatto), il 3MH (frutto della passione, pompelmo) e il 3MHA (frutto della passione). Questi composti sono spesso chiamati tioli. Nella categoria dei composti dello zolfo troviamo anche sostanze con aromi non proprio piacevoli che possono ricordare la verdura cotta, ma anche sedano, aglio e cipolla.

Un aspetto importante di questi composti è che non sono tutti solubili allo stesso modo. In particolare, i terpeni hanno una solubilità estremamente ridotta mentre i terpenoidi sono molto più solubili così come i composti dello zolfo, che però sono anche estremamente volatili. Questo aspetto si ripercuote sulle modalità di utilizzo dei luppoli, che possono essere diverse a seconda dell’apporto aromatico che stiamo ricercando.

Entra a questo punto in gioco un approccio molto interessante sviluppato dalla Yakima Chief negli ultimi anni.

Scegliere i luppoli in base ai “survivables”

La Yakima Chief ha coniato il termine survivables per indicare quei composti aromatici, presenti nei luppoli, che hanno una maggiore probabilità di “sopravvivere” al processo produttivo. Ovvero, detto in altro modo, i survivables sono quei composti aromatici più solubili che tendono a rimanere in soluzione più a lungo.

Un esempio sono gli alcoli (ovvero tutti i composti ossigenati citati prima) che, grazie alla loro polarità, hanno una ottima solubilità. È quindi molto più probabile che riescano, almeno in parte (sono sempre composti volatili, altrimenti non contribuirebbero all’aroma della birra) a resistere a qualche minuto di bollitura, al whirpool e alla fermentazione.

Al contrario, composti poco solubili come i terpeni tendono facilmente a volatilizzarsi o a uscire dalla soluzione rimanendo intrappolati nel trub a fine bollitura o sulle cellule di lievito mentre precipitano su fondo a fine fermentazione. Non a caso, l’aroma resinoso è uno dei primi a scomparire quando la birra invecchia in bottiglia, lasciando il campo agli aromi fruttati che derivano da alcoli e chetoni, maggiormente solubili.

Come dice la Yakima Chief, se un composto aromatico finisce con -ene non arriverà facilmente a fine processo (come il mircene), se finisce con -olo o con -ato (alcoli ed esteri) invece sì. Questi ultimi composti sono definiti, appunto, survivables.

Nel grafico sotto (preso da questa interessante presentazione) una analisi fatta sempre dalla Yakima Chief che ordina alcuni luppoli in base ai composti aromatici che contengono e alla probabilità che questi rimangano in soluzione.

Si intuisce quindi che luppoli come Centennial, Idaho 7 e Mosaic sono adatti per un utilizzo in late boil e hopstand, mentre luppoli come Cascade e Azacca, che tendono a contenere meno oli “survivables”, rendono meglio se utilizzati nelle ultime fasi del processo, ovvero in dry hopping.

Per quanto lo studio della Yakima Chef sia affascinante, devo dire che i risvolti pratici per noi homebrewer non sono particolarmente evidenti. Questo perché raramente (direi mai) abbiamo a disposizione analisi puntuali delle singole raccolte di luppolo, il che rende tutto il discorso un po’ vago.

Inoltre, di fatto sapevamo già che mediamente il Cascade ha oli “survivables” in quantità minore rispetto, per esempio, al Centennial. Non a caso, il Centennial viene chiamato Cascade on steroids appunto perché ha oli simili al Cascade ma in quantità maggiore. Questa analisi conferma una teoria che più o meno tutti sapevamo. Non ci vedo una enorme svolta pratica, ecco.

Ha forse più senso pratico ragionare su quando aggiungere il luppolo, tra le varie fasi della produzione. Vediamo.

Boil, hopstand/whirpool o dry hopping? 

Una delle scelte più complicate quando si utilizza il luppolo in una cotta è decidere quando aggiungerlo al mosto o alla birra. Come sappiamo bene, nel processo di produzione ci troviamo sempre di fronte a continui compromessi: non c’è in assoluto un momento migliore per aggiungere il luppolo, ci sono pro e contro per ogni tipologia di aggiunta.

A mio avviso, le gettate prima dei 20 minuti sono da intendersi per l’amaro. Difficilmente sopravviveranno composti aromatici se il luppolo viene aggiunto prima di 20 minuti dalla fine della bollitura, qualunque essi siano. È vero che alcuni test hanno evidenziato come alcuni aromi speziati rimangano nella birra anche se il luppolo viene aggiunto a inizio bollitura (vedi libro di Scott Janish “The New IPA”), tuttavia si tratta di casi eccezionali e di contributi molto “sottili”. Non starei a scervellarmi su questo aspetto.

Le gettate tra 20 minuti e il flameout trattengono una maggiore quantità di componenti aromatici. In questo caso, il compromesso sta tutto nel momento in cui si aggiunge il luppolo: più tempo rimane a contatto con il mosto che bolle, maggiore la quantità di oli che vengono solubilizzati. Però, nel contempo, più il luppolo viene lasciato bollire, maggiore sarà la quantità di oli che si volatilizzano. Non c’è ovviamente una regola precisa, si va a naso e a prove. Se il luppolo che stiamo utilizzando ha alfa acidi molto alti, a volte sarà necessario spostare la gettate il più avanti possibile per ridurre la quantità di IBU estratti. Oppure, aggiungerlo direttamente in hopstand/whirpool.

Gli oli non-survivable, quindi tutti quelli che finiscono in -ene (aromi woody/resinosi/speziati) non riescono ad arrivare in concentrazioni significative nella birra se i luppoli vengono aggiunti in boil. Quindi, se ricerchiamo una significativa componente resinosa/speziata, è bene aggiungere i luppoli nelle fasi successive.

Le aggiunte in hopstand (o whirpool per chi riesce, ma in casa non è facile) vengono gestite a temperature più basse, per ridurre al minimo l’estrazione di amaro. In genere, si fredda il mosto fino a 75°C e poi si aggiunge il luppolo, lasciandolo a contatto con il mosto caldo per circa 15-20 minuti. L’hopstand non ha una grande efficacia di estrazione perché il mosto è fermo, ma non estrare amaro e il calore ridotto ha un effetto diverso sugli oli essenziali, che evaporano molto meno. Il whirpool agisce più o meno con lo stesso meccanismo, ma l’agitazione del mosto produce un’efficacia di estrazione migliore.

Si possono ovviamente combinare aggiunte in late boil e hopstand, ma personalmente non esagererei. Io non faccio mai più di due aggiunte in late boil (in tempi diversi), se faccio hopstand sposto l’ultima aggiunta in late boil su quella in hop-stand.

Probabilmente qualche non-survivable riesce a sopravvivere all’hop-stand, ma è molto probabile che venga poi “strippato” via con la fermentazione.

Sulle aggiunte durante la fermentazione ci sarebbe da fare un discorso a parte, provo a riassumere. Anche qui, siamo di fronte a un compromesso: la fermentazione “strippa” via aromi, sia per evaporazione con l’anidride carbonica, sia per contatto con le cellule di lievito che le portano gli oli sul fondo del fermentatore. Da una parte, quindi, si perde aroma.

Dall’altra, però, favoriamo le biotrasformazioni operate dal lievito sugli oli essenziali, che possono portare risultati diversi a seconda della tipologia di reazione: aumentare gli aromi agrumati, quelli tropicali, o addirittura farne emergere di nuovi (vedi glicosidi). Sicuramente riducono la componente resinosa/speziata/legnosa (non survivables) a favore di quella aromatica e tropicale. Detto ciò, molto dipende dal lievito e dal luppolo utilizzato. Aggiungere il luppolo durante la fermentazione ci mette però sostanzialmente al riparo dall’ossidazione, aspetto da non trascurare.

Ed eccoci arrivati all’ultima delle aggiunte, il caro vecchio dry hopping a fermentazione ultimata. Abbiamo capito ormai che questo tipo di aggiunta favorisce la solubilizzazione nella birra dei non survivables (oltre al resto degli oli essenziali), amplificando gli aromi balsamici e resinosi. Ideale per un certo tipo di IPA, oppure da usare in combinazione con altre gettate per ottenere il bilanciamento complessivo che più ci aggrada.

Lo so, le variabili sono moltissime. Non è facile prendere una decisione, le prove da fare sono moltissime. Spesso, purtroppo, non avendo dati quantitativi sugli oli essenziali presenti nei luppoli, siamo costretti a muoverci a braccio in base a dati storici e generici. Ma non ci si può fare molto.

E badate bene che non ho messo sul tavolo tecniche o soluzioni ancora più complicate e innovative – in molti casi non ancora ben studiate – come Dip Hopping, Cold Hopping, estratti di luppolo, cryo blend etc…

Va bene tutto, ma di quanto luppolo stiamo parlando? 

Puramente a titolo indicativo, ho provato a costruire una piccola tabellina riepilogativa sui dosaggi comunemente utilizzati per le birre luppolate, partendo dalle Golden Ale inglesi fino alle New England IPA. Prendetelo ovviamente come schema di riferimento.

 

 

2 COMMENTS

  1. Ciao Frank, riprendendo anche la prima parte dell’articolo, se tu volessi fare una birra con i 3 luppoli complementari che hai usato nell’esempio, e sapendo che terpeni, terpenoidi e composti dello zolfo si solubilizzano ed evaporano in maniera diversa, suppongo che tu non aggiungeresti tutti e tre a fine boil, ma per ogni luppolo valuteresti quando è meglio fare la gettata, corretto? Nell’esempio citato Simcoe e Rakau possono andare in hopstand o late boil mentre il Chinook che fornisce l’aspetto resinoso (molto volatile) in dry hopping…con un dosaggio tipo 4g/L per ogni luppolo, oppure comunque tutti e tre li metteresti sia in late boil che in dry hop?

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