L’ultima cotta dello scorso anno, prima di Natale, è stata la tanto pianificata sperimentazione del mash reiterato. La ricetta è molto semplice: un Barley Wine all’inglese che dovrebbe essere pronto per l’estate, o giù di lì.

L’esperienza descritta in questo post segue quanto già sviluppato in un articolo precedente (link). Come è andata la cotta? Bene, molto. Vediamo nel dettaglio.

LE MIE ESPERIENZE PRECEDENTI

Nel 2019 ho prodotto la Griffith Avenue Imperial Stout utilizzando il mio vecchio impianto BIAB con ricircolo. Non feci sparge. Pensai la ricetta con l’aggiunta di un 16% di estratto light, perché sapevo fin da subito che il povero impianto non avrebbe retto lo stress.

Riuscii a beccare i litri target ma l’efficienza fu davvero imbarazzante: 39%. Con l’aggiunta dell’estratto sono riuscito ad arrivare a una misera OG di 1,086. La birra non venne male, ma lo spreco di malti fu davvero ingente. E anche la delusione a fine cotta.

Nel 2020 fu l’anno del Barley Wine. Memore della pessima esperienza precedente, stavolta cambiai approccio optando per una bollitura di 2 ore. Fosse stato per me, avrei anche fatto tre ore di bollitura, ma la capienza delle mie pentole non me lo permetteva. Nel frattempo, avevo fatto un upgrade al mio impianto, introducendo anche lo sparging. Anche in questa ricetta ho aggiunto estratto di malto a fine bollitura.

L’ammostamento andò bene, con una efficienza dell’80%. Del resto, parliamo di una OG pre-boil di 1.052, assolutamente standard. Alla OG finale di 1.100 ci arrivai con 2 ore di bollitura e con l’aggiunta di un significativo 23% di estratto di malto. L’efficienza complessiva si attestò su un 53%. Un miglioramento rispetto alla cotta precedente, ma fui costretto a ridurre i litri finali da 12 a 9 per via della lunga bollitura.

Nella cotta successiva, quella della prima versione della mia Nero Forte Imperial Stout, andò decisamente meglio. Due ore di bollitura, no sparge, no estratto. Ottenni 9 litri di birra con una efficienza complessiva del 58%. La cotta fu comunque complicata da gestire perché la pentola di ammostamento era piena fino all’orlo e il ricircolo faceva gran fatica.

La prova dell’instabilità di questa configurazione la ebbi con la cotta successiva, la Nero Forte edizione 2022: stessa birra, stesso approccio, efficienza complessiva crollata al 42%, accompagnata da diverse imprecazioni durante l’ammostamento per i vari blocchi del ricircolo. Alla fine ho dovuto aggiungere un 6% di zucchero Cassonade scuro per arrivare a 8 litri con densità 1,097. Un dramma. La birra venne anche buona, ma la cotta fu un incubo.

Riassumendo, per quanto riguarda le alte OG:

  • impossibile, con la mia attuale configurazione, avere efficienze accettabili con metodo di produzione standard ovvero mash, sparge e bollitura standard da un’ora
  • le cotte sono gestibili con l’aggiunta di un 15-20% di estratto o zucchero
  • l’efficienza diventa accettabile con bollitura prolungata (2 ore) ma è necessaria la riduzione dei litri prodotti per i limiti di capienza dei pentoloni
  • lo stress rimane molto alto durante la cotta per via del livello estremo di riempimento del tino di ammostamento
  • gli imprevisti – blocco del ricircolo, impaccamento del mash – sono sempre dietro l’angolo, con conseguente crollo dell’efficienza.

Tutto ciò mi ha spinto a dare una possibilità alla tecnica del mash reiterato. Vediamo come è andata.

LA COTTA

Sapendo che andavo incontro a una cotta più lunga del solito, ho puntato la sveglia all’alba. Durante la giornata precedente alla cotta ho preparato l’acqua – di rete, semplicemente filtrata con carboni attivi – e tutto l’impianto che ho collegato alla corrente con un timer per trovare l’acqua calda al punto giusto appena sceso dal letto. Ho macinato i malti, li ho messi in due secchi etichettati “mash1” e “mash2” e sono andato a dormire.

In totale ho usato 6,55 Kg di grani: non sarebbero mai entrati nella mia pentola se avessi usato un approccio classico. La previsione era di un’efficienza complessiva (tra primo e secondo mash) del 61% con una OG prevista di 1.106.

MASH#01

Alle 5:31 parte il primo ammostamento. Acqua modificata con aggiunta di sale da cucina (cloruro di sodio) e acido lattico, con l’obiettivo di un pH di mash intorno a 5.4 e ammostamento a 66°C per una quarantina di minuti. Non avendo la necessità di convertire tutti gli amidi in zuccheri al primo ammostamento, si potrebbero anche accorciare i tempi. Ho preferito mantenermi su tempi standard per solubilizzare più amidi possibile in questa prima fase.

Ho fatto andare il mash fino a quando non ho visto un bel mosto limpido, ovvero circa 50 minuti. Dopodiché sono passato al classico sparge con 9 litri di acqua a 78°C e pH 5.2. A fine sparge ho inclinato la pentola di mash per recuperare anche l’ultimo litro sul fondo, cosa che in genere non faccio perché inclinando la pentola il mosto si porta dietro i residui solidi che si trovano sul fondo. In questo caso non era un problema, visto che avrei rimesso il mosto nella stessa pentola per il secondo ammostamento.

Per misurare i litri uso la bilancia: peso il mosto e divido per la densità del mosto che misuro con un densimetro.

Nelle mie cotte standard con mosto a densità media ho circa l’80% di efficienza di ammostamento. In questo caso, avevo previsto un aumento per via del recupero del litro di mosto sul fondo della pentola di ammostamento. Mi sono stupito di quanto sia andato tutto esattamente come previsto. Efficienza del primo ammostamento 86%: si inizia alla grande!

Ho fatto confluire tutto il mosto nella pentola di boil, che alla fine dello sparge era quasi piena. Non avendo rubinetto in questa pentola (a fine bollitura sifono dall’alto), mi sono arrangiato con una brocchetta in vetro per trasferire nuovamente parte del mosto nella pentola di sparge e parte in quella di ammostamento per il secondo round. Sicuramente c’è stato un po’ di splashing, ma in un Barley Wine non dovrebbe essere un dramma.

MASH#02

Una volta tolte le trebbie esauste dalla pentola di mash, riparto con il secondo ammostamento. Posiziono la pentola con il mosto per lo sparge sui fornelli di casa, per portarla nuovamente a 78°C, e accendo il PID per scaldare il mosto per il mash a 70°C per scendere poi a 66°C una volta inseriti i grani che avevo già macinato.

Dopo dieci minuti misuro il pH di ammostamento: 5.48. Decido di abbassarlo aggiungendo 1 ml di acido lattico. Misuro nuovamente: 5.38. Perfetto. Il pH del mosto di sparge è a 5.3. Non lo modifico.

Da quanto ho sentito dire – ma ancora non ho provato – il pH del secondo ammostamento potrebbe essere un problema nel caso si produca una Imperial Stout. Se si aggiungono malti scuri al secondo giro, il pH potrebbe infatti scendere troppo. A quel punto occorrerebbe aggiungere carbonato di calcio oppure bicarbonato di sodio per alzare il pH. Non ho ancora provato, ma credo che con la mia acqua di Roma (con bicarbonati a 400 ppm) non dovrei avere problemi se utilizzo i malti scuri nel primo ammostamento. Un giorno proverò.

In questo caso, nessun problema di pH e mosto di un bel colore ambrato carico.

Dopo il secondo ammostamento faccio il solito sparge con il mosto del primo mash. Esce un mosto bello limpido che raccolgo nuovamente nella pentola di bollitura. Non inclino la pentola di mash, lasciando il mio solito litro di mosto sul fondo come perdita. Faccio le misure di routine e trovo una bella sorpresa.

Addirittura 4 punti di efficienza di ammostamento in più rispetto a quanto previsto! Questo è dovuto a un fenomeno inaspettato: le trebbie del secondo ammostamento hanno assorbito meno: 0,7 L/Kg rispetto ai miei classici 1,0 L/Kg. Questo ha portato a recuperare quasi un litro in più di mosto che aveva la densità attesa di 1.082.

Non so se è un caso. La spiegazione che mi do è che il mosto tenda ad assorbirsi meno rispetto all’acqua per via della concentrazione zuccherina. Ma è un’ipotesi che non sono sicuro abbia senso. Errori di misura non dovrei averne fatti, visto che ho pesato sia il mosto recuperato sia quello rimasto sul fondo della pentola di ammostamento.

Insomma, verso le 8.45 ho finito il secondo ammostamento con il sorriso sulle labbra. Sono passate 2 ore un quarto dal primo mash-in, ma la gestione della cotta è fluita senza alcun intoppo. Un’oretta in più rispetto al solito, ma niente imprecazioni.

BOLLITURA

Alle 9.00 in punto inizio la bollitura. Tutto fila liscio senza intoppi. Verso la fine della bollitura aggiungo nutrienti e Irish Moss. Raffreddo e travaso nel fermentatore, sifonando dall’alto come al solito. Quando inizia a salire mosto troppo sporco, mi fermo.

Raccolgo nel fermentatore 10,2 litri contro gli 11 litri previsti.

Potrei tranquillamente continuare a sifonare, ma preferisco fermarmi. Avevo previsto 11 litri per sicurezza, ma non ne ho bisogno. Nel fusto in cui travaserò la birra per la maturazione non ci entrano comunque più di 9.5 litri. Preferisco lasciare il mosto torbido nella pentola di bollitura insieme al trub,

Questo il risultato finale.

Nell’ultima riga ho fatto il solito check, calcolando la densità attesa in base ai litri pre e post boil, in modo da verificare che le misure fatte siano coerenti. Tra l’altro, a fine cotta ho rotto il densimetro. Per fortuna ne avevo uno di riserva, ma provandolo con acqua leggera ho visto che misurava circa 3 punti in più del normale. Non so quanto fosse affidabile. A ogni modo, i conti più o meno tornano.

Se avessi recuperato un litro in più di trub – cosa che avrei potuto fare senza grandi problemi – l’efficienza complessiva sarebbe stata del 59%. Direi un ottimo risultato, in linea con le previsioni.

Fine della cotta alle 11.00, incluso raffreddamento di una mezz’ora con serpentina. Un totale di 5 e 30 minuti. Un’oretta in più del solito.

L’efficienza complessiva (55%) non è molto più alta di quella che ottenni qualche anno fa con la RIS (53%), facendo sempre un’ora di bollitura. Le differenze sono però sostanziali: in quel caso ottenni 9 litri di mosto, feci 2 ore di bollitura, aggiunsi 23% di estratto e, soprattutto, lasciai solo 1 litro di trub. Evidentemente, essendo la birra scura, viene più facile tirare nel fermentatore un po’ di trub senza farsi troppi problemi.

IN CONCLUSIONE

Direi che la cotta è andata oltre le più rosee aspettative. La conoscenza del mio impianto, con cui ormai produco birra in configurazione stabile da diversi anni, mi ha aiutato a prevedere l’andamento di perdite e densità con una precisione a tratti sorprendente.

Cotta più lunga del solito ma senza alcun intoppo. Un’altra storia rispetto alle ansie delle cotte precedenti per birre ad alta densità.

Considerando che nelle cotte “standard” ho un’efficienza complessiva intorno al 70%, l’efficienza del 55% raggiunta in questa cotta ad alta OG – senza uso di estratto, zucchero o lunghe bolliture – è più che accettabile. Efficienza che può essere facilmente portata al 60%, recuperando un po’ più di mosto dal fondo.

Vale la pena fare tutto questo casino solo per evitare di utilizzare un po’ di estratto in ricetta? La risposta a questa domanda è molto personale. In altri tempi, quando avevo meno tempo libero a disposizione, avrei detto di no. Oggi, invece, probabilmente direi di sì.

A voi la scelta.

Lascio qui il file Excel che ho utilizzato per gestire la cotta. Avvertimento: non è pensato in logica user-friendly, quindi non aspettatevi istruzioni per la compilazione. Per qualsiasi domanda specifica sul file, sono qui.

 

 

 

 

 

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