Questa American Porter ha una storia particolare, che merita di essere raccontata. Prima dell’estate, Pinta mi mandò, insieme a un ordine che avevo fatto, una bustina di lievito Lutra Kveik secco, una novità lanciata da poco sul mercato dalla Omega Yeast.
Per chi non conoscesse i Kveik, rimando ai numerosi articoli pubblicati sul blog (link). In passato ho prodotto diverse ricette con i ceppi Hornindal, Voss e anche il Lutra, ma la versione liquida. Questa bustina mi aveva intrigato, così ho deciso di utilizzarla per la prima cotta dopo l’estate, quando le temperature erano ancora adatte all’utilizzo di questa tipologia di lieviti che amano lavorare a temperature molto alte.
Ho usato questa ricetta come svuotadispensa prima di lanciare l’ordine per la nuova stagione brassicola. Quale stile migliore di una Porter per una svuotadispensa? È uno stile che può accogliere la maggiore varietà di malti e luppoli senza snaturarsi troppo.
La costruzione di questa ricetta non finisce tuttavia qui. Dato che il 16 Ottobre avrei dovuto organizzare un esame BJCP qui a Roma, ho pensato di produrre una birra che potesse essere portata come birra d’esame da far assaggiare e valutare alla cieca ai partecipanti. Durante il Tasting Exam BJCP vengono servite 6 birre, di cui viene comunicato solamente lo stile. I partecipanti devono assaggiare e valutare le 6 birre, alla cieca, compilando il classico Scoresheet BJCP in tutte le sue parti. Le birre vengono assaggiate anche da due giudici esperti (proctor) che compilano schede simili.
Ho pensato quindi di produrre questa birra per l’esame, aggiungendo un ulteriore livello di difficoltà. L’ho presentata come American Porter, ma l’ho prodotta con il Kveik e, soprattutto, senza l’utilizzo di luppoli americani. Si può fare? In realtà sì, vediamo perché.
LO STILE
Probabilmente non molti lo sanno, ma dall’edizione 2015 delle linee guida il BJCP ha eliminato lo stile “Robust Porter”. In realtà non è stato tolto dalle linee guida, è in qualche modo nascosto tra gli stili americani.
La motivazione addotta pe questo cambiamento (che io non condivido appieno) è la stessa che ha portato le Imperial Stout nella categoria delle birre americane: le classiche Stout e Porter poco alcoliche rimangono all’Inghilterra, dove sono nate, le versioni più muscolose si sarebbero (secondo il BJCP) sviluppate e diffuse grazie all’approccio americano. Il discorso non è completamente campato per aria, a dire la verità. È probabilmente vero che le Imperial Stout oltre gli 8 gradi e le Porter oltre i 5-5.5 sono probabilmente più diffuse in America che nel Regno Unito, ma da qui a chiamarli stili americani ce ne passa.
Polemiche a parte, leggendo bene le caratteristiche dello Stile American Porter del BJCP (20A) scopriamo che l’aroma di luppolo può variare da basso ad alto, l’amaro da medio ad alto. Ma, soprattutto, si possono utilizzare luppoli di qualsiasi varietà, non necessariamente americani. E ancora: leggendo nei commenti, viene espressamente detto che fanno parte di questo stile anche le Robust Porter prodotte con lieviti e luppoli inglesi (è stata aggiunta nelle linee guida BJCP 2021 la frase “Sometimes called Robust Porter“).
Ed ecco quindi l’idea: portare una birra “trabocchetto” all’esame BJCP, per vedere quanto le percezioni sensoriali dei partecipanti e dei proctor sarebbero state condizionate dal nome dello stile e quanti di loro avrebbero posizionato la birra fuori stile per l’assenza di un forte aroma luppolato tropicale, citrico o resinoso.
Perfido? Un po’, ma le altre birre erano abbastanza semplici.
Vediamo dunque la ricetta di questa birra.
RICETTA
Da buona svuotadispensa, ho buttato nel pentolone un po’ di tutto. Ho caricato abbastanza su malti tostati, cercando un aroma “bruciato” leggermente più intenso rispetto a una classica English Porter, che in genere è più delicata.
Luppoli, come anticipato, europei. Avrei voluto usare solo l’inglese Fuggle, ma non ne avevo abbastanza, allora ho infilato dentro anche un po’ di Germania con l’Hersbrucker. Il dosaggio è stato generoso, più di 5 g/L in late boil.
Lievito Kveik Lutra, come anticipato. Acqua di rubinetto, molto ricca di sali e bicarbonati, a cui ho aggiunto cloruro di sodio (il sale da cucina) per accentuare la sapidità. Ho aggiunto anche Gypsum Cloruro di Calcio per alzare i cloruri e contrastare l’amaro e il tostato con un taglio più maltato.
FERMENTAZIONE
Quando ho prodotto la birra, in Settembre, non faceva caldissimo come ad Agosto. In frigo avevo un’altra birra a fermentare, quindi ho semplicemente raffreddato fino a 35°C, inoculato la bustina di Kveik senza reidratazione e lasciato il fermentatore in sgabuzzino.
La fermentazione è partita dopo sole 2 ore, dopo 6 ore le bolle erano già esuberanti. Al secondo giorno avevano rallentato molto, al terzo praticamente non c’erano più bolle.
La densità al quarto giorno era ancora altina, ma non mi andava di collegare sonde o cavi riscaldanti. Ho lasciato il fermentatore alla temperatura ambiente e misurato nuovamente dopo diversi giorni. A questo punto la densità era scesa a 1.014, con un’attenuazione del 77%. Ho deciso che andava bene, ho travasato in fusto piccolo da 10 litri, messo in frigo e carbonato forzatamente a circa 2 volumi.
ASSAGGIO
Ho bevuto parecchie pinte direttamene spillate dal fusto. Dopo qualche giorno ho trasferito il residuo nelle bottiglie tramite contropressione, direttamente dalla spina con l’aiuto del riempitore della Kegland.
Al primo assaggio, appena dopo averla trasferita nel fustino più piccolo, non mi è piaciuta molto: astringenza netta, tostato ben oltre la soglia della piacevolezza. Ho pensato vabbè, la poterò lo stesso all’esame come birra difettata.
Me la sono dimenticata in fusto, al freddo, per una decina di giorni e l’ho riassaggiata. Un’altra birra. Particolare – ne parleremo a breve – ma piacevole. L’ho bevuta molto volentieri. Ma andiamo per gradi
VALUTAZIONI DEI PARTECIPANTI ALL’ESAME BJCP
Come organizzatore del Tasting Exam BJCP di Roma, che si è svolto Domenica 16 Ottobre 2022 presso il pub Luppolo Station di Roma, ho accesso alle schede compilate dai partecipanti e a quelle compilate dai due proctor (giudici esperti). Ovviamente non posso divulgare le schede, ma una piccola analisi statistica dei dati sì. Vediamo come gli esaminandi hanno valutato questa American Porter.
Partiamo dai voti. Il BJCP prevede l’assegnazione di un voto numerico ad aroma, aspetto, flavour, mouthfeel e impressioni complessive. La somma dei voti parziali arriva massimo a 50. Qui sotto, lo schema guida del BJCP per l’assegnazione dei voti.
Una birra che prende sopra il 30 è una buona birra, sotto ha difetti evidenti o è completamente fuori stile. Vedremo che qui qualcuno dei partecipanti è caduto nella trappola dello stile “americano”.
Quando cerchiamo di intepretare i voti assegnati alle birre dai partecipanti durante l’esame, bisogna ricordare che sono diversi da quelli di un qualsiasi concorso BJCP. Questo perché chi partecipa all’esame cerca di non esagerare con i voti, né in alto né in basso, in modo da non rischiare di andare troppo lontano dal voto assegnato dai due proctor. Questo perchè la vicinanza del proprio voto a quello dei proctor fornisce una quota dei punti che contribuiscono al voto globale d’esame.
A conferma di questa teoria, come si vede dall’immagine sotto, i 12 voti che i partecipanti hanno assegnato a questa birra ricadono perfettamente in una curva gaussiana simmetrica a campana. Il voto massimo è stato 40, il minimo 23. Il voto medio dei 12 partecipanti si assesta su un buon 36/50. Considerando che siamo all’esame, la birra mediamente è piaciuta molto.
I voti più bassi (23/50, 29/50 e 32/50) sono tutti accompagnati dalla nota “aroma di luppolo troppo basso“. Caduti nella trappola 🙂
Andiamo agli aromi percepiti al naso. Vincono su tutti caffè e cioccolato, come è giusto che sia. Sono state colte anche note resinose e citriche, più da luppoli americani ma alla fine, volendo essere onesti, sono sfumature che possono emergere anche da Fuggle e Mittelfruh. Magari il resinoso era più erbaceo, ma siamo lì.
Fanno capolino qui e là note fruttate, con la frutta rossa più citata di altri frutti (come pesca o pera). Sarà fruttato da esteri del lievito? In realtà il Lutra dovrebbe essere molto neutro. La frutta rossa potrebbe derivare anche dai malti.
In generale l’aroma è piaciuto. Qualcuno, come vedremo, ha notato diacetile (che secondo me ma anche secondo i proctor non c’era), forse lasciandosi influenzare dallo stile.
Veniamo alle altre caratteristiche, a volte considerate come difetti, altre no. L’astringenza è l’aspetto in assoluto più citato, ma nella maggior parte dei casi è stata ritenuta sotto al livello di guarda. Tra l’altro, secondo il BJCP, è anche concessa nello stile (ovviamente leggera).
L’aspetto curioso è che le impressioni sul mouthfeel sono state davvero molto variabili: per alcuni è astringente, per altri assolutamente no; in alcuni casi è considerata cremosa, per altri invece è torppo secca; ancora, qualcuno ha sentito un warming, altri hanno scritto espressamente “zero warming”.
Per 4 persone l’aroma di luppolo era troppo basso, ma sappiamo ormai che questo è un errore nella comprensione dello stile. L’aroma di luppolo americano era basso volutamente, non essendoci luppoli americani in ricetta.
Riportando le valutazioni delle 5 aree citate prima in più comprensibili decimi, otteniamo i voti medi riportati nel grafico sotto. Meglio l’aroma del flavor, mouthfeel e appearance molto bene e voto complessivo (overall) più che suufficiente.
VALUTAZIONI DEI PROCTOR (GIUDICI ESPERTI)
Qui lo scenario si ribalta completamente: ai proctor la birra non è piaciuta granché. Le loro valutazioni sono state quasi le più basse del gruppo, 24/50 e 25/50, ma le uniche così basse a non essere accompagnate dalla nota “aroma di luppolo troppo basso”.
Valutazioni modeste quindi non per il fuori stile, ma per altro. Quali difetti hanno trovato?
L’aroma è piaciuto molto a entrambi. Hanno utilizzato più o meno gli stessi descrittori dei partecipanti. Uno dei due proctor ha percepito frutta tropicale (condizionamento?), ma la nota interessante da citare è una certa “acidità volatile”, su cui torneremo.
Tra i commenti, presenti nelle schede dei proctor, che possono giustificare voti così bassi troviamo:
- corta al palato
- astringenza
- calore alcolico
- Acre (per i malti tostati, a tal punto da non riuscire a finire una pinta, dice)
LE MIE IMPRESSIONI
Parto con le mani avanti: a me questi lieviti Kveik non riescono a convincere, almeno quando vengono utilizzati in stili classici. Questa è la quarta birra che produco con il Kveik, e ogni volta trovo qualcosa che non va. Birre buone, piacevoli, per carità, ma c’è sempre quel “qualcosa” che le rende “strane”.
Potrebbe essere pregiudizio, il mio, o condizionamento. Ma anche in questa birra, che mi è piaciuta e che ho bevuto molto volentieri, sentivo un retrogusto quasi “umami”, terroso, non so ben descriverlo. Anche l’astringenza che è uscita, soprattutto all’inizio, non è quella tipica di una ricetta del genere. Per carità, i malti tostati sono tanti in ricetta ma ho fatto di peggio con risultati migliori.
Sinceramente mi ritrovo molto più con il giudizio dei partecipanti all’esame: un campione abbastanza ampio di 12 persone con diversi livelli di esperienza (c’era chi aveva già fatto l’esame BJCP, ma anche un biersommelier della Doemens). Per me la birra è venuta bene.
Però.
Dalla valutazione dei proctor spunta qualcosa di indicativo, quel qualcosa che forse disturba anche me. Quelle note acri, quella nota sour, l’astringenza… che sia correlata in qualche modo alla fermentazione con questo ceppo di lievito?
Non lo so, non ho un parere definitivo. Certamente il dubbio c’è e rimane, nella mia testa, ma non a tal punto da non farmi più utilizzare i lieviti Kveik, che in estate trovo molto comodi per fare birre velocemente senza troppi problemi.
Questa analisi delle schede d’esame è stata comunque interessantissima, conferma ancora una volta quanto il mondo della percezione sia complesso. Come tante persone, con diversi livelli di esperienza, possano percepire la stessa birra in modo nettamente differente. Ma anche tra le schede dei due proctor, sebbene vicine in termini numerici, le descrizioni hanno elementi che le rendono abbastanza diverse l’una dall’altra.
In sintesi: per me la birra ha un ottimo aroma, cioccolato e caffè ma anche caramello. Buona complessità anche al palato, amaro ben bilanciato e tostato interessante. Bassa astringenza che rimane nei limiti del piacevole, basso o nullo tenore alcolico. No diacetile, no solfuri, no esteri. Buona, a parte questa leggera “stranezza” che non saprei definire. Me la son goduta.
Ciao,
Sono un tuo lettore da anni, il tuo blog mi ha aiutato molto agli inizi della mia esperienza di birrificazione casalinga… era il 2015. I tuoi articoli mi evitarono di complicarmi la vita su cose che per un principiante sono perdita di tempo.
Ho esperienza solo con due ceppi kevik, il voss e il lutra.
Entrambi fermentando generano più acidità di un lievito “classico”, che è misurabile anche con un phmetro. Nel voss è più marcato.
All’inizio ho fatto fattica a trovare un nome per definirla, usciva da quello che mi aspettavo, cercavo di catalogarla come aroma, invece rientra nei sapori sentiti con la lingua.
Questa acidità si sposa male con molti stili tradizionali europei, e con malti scuri penso che vada malissimo. Anche nel cibo amaro, acido e aspro non vanno quasi mai bene assieme.
I kevik diventano interessantissimo quando si esce dai sentiri battuti, provando a costruire una birra che si sposi con la loro acidità.
In birre poco alcoliche chiare, con i giusti luppoli, quell’acidità peculiare aggiunge davvero qualcosa. Ma penso si possa sfruttare anche su birre ben diverse.
Purtoppo non ho mai avuto l’occasione di bere le birre originali norvegesi, sarei curioso di sapere come le bilanciano.
Piccola riflessione sulle categorie del bjcp che per me rimangono un’ottima delimitazione per i concorsi, ma non sono una guida per conoscere la birra. Troppi stili imprecisi o sballati, dove alcuni delle migliori birre finiscono fuori stile.
Pietro
Ciao Pietro, grazie per il commento!
Sicuramente i kveik producono più acidità di un normale lievito: nel link che ti metto sotto (magari lo conosci già) si vede che l’acidità vale qualitativamente più di quella di un classico US05. È possibile/probabile anche che i Kveik producano altri tipi di acidi che alterano la percezione e forse il sapore, ma non credo che l’acidità possa scendere in assoluto più di tanto. Che pH hai misurato? Ho assaggiato imperial stout fatte con i Kveik decisamente buone, non so quanto possa essere un problema di acidità. Però, boh.
Sul BJCP non sono d’accordo, secondo me è un ottimo strumento anche per imparare a conoscere gli stili. Ha alcune carenze, diverse inesattezze da sanare (come quella sulle Robust Porter citata nell’articolo) ma per il resto aiuta moltissimo nella comprensione di aromi, sapori e bilanciamento tipici di ogni stile.
Un saluto!
https://www.researchgate.net/publication/352438578_Norwegian_Kveik_brewing_yeasts_are_adapted_to_higher_temperatures_and_produce_fewer_off-flavours_under_heat_stress_than_commercial_Saccharomyces_cerevisiae_American_Ale_yeast
Grazie per il link.
Feci la mia solita golden ale leggera estiva nel 2021 con il verdant e nel 2022 con il voss. Stessi malti ma luppoli diversi. Il verdant finì a 4.6, il voss a 4.2.
Devo ancora provare a fare un mash a 5.5-5.6 per vedere se l’acidità del voss si sente meno.
L’articolo non lo conscevo.
Trovo estelamente interessanti le informazioni sui voss in questo wiki di un sito che probabilmente conosci benissimo.
http://www.milkthefunk.com/wiki/Kveik
E le misure le ho fatte dopo aver letto questo link li trovato:
https://escarpmentlabs.com/blogs/resources/crispy-brewing-with-kveik-mind-the-ph-gap
Un saluto,
Pietro
4.6 mi sembra un pò alto in generale, ma ad ogni modo il range 4-4.5 rimane quello standard per la maggior partr delle birre.
Per la mia esperienza non credo che il problema dei kveik sia l’acidità in se’, che rientra comunque nei range, ma qualcos’altro che fatico a definire.
Per dire, una acidità sotto ai 4 inizia a diventare difficile da gestire con i malti scuri, ma 4.2 mi sembra del tutto normale.
-Ho aggiunto anche Gypsum per alzare i cloruri-.
Intendevi cloruro di calcio , ovviamente.
Il ph come l’hai gestito?
Al solito, con acido lattico.
Sì, grazie. Correggo.
Ciao Frank
Ho brassato di recente una London Porter usando una ricetta presa da Old British beer del Durden Park Beer Circle. La ricetta porta ad una birra con OG 1.067, FG 1.024 e IBU 45 che, stando alle ricette storiche analizzate, sarebbe un London Porter del 1750. Questi parametri però non combaciano con quelli previsti per,le,London Porter attuali ma ricadono in pieno tra quelli dell’American Porter.
Ti chiedo allora come verrebbe valutata un Porter con questi dati, preparata con ingredienti di tipo inglese (fuggles e lievito) in un concorso bjcp? É American o London Porter?
Grazie.
Guarda, a mio avviso i numeri contano poco. Quello che importa è ciò che trovi nel bicchiere. Ai giudici non vengono dati numeri (a meno del grado alcolico), e comunque non è sui numeri che si deve basare il giudizio.
I due stili sono molto diversi nelle due descrizioni del BJCP, numeri a parte. Sta a te decidere dove iscriverla, in base a quello che senti.