Mi capita spesso di interrogarmi sul significato di alcuni descrittori aromatici, specialmente quando li trovo utilizzati in modo ambiguo. Mentre in alcuni casi, come quando ad esempio si fa riferimento all’aroma “burroso”, il significato del termine è immediato e piuttosto univoco, in altri possono generarsi fraintendimenti. Inoltre, spesso ci si mette di mezzo l’inglese a creare confusione, con termini parzialmente o totalmente intraducibili in italiano.
Questo è il caso di una serie di descrittori che fanno riferimento alla sfera del mondo “vegetale”.
Si dice herbal o herbaceous? Questi due aggettivi indicano lo stesso descrittore tradotto in italiano con il termuine “erbaceo” o sono diversi? E grassy, come si traduce? Ha lo stesso significato di erbaceo? E allora il vegetale? E l’intraducibile dank? Proviamo a fare un po’ di chiarezza.
Erbaceo
Intuitivamente, sembrerebbe un descrittore abbastanza immediato: erba tagliata, il famoso aroma del prato rasato di fresco. Anche io spesso lo utilizzo in questo senso, ma non credo sia propriamente corretto. Vi spiego perché.
Primo aspetto curioso: non compare tra i descrittori della scheda BJCP che si utilizza per la valutazione delle birre (link). Per carità, non è che in questa scheda ci siano tutti i descrittori del mondo, ma ci sono i principali. Erbaceo non c’è. Troviamo invece grassy, descritto come l’aroma di erba tagliata (fresh-cut grass) che molti (me compreso, a volte) definiscono erbaceo. Del grassy parleremo tra poco, ma direi che l’aroma di erba attiene a questo descrittore, non all’erbaceo.
Proviamo a spostarci nel mondo del vino, dove l’erbaceo è un descrittore utilizzato per caratterizzare alcuni vitigni. In questo breve articolo (ma ne ho trovati molti altri che dicono cose simili), viene declinato come aroma di erbe aromatiche (non erba tagliata) come ad esempio il timo, il rosmarino, la lavanda, l’aneto. Questa caratterizzazione la ritroviamo – pressocché identica – anche in una guida sui luppoli pubblicata dalla Barth-Haas qualche anno fa, scaricabile gratuitamente da questo link.
Mi sembra abbastanza chiaro quindi che il termine erbaceo, per indicare l’erba appena tagliata, non sia il più appropriato. O meglio, non lo è in inglese. ll termine inglese più appropriato sarebbe grassy (grass=prato). In italiano si potrebbe tradurre con “erboso”, ma sfido chiunque ad affermare in pubblico che una birra ha aroma “erboso“. Finisce che diciamo erbaceo, intendendo però l’erba tagliata e non le erbe aromatiche.
Per quanto concerne l’inglese, sempre facendo riferimento al link di cui sopra sugli aromi del vino, herbaceous ed herbal sono sinonimi. Il secondo viene comunemente utilizzato con accezione positiva, mentre il primo (herbaceous) può indicare a volte una componente verde estremamente intensa, vicina in qualche modo alla clorofilla e non piacevole.
Grassy
Qui ci viene di aiuto il BJCP. Grassy è infatti uno dei descrittori che compare nella scheda BJCP per la valutazione delle birre e anche nella breve guida ai descrittori di Scott Bickham, pubblicata sul sito del BJCP (link).
I descrittori sono abbastanza chiari: This is the flavor and aroma of freshly cut grass or green leaves. L’erbaceo di cui abbiamo già parlato, in sostanza. Erba appena tagliata, fieno. Il problema viene con frase successiva, quando come origine vengono citate aldeidi derivanti da ossidazione come esanale ed eptanale. Stiamo quindi parlando dell’erbaceo dei luppoli, quello che Scott Janish attribuisce a terpeni e sesquiterpeni del luppolo (link) o di altro?
Al paragrafo successivo della guida BJCP, Scott Bickham torna a parlare del luppolo come origine di questo aroma, specificando che il descrittore grassy può indicare un aroma positivo presente negli stili luppolati e tipico di alcuni luppoli.
Ma quindi è un difetto oppure no? Può essere entrambe le cose.
Io la vedo così: l’erbaceo (grassy) in una birra luppolata ci sta, sia in una IPA che in una Pils. Se non arriva a livelli eccessivi, ovvero nel perimetro olfattivo della già citata clorofilla o della foglia verde, del peperone verde o delle foglie di bambù, ci può stare. Tutti questi descrittori derivano da composti presenti nel luppolo, come ci ricorda il già citato schema della Barth-Haas alla voce Grassy-Hay.
Tuttavia, anche l’esanale (che è un’aldeide e non un terpene) ha tipicamente aroma di erba tagliata (come si evince dalla descrizione che troviamo su wikipedia). Aldeidi aromatiche possiamo trovarle anche tra gli oli essenziali del luppolo, come spiega questo articolo. C’è da dire che all’esanale vengono attribuiti gli aromi più disparati, dall’erba appena tagliata, alla mela, alla fragola fino alle prugne.
In conclusione: il grassy è buono o cattivo? Entrambi, direi. La componente “erbosa” che viene dal luppolo (spesso da terpeni o sesquiterpeni) è da considerarsi piacevole nella maggior parte dei casi; a meno che, come già detto, non sia eccessiva. Un po’ come l’estere acetato di etile può essere piacevole a piccole dosi (aroma fruttato) ma diventare spiacevole se più concentrato (solvente).
Se invece l’erbaceo (o erboso, o grassy) proviene da ossidazione (dei lipidi nei malti o degli alcoli della birra), in genere viene classificato come staling aldehyde, quindi con accezione negativa. Questo perché, immagino, nell’assaggio lo troveremo come parte di un profilo aromatico generalmente non piacevole, in cui il tocco “erboso” sarà affiancato da altri aromi da invecchiamento, rendendo l’esperienza organolettica nel complesso negativa.
Quello che è certo è che – almeno in inglese – herbal e grassy sono descrittori che indicano sfumature aromatiche diverse. In italiano è bene specificare meglio cosa si intenda con erbaceo: se erbe aromatiche o prato appena tagliato. Perché andare in giro a dire “erboso” può diventare imbarazzante.
Vegetale
Ad una prima impressione, vegetale potrebbe sembrare sinonimo di uno o entrambi i descrittori precedenti. Alla fine, si può pensare, siamo sempre nel regno delle piante. E invece no, parliamo di altri composti ancora.
Il vegetale non è l’aroma di erba o di linfa o di clorofilla dato dal luppolo. Questo lo specifica bene anche il BJCP nella solita tabella (link).
Curioso come nella scheda BJCP per la valutazione della birra, DMS e vegetal siano separati (immagine a sinistra), mentre nella spiegazione vengano messi insieme (immagine a destra).
A ogni modo, dalla descrizione è piuttosto chiaro come il vegetale, in questo caso, non c’entri assolutamente nulla con gli aromi descritti nei paragrafi precedenti, riconducibili al perimetro aromatico delle erbe o del prato appena tagliato.
In questo caso, per vegetale si intendono sostanzialmente vegetali cotti o bolliti: mais (DMS, esplicitato a parte nella scheda), sedano, cipolla, cavolo (aggiungo anche fagioli, che ho sentito in qualche birra industriale mal conservata). Tutti questi aromi sono ascrivibili a composti solforosi simili al DMS, spesso provenienti dai malti ma a volte anche dai luppoli o dalla fermentazione.
Farei attenzione a classificare come vegetale, ad esempio, l’aroma derivante da un eccesso di luppolo. Lo chiamerei invece grassy o al limite erbaceo molto intenso, eccessivo; non userei il descrittore vegetale.
Il BJCP specifica anche che con vegetale non si intende l’aroma di aglio o cipolla freschi, che invece derivano dai tioli presenti nel luppolo. In questo caso il descrittore adatto, come sottolinea il BJCP, sarebbe onion-like/catty (qui un articolo in cui parlai di questo aspetto). Peccato che questo descrittore non sia mai stato inserito tra quelli della lista nella scheda di valutazione della birra. Proposta per il BJCP: e se unissimo DMS & Vegetal e al posto di vegetal mettessimo, appunto, onion-like/catty? Sarebbe un bel passo avanti.
Esiste una ulteriore accezione dell’aroma vegetale, che non viene trattata nel BJCP ma che conosce probabilmente chi viene dal mondo del caffè: l’aroma di peperone verde. Questo è un aroma presente nei peperoni, appunto, ma anche in altre piante o frutti, come i chicchi di caffè verde. Deriva, da quello che ho capito, da una delle tante pirazine che possono trovarsi nei chicchi di caffé (nello specifico, la IBMP). La stessa sostanza è presente, in quantità variabili, anche nei malti. Ha una soglia di percezione molto bassa.
Devo dire che a volte mi è capitato di percepire questo aroma in birre con aggiunta di caffé, magari per rinforzo positivo tra i malti e i chicchi di caffé aggiunti.
E il dank? Che diavolo è?
Ecco un’altra parola intraducibile in italiano. Dank è l’aroma della marijuana, c’è poco da girarci intorno. Così è, non ci sono altri modi per descriverlo.
In questo articolo sul sito Beer Maverick viene spiegata la stretta parentela tra l’Humulus Lupulus e la Cannabis Sativa. Non ho trovato informazioni specifiche, ma è molto probabile che l’aroma dank derivi dagli idrocarburi (terpeni) presenti in abbondanza in entrambe le piante. Per saperne di più sull’origine del termine dank, consiglio questo link.
Non è né grassy, nè erbaceo (almeno che per erba non si intenda altro), né vegetale. Semplicemente, è dank.
UPDATE: grazie ai commenti subito arrivati appena ho pubblicato il post su Facebook, è venuto fuori un altro collegamento molto interessante (grazie Manuel!).
Il dank, l’aroma di marijuana, viene da molti associato anche a un altro difetto della birra: il colpo di luce, detto anche skunk (da non confondere con dank). Lo skunk, che sarebbe anche l’aroma che rilascia la puzzola, nella birra deriva da composti solforosi che si liberano dagli iso-alfa-acidi del luppolo a seguito di un processo foto-ossidativo. Il difetto si sviluppa infatti se la birra viene esposta alla luce.
In questo interessante articolo “Why cannabis smells skunky“ pubblicato sul sito della American Chemical Society viene approfondito questo tema. Alcuni ricercatori hanno scoperto che aroma danl, nella cannabis, deriva dalle stesse molecole solforose emesse dalla puzzola, chiamate VCS (volatile sulfur compounds).