Sono ormai passati quasi due anni da quando provai a brassare la mia prima e unica New England IPA (link). Per avere una percezione più netta di quanti “anni homebrewer” siano davvero passati, è sufficiente pensare che all’epoca non usavo nemmeno un sistema in contropressione.
Sì: feci una NEIPA senza contropressione. E non venne nemmeno malissimo.
Prima di fare quella birra avevo studiato molto. Uno degli aspetti più affascinanti di questo stile, infatti, è la teoria che si nasconde dietro gli effetti che specifici processi e ingredienti inducono sulla birra: la morbidezza, la torbidità permanente, l’amplificazione degli aromi fruttati, la biotrasformazione.
Ne erano usciti due post a mio avviso piuttosto interessanti (link1, link2). L’esecuzione poi è stata condizionata dal mio impianto dell’epoca, che presentava limiti ancora più stringenti di quello attuale.
In questi anni, anche se non ne ho prodotte, ho continuato ad interessarmi all’argomento NEIPA. L’arrivo dell’hop bong mi dato poi la spinta finale: è ora di riprovarci!
I limiti del mio impianto
Chi segue il blog, ormai sa che utilizzo un jolly keg da 19 litri per fermentare circa 10-11 litri di birra. Per il dry hopping, ho da poco acquistato un hop bong. Travaso solo una volta, a fermentazione finita, in un fustino da 10 litri. Lascio la birra al freddo per un periodo di tempo che va da un minimo di una settimana a diverse settimane.
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Il mio sistema di fermentazione nel keg ha molti vantaggi, ma non offre la possibilità di spurgare il luppolo dopo il dry hopping. L’unico modo per liberare la birra dal luppolo sarebbe travasare, ma questo può creare dei problemi.
I travasi tendono sempre a introdurre una minima quantità di ossigeno nella birra, anche se effettuati con attenzione in contropressione. Per questa ragione, cerco di ridurli al minimo indispensabile (nel mio caso, un solo travaso post fermentazione).
C’è poi il problema del luppolo, che senza almeno un giorno di abbattimento rimarrebbe in sospensione con il rischio di bloccare il trasferimento della birra. Con il keg infatti pesco dall’alto, tramite tubo e sfera inox galleggiante. Il filtrino per il luppolo, da applicare alla fine del tubo, facilita le operazioni; ma il rischio di blocco durante il trasferimento rimane.
Un fermentatore con cono e valvola sul fondo potrebbe aiutare a liberarsi del luppolo dopo il dry hopping. Ma non è detto che si riesca a farlo in modo ottimale.
Anche nei fermentatori con spurgo, le dimensioni ridotte delle cotte casalinghe rendono spesso lo spurgo poco efficace: sia per la ridotta pendenza delle pareti del cono, su cui possono rimanere attaccate eccessive quantità di lievito e luppolo; sia per la birra che andrebbe sprecata con lo spurgo, in relazione al volume contenuto nel fermentatore.
In un sistema di produzione con 10 litri di birra, un sistema di spurgo sarebbe totalmente inefficiente. Per volumi più grandi, i fermentatori troncoconici per utilizzo casalingo sono costosi ma sicuramente più efficaci.
Quindi, nel mio caso: niente spurgo.
Vediamo come potrei gestire questo e altri limiti del mio sistema per produrre una NEIPA.
Aggiunte di luppolo durante la fermentazione
La biotrasformazione degli aromi del luppolo è un tema di cui si è parlato molto negli ultimi anni. Dopo l’interesse dei primi tempi, mi sembra che gli entusiasmi si siano un po’ ridimensionati. Non sto dicendo che la biotrasformazione non esista o che non serva: però, forse, il suo impatto sul risultato finale non è sempre così evidente. Oltretutto, non è esente da alcune controindicazioni.
Della biotrasformazione ho già parlato in precedenza (link1, link2). Per farla estremamente breve, parliamo della capacità che hanno alcuni enzimi liberati dal lievito durante la fermentazione di trasformare o liberare composti aromatici del luppolo. Nel primo caso, l’aroma cambia. Nel secondo, si intensifica.
A spese di cosa, però?
Quando si aggiunge il luppolo durante la fermentazione, una parte degli oli essenziali si disperde insieme all’anidride carbonica che esce dal fermentatore, mentre un’altra quota viene trascinata sul fondo del fermentatore, insieme alle cellule di lievito.
Il risultato netto è rappresentato dal bilanciamento tra quello che si perde (vedi sopra) e quello che si guadagna con la biotrasformazione. Difficile stabilire a priori se questo bilanciamento sia positivo o negativo. Dipende da tantissimi fattori, tra cui il ceppo di lievito, le varietà di luppolo e le quantità il gioco. L’equazione è tutt’altro che matematica.
Senza dubbio, aggiungere luppolo durante la fermentazione porta a un risultato diverso rispetto ad aggiungerlo a fermentazione completata. Ma diverso non significa necessariamente migliore.
Potrebbe non essere un fattore essenziale per la buona riuscita di una NEIPA.
Nella mia configurazione attuale, se aggiungessi il luppolo durante la tumultuosa, questo rimarrebbe a contatto con la birra per molti giorni alla temperatura di fermentazione.
Questo non è necessariamente un problema enorme. Nelle mie birre, non ho avvertito astringenze fastidiose anche con tempi di contatto più lunghi (lo dimostra anche questo articolo).
Se però le dosi di luppolo diventano massicce, e se la birra in questione è una NEIPA – dove anche una minima astringenza non è benvenuta -, sarebbe forse il caso di evitare. Soprattutto se il contributo al risultato finale di questa aggiunta rimane in un contesto incerto.
Ed ecco quindi la mia prima decisione: nessuna aggiunta di luppolo durante la fermentazione per la mia prossima NEIPA.
Semmai, potrei aumentare la dose delle aggiunte in hopstand. Alla fine, pensandoci bene, gli oli essenziali estratti durante l’hopstand passano comunque per la biotrasformazione. Con il vantaggio che la parte vegetale e “verde” rimane sul fondo del pentolone di bollitura.
Manco a dirlo, al dip hopping non ci penso nemmeno. Mi pare anche che l’interesse per questa tecnica sia andato decisamente scemando.
Tempi di contatto e astringenza
Torniamo sul tema dei tempi di contatto.
Sempre dall’articolo citato prima (ma anche da diversi altri articoli), si evince che i tempi di contatto tra luppolo e birra non influiscono particolarmente sul livello di astringenza.
Tuttavia, qualsiasi birrificio spurga il luppolo dopo aver fatto dry hopping. Lo farei anche io, se potessi. Ma non l’ho mai fatto per impossibilità pratica. I risultati – per le mie luppolate – sono stati comunque sempre soddisfacenti: nessuna fastidiosa astringenza, quindi non mi sono mai posto il problema più di tanto.
Ci sono però anche diverse fonti che segnalano un aumento di astringenza quando i tempi di contatto si allungano. In particolare, nei casi in cui il luppolo aggiunto è molto.
Lo scrive anche Scott Janish in questo articolo per il Technical Quarter della MBAA. Si parla però di fermentatori da birrificio, grandi e con alte pressioni idrostatiche sul fondo. E comunque dotati di tronco per spurgare. Solo un pazzo non spurgherebbe, in questo caso.
Ma io devo adattarmi al mio impianto. Ripeto: tempi di contatto anche di 10 giorni non mi hanno mai dato evidenti problemi di astringenza nelle birre luppolate. Di NEIPA ne ho fatta solo una e nemmeno in contropressione, e non è venuta astringente nemmeno quella (sebbene non eccezionalmente buona). Ma voglio andare oltre.
Sempre dai grafici dell’articolo citato prima, risulta evidente che, sì, l’estrazione di polifenoli non aumenta dopo il terzo giorno, ma fino al terzo sale. Quindi, limitare i tempi di contatto a 24-48 ore potrebbe avere senso per ridurre l’astringenza in caso di elevato tasso di dry hopping.
Ma io non posso spurgare, né voglio aumentare i travasi (che sarebbero anche problematici prima dell’abbattimento di temperatura).
Il mio approccio sarà quindi il seguente:
- niente dry hopping durante la fermentazione
- dry hopping a fermentazione totalmente finita
- attesa di 24 ore, magari con un paio di bubbling dal fondo per rimettere in circolazione i pellet
- cold crash di 24 ore per far depositare i pellet e trasferimento della birra nel keg da 10 litri
Sempre dallo stesso grafico, si evince anche come un dry-hopping a temperature più basse riduca ancora di più l’estrazione di astringenza. Anche questo è un aspetto senza dubbio interessante.
Approfondiamo.
Temperatura di dry hopping e hop creep
Riducendo la temperatura di dry hopping si riduce l’estrazione di polifenoli, mentre quella degli oli rimane quasi invariata. Perché, dunque, non fare sempre dry hopping a temperature più basse?
La ragione principale è il rischio di hop creep (ne ho parlato qui). Per farla estremamente breve, insieme al luppolo si solubilizzano enzimi che possono scomporre alcuni degli zuccheri complessi rimasti nel mosto dopo la fermentazione.
Se la temperatura è troppo bassa, il lievito non li metabolizza e restano nella birra. Se poi la birra viene rifermentata o riportata per qualsiasi ragione a temperatura ambiente, il lievito residuo metabolizza questi zuccheri in fusto o in bottiglia. La birra diventa così sovracarbonata. Spesso, questo è accompagnato anche dalla produzione di diacetile.
Proviamo però a ragionare.
Ipotizziamo di dividere le aggiunte di luppolo in due tranche, entrambe sempre successive alla fermentazione. La prima, a temperatura di fermentazione. La seconda, a temperatura intorno ai 13-15°C. In teoria, l’effetto dell’hop creep dovrebbe essere gestito con la prima aggiunta. Gli enzimi scompongono gli zuccheri e il lievito li fermenta.
La seconda aggiunta, a temperatura più bassa, non dovrebbe trovare zuccheri facilmente riducibili in zuccheri più semplici. Né durante il dry hopping, né dopo nel caso la birra tornasse a temperature più alte.
Ci sono però due problemi.
Uno, non è chiaro quanto tempo serva per completare il processo di riduzione e consumo degli zuccheri semplici dell’hop creep. Due, vorrei sempre cercare di non mantenere il luppolo troppo a contatto con la birra.
Di fare due travasi non se ne parla. Come risolvere? Luppoli cryo.
Utilizzo dei luppoli cryo
Se ho intenzione di fare il dry hopping in due momenti successivi, devo ridurre al minimo i tempi di contatto. Considerando anche il veloce abbattimento necessario per togliere il luppolo dalla superficie e non bloccare il travaso, il timing potrebbe essere questo (a fermentazione finita, senza altre aggiunte precedenti):
- Primo dry hop a 20°C per 48 ore (gestione hop creep)
- Riduzione T a 15°C (qualche ora) e secondo dry hopping, mantenendo la temperatura a 15°C per 24 ore
- Cold crash veloce per facilitare il travaso (non più di 24 ore)
- travaso
Per ridurre ulteriormente la potenziale astringenza data dai giorni di contatto del primo dry hopping, penso di usare una quota parte (circa la metà del totale) di luppolo in formato cryo. Questo formato dovrebbe ridurre l’estrazione di astringenza, avendo meno componente vegetale.
Potrei anche usare solo cryo alla prima aggiunta e luppolo nel formato classico alla seconda. L’unico rischio è che il luppolo cryo, oltre ad avere minore materia vegetale, abbia anche minore quantità di enzimi che scompongono gli zuccheri dell’hop creep.
Ma è un rischio che potrei correre. Anche perché l’hop creep mi spaventa poco, visto che questa birra non credo vedrà le bottiglie. Anche finisse in bottiglia, sicuramente non le terrò al caldo.
Per riassumere: quale sarà il mio approccio per la prossima NEIPA
Per farla brevissima:
- no aggiunte di luppolo durante la fermentazione
- maggiore dosaggio di luppolo in hopstand
- utilizzo dell’hop bong per il dry hopping
- prima aggiunta di luppolo cryo a fermentazione finita a 20°C
- dopo 48 ore, seconda aggiunta di luppolo classico in pellet a 15°C
- dopo 24 ore, abbattimento e trasferimento nel keg da 10 litri in contropressione
- proseguimento dell’abbattimento per un paio di settimane al max
Senza dubbio un approccio con dei limiti dovuti al mio setup di fermentazione, ma sono abbastanza convinto possa funzionare. A breve, ordine degli ingredienti e cotta.