Ve lo dico subito: non sono il tipo che conserva le birre in cantina per anni. È la pazienza che mi manca: ho già parecchie difficoltà a non bere le birre che produco prima della fine del periodo di carbonazione (in genere due settimane), figuriamoci invecchiarle. Questo però non significa che non apprezzi le birre invecchiate e, soprattutto, che non sia curioso riguardo alle dinamiche di evoluzione di aromi e sapori della birra con il passare del tempo. Per fortuna c’è chi le invecchia al posto mio e me le vende a qualche euro in più.

In generale, credo che ogni homebrewer dovrebbe acquisire familiarità con le dinamiche di evoluzione di aromi e sapori nella birra. C’è molta confusione su quanto una birra debba maturare, a quale temperatura e secondo quali modalità. Sento dire spesso frasi come “un mese per ogni grado alcolico” o altre amenità del genere, quando ovviamente non esiste una regola precisa valida a priori. Del resto, la maturazione non è altro che la prima parte dell’invecchiamento: avere un’idea chiara su come evolvono aroma e sapori in funzione delle caratteristiche della birra diventa a questo punto fondamentale. Anche perché, come viene ribadito anche nel libro, almeno il 90% degli stili vanno bevuti freschi e pochi, pochissimi, sopportano l’invecchiamento. Come uscirne, quindi?

Ecco che ci viene in contro Patrick Dawson che apre il suo libro con le 14 “vintage beer rules”, ovvero le 14 regole che sono alla base di un buon invecchiamento. Un esempio su tutti? La regola numero 6, che ci dice che “le componenti aromatiche e l‘amaro del luppolo svaniscono con il tempo”; quindi birre che fanno dell’aroma di luppolo la propria caratteristica principale vanno bevute fresche. Oppure, la regola 4: “la birra con il passare del tempo perde corpo”; questo ci fa intuire che le birre poco alcoliche, con una buona base maltata ma dal corpo scorrevole non vanno lasciate invecchiare (leggi per esempio pils, vienna o helles). E via dicendo.

Dawson descrive anche l’evoluzione dei singoli aromi: i fenoli del lievito che col tempo tendono a trasformarsi in vaniglia, tabacco e cuoio; gli esteri fruttati che, come nella frutta matura, con il tempo  tendono a concentrarsi e a virare verso la prugna o i fichi secchi. Affronta gli effetti dell’invecchiamento sui singolo ingredienti (malto, luppolo e lievito) e descrive nel dettaglio gli effetti (positivi e negativi) dell’ossidazione.

Nel libro troviamo anche grafici molto ben fatti: per alcune birre (tipo la Bigfoot, barley wine della Sierra Nevada) viene visualizzata l’evoluzione dei singoli aromi e sapori con il passare del tempo: scopriamo così che alcuni si affievoliscono, altri acquistano intensità e addirittura se ne formano di nuovi. Immancabile una flavour wheel (tipo questa) dedicata agli aromi tipici delle vintage beers, molto utile come riferimento per valutare aromi e sapori.

Il libro è piccolo e costa veramente poco (11€). Aiuta a comprendere alcune dinamiche molto utili non solo a chi invecchia le birre per passione, ma anche a chi semplicemente le produce in casa e si trova spesso di fronte al dilemma dei dilemmi: quanto dovrà maturare questa birra? Cosa succederà con il passare dei mesi e degli anni? Consigliatissimo.

Lo potete acquistare su amazon.it (11€): Vintage Beer: A Taster’s Guide to Brews That Improve over Time

2 COMMENTS

  1. Molto interessante, e nelle poche righe che hai scritto ho trovato alcuni riscontri che ho nelle mie produzioni (indipendentemente dalla loro mediocrità). Al di la della passione o meno delle birre da invecchiamento, ho sin dai miei albori da homebrewer (2012) ho sempre tenuto alcune bottiglie da parte, in soffitta, al buio (purtroppo a temperatura ambiente sia d’estate che d’inverno) con il solo scopo di dimenticarmele e riaprirle quando in vena di nostalgie…

    bene, grazie a questa abitudine che ho preso ho avuto modo di notare e più o meno farmi un’idea una negativa e l’altra positiva portando questi 2 esempi:

    -una porter dopo 2 anni è diventata “caramellosa” in maniera stucchevole, perdendo ogni tipo di sentore torrefatto

    – una birra di natale (l’unica che davvero ha migliorato sensibilmente) essendo stata la mia 2° produzione, ormai vanta circa 34 mesi di maturazione nei quali è passata da “bidone totale” a “ok, meglio di niente” a “madonna è squilibratissima, si vede che è la seconda” fino ad oggi dove ha acquisito una sua identità bevibile, per carità, sempre squilibrata, troppo alcolica (9.3% circa) non sorretta secondo me da amaro e malto, ma col tempo ha sviluppato sapori di caramello e frutti rossi che finalmente la rendono piacevole almeno d’inverno.

    • Infatti Vintage Beer è un bel libro comnqnue, anche per chi, come me, non ha la passione per la conservazione l’invecchiamento delle birre.

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