A fine maggio 2015 ho partecipato al festival delle birre artigianali trentine (il Cerevisia Festival delle Birre Artigianali). Insieme a Stefano abbiamo condotto alcuni workshop sulla birrificazione casalinga. Tra i tanti seminari in programmazione durante il festival, mi è rimasto impresso quello proposto da Nicola Coppe, un ragazzo che avevo avuto modo di incrociare virtualmente tramite la sua pagina facebook Brewhouse Rock. Nicola è giovanissimo ma è già un grande esperto di lieviti e fermentazioni (su cui lavora quotidianamente). Mi lasciai immediatamente trasportare dal suo entusiasmo e mi colpì in particolare la sua enorme preparazione.

In occasione del festival propose un seminario sulla produzione di birre acide in stile Berliner Weisse seguendo un processo che mette al sicuro dalle cross-contaminazioni in birrificio (ovvero dal rischio di contaminare con i batteri la linea di produzione classica). Seguendo questo metodo, l’acidificazione del mosto si ottiene in pochissime ore utilizzando esclusivamente batteri lattici che poi vengono resi inoffensivi tramite bollitura prima di far partire la fermentazione classica. Un procedimento che si adatta particolarmente bene alla produzione di stili storici con acidità lattica rotonda e pulita come Berliner Weisse, Gose, Liechtenhainer e Piwo Grodziskie (tutti censiti e ben descritti nel nuovo BJCP 2015 tradotto in italiano da Mobi).

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La questione mi stuzzicò molto. L’idea mi rimase in testa per molti mesi, ma tra un impegno e l’altro sono riuscito a metterla in pratica solo qualche giorno fa. Ne scrivo da subito dato che l’esperimento ha suscitato molto interesse sulla nostra pagina facebook, anche se la mia prima Berliner Weisse non è ancora pronta. La birra ora sta fermentando: ho molta fiducia, ma anche se verrà male per qualsiasi ragione avrò comunque qualcosa di cui scrivere.

Faccio subito una importante premessa: come la tradizione ci insegna (e come il buon Paolo Erne del gruppo Accademia Delle Birre ama ripetere), cercare scorciatoie per produrre birre acide più velocemente non porta a buoni risultati. Per arrivare alla complessità e alla profondità aromatica dei lambic servono tempi lunghi e tanta pazienza, oltre a un naso sopraffino per gestire la miscelazione delle produzioni di diverse annate. Qualsiasi forma di accelerazione porterebbe a risultati piatti o sbilanciati e nel migliore dei casi a birre poco interessanti.

Ma le Berliner Weisse non sono dei lambic. La loro caratteristica principale è una acidità lattica rotonda e piacevole. Non sono birre particolarmente complesse da un punto di vista organolettico. Anche se ne esistono versioni con sfumature aromatiche particolari, si tratta di uno stile che può essere prodotto velocemente utilizzando alcune accortezze che vedremo insieme.

Detto ciò, veniamo al sodo. Vedremo prima il metodo classico per la produzione di questo stile, poi descriverò il metodo proposto da Nicola Coppe che ho seguito per questa prima prova. Ovviamente non aspettatevi dissertazioni di microbiologia: oltre a non avere le basi per sostenerle, penso anche che una comprensione di massima insieme alla sperimentazione sia sufficiente per farsi un’idea di quello accade.

Per chi fosse interessato, a questo link è disponibile il podcast dell’intervista che ho fatto a Nicola Coppe per la trasmissione radio Beerock (una ventina di minuti in cui parliamo di Berliner Weisse e batteri lattici).

IL METODO CLASSICO DI PRODUZIONE

Cercherò di riassumere brevemente i principali aspetti del metodo storico di produzione delle Berliner Weisse. La mia principale fonte di informazioni sono stati la Wiki di Milk The Funk e questo articolo apparso ormai più di un anno fa sul bellissimo blog TheSourBeerBlog. Rimandadovi a queste pagine per i dettagli, oggi cercherò di semplificare al massimo il ragionamento riportando solo i passaggi che reputo i essenziali per capire di cosa stiamo parlando.

Storicamente le Berliner Weisse venivano prodotte senza bollire il mosto e acidificate sfruttando la flora microbica presente naturalmente sui chicci di orzo o di grano. Spesso ci si riferisce a questo procedimento come sour mashing, anche se il termine può essere fuorviante poiché l’acidificazione non avviene durante il mash, ma successivamente tramite aggiunta di una manciata di grani non macinati nel mosto recuperato dal mash (in realtà si chiamerebbe sour mashing se si fa dopo il mash e prima dello sparge, sour worting o kettle souring se si fa dopo lo sparge e prima della bollitura. Ovviamente, per chi fa BIAB sono la stessa cosa). Insieme ai batteri (o anche successivamente) veniva aggiunto lievito ad alta fermentazione per garantire l’attenuazione necessaria, dato che i batteri lattici da soli non riescono a consumare tutti gli zuccheri presenti nel mosto e producono zero o pochissimo alcol. Quale lievito venisse usato è dubbio, ma probabilmente si trattava di contaminazioni da lieviti diversi che potevano anche indurre un leggero carattere brettato (questa componente aromatica viene evidenziata anche dal BJCP come possibile ma non obbligatoria).

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Sono sempre piuttosto restìo nell’applicare i metodi storici alla birrificazione casalinga poiché spesso portano enormi complicazioni e introducono diversi rischi difficilmente gestibili in casa. L’idea di  buttare una intera cotta per onorare la storia non mi ha mai affascinato granché. Il mio approccio, al solito, è iniziare nel modo più semplice possibile. Assaggiare. Complicare le cose successivamente solo se non sono soddisfatto. Anche in questo caso il metodo storico di produzione della Berliner Weisse presenta alcuni rischi che ho preferito non correre.

DMS nella birra finita. Il DMS (aroma di verdura bollita) è una sostanza estremamente volatile. La bollitura ne porta via la maggior parte, al resto ci pensa la fermentazione. Saltando la bollitura si rischia di portare un significativo quantitativo di DMS nella birra finita. C’è chi dice che saltando la bollitura si salta anche il passaggio di formazione del DMS, ma in realtà il DMS si forma per la maggior parte già alle temperature di mash (cfr. articolo di Brad Smith). Non a caso, uno dei tipici difetti delle Berliner Weisse (sottolineato anche nel BJCP) è la presenza di DMS nella birra. Personalmente, trovo l’aroma di DMS veramente fastidioso (proprio ieri ho aperto una Pilsner Urquell che aveva un aroma fortissimo di minestrone: è finita diretta nel lavandino).

Puzza di vomito, feci, piedi sporchi, rancido, aceticoQuando si utilizza la microflora naturalmente presente sui chicchi di orzo per acidificare il mosto, si rischia di introdurre, assieme ai batteri lattici, una serie di microrganismi non proprio adatti alla birrificazione (oltre a non avere modo di sapere quale ceppo di batteri lattici andrà a fermentare effettivamente il mosto). L’azione di questi batteri può causare facilmente la produzione degli off-flavours elencati sopra: roba forte, direi, che facilmente fa finire nel lavandino l’intera cotta (qui trovate un articolo dove li descrive nel dettaglio Dr. Lambic di SourBeerBlog – nella seconda parte.) Si può ovviare a questo rischio acidificando in parte il mosto con acido lattico (portandolo a 4.5) prima di buttarci dentro i chicchi di grano per favorire il lavoro dei lactobacilli e scoraggiare quello degli altri microrganismi. Oppure preparare uno starter con i chicchi di orzo e annusarlo, verificando a naso la bontà dei microroganismi che andremo ad introdurre nella birra. Tutto si può fare, per carità, ma usare altro acido lattico “sintentico” mi pare forzato e fare uno starter alla cieca (tra l’altro pure pericoloso da assaggiare prima che il ph scenda sotto il 4.5) richiede ulteriore tempo. Non conoscendo poi la carica batterica presente sui chicchi di grano si rischiano tempi di acidificazione piuttosto lunghi ma soprattutto imprevedibili.

Cross-contaminazione. Se saltiamo la fase di bollitura ci portiamo nel fermentatore i batteri lattici e potenzialmente anche altri microorganismi sconosciuti nel caso in cui utilizzassimo i chicchi d’orzo per acidificare il mosto. Nulla di grave in assoluto, per carità: è probabile che molti di questi microrganismi muoiano per la forte acidità e che quindi non arrivino mai a contaminare altre cotte non acide. Molti poi sono sensibili al luppolo e la maggior parte muoiono se si segue una buona pratica di sanitizzazione. Ma anche qui: vale la pena rischiare? La mia risposta, personalissima, è: no. Ovviamente c’è chi non la pensa così, ma l’importante, al solito, è essere consapevoli delle proprie scelte.

Per queste ragioni, ho scelto di non seguire il metodo storico optando invece per il metodo proposto da Nicola Coppe. Questo metodo permette di scongiurare tutti i rischi sopra citati senza compromettere la qualità della birra e soprattutto di ottenere una acidificazione pulita in temi brevi. Vediamo come funziona.

UN METODO INNOVATIVO: KETTLE SOURING CON BOLLITURA 

Il metodo proposto da Nicola è molto usato dai birrifici Americani. I passaggi sono piuttosto semplici, vediamoli.

Mash ordinario. Si conduce il mash come per qualsiasi altra birra. Dato che nella ricetta si utilizza una buona percentuale di grano (in teoria maltato, ma io ho usato i fiocchi di grano non maltati al 40%, per il resto malto pilsner), potete optare per un protein rest nel caso in cui facciate fly sparge (per evitare eccessiva collosità del mosto). Unica nota: conviene mirare al range più basso di pH (diciamo 5.2 a temperatura ambiente) visto che puntiamo ad una acidificazione finale spinta (intorno a 3/3.5). Ovviamente non è obbligatorio, ma aiuta le beta amilasi a lavorare meglio durante il mash per ottenere un mosto più fermentabile. Personalmente, ho optato per una temperatura di mash di 65C.

mashPastorizzazione del mosto. Non sono un esperto di pastorizzazioni, quindi non saprei dire esattamente a quale temperatura muoiono i diversi microrganismi. Ho letto (link) che la pastorizzazione del latte si può fare già a 63 gradi per 30 minuti, ma non so nello specifico quali microrganismi uccide (sicuramente quelli che tendono a rovinare il latte). Credo che nel nostro caso la temperatura costante di 65 gradi del mash, mantenuta per un’ora, elimini comunque tutti i microrganismi indesiderati. Per sicurezza ho portato comunque per qualche minuto il mosto a 80C. Potete anche non farlo, ma non garantisco sul risultato. Considerate che chi fa sparge alla fine ci arriva lo stesso a quella temperatura. Mentre portavo a 80C il mosto ho immerso anche la serpentina in rame per ripulirla da eventuali contaminazioni (dopo averla lavata bene).

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Raffreddamento del mosto. A questo punto ho raffreddato il mosto fino alla temperatura di 30C. La temperatura target dipende dai batteri che avete scelto per l’acidificazione. E qui il problema: quali batteri scegliere?

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La scelta dei batteri lattici. Non voglio dilungarmi troppo su pregi e difetti di ciascuna coltura (anche perché non sono in alcuno modo un esperto). Vi rimando a questo breve post che avevo scritto in precedenza per una panoramica generale e alla Wiki di Milk The Funk per una disanima delle diverse tipologie di batteri lattici. Per farla brevissima, sappiate che il Pediococcus Damnosus non è utile al nostro scopo poiché lavora molto lentamente. Interviene tipicamente nella fermentazione dei lambic (è la principale causa della loro acidità) ma lavora molto lentamente e soprattutto è resistente al luppolo (quindi si corre il rischio di cross-contaminazione). I batteri lattici facilmente acquistabili dai siti italiani sono Lactobacillus Delbrueckii (White Labs 677), Lactobacillus Buchneri (Wyeast 5335) e il Lactobacillus Brevis (White Labs 672). Il primo e il secondo dovrebbeeo produrre una acidità pulita ma agiscono in 5-7 giorni (così dicono su Milk The Funk, ma andrebbe verificato). Con il terzo si rischiano off-flavours e può produrre acido acetico. Il lato negativo dei tre è che sono disponibili in forma liquida, quindi facilmente deperibili. Non è chiaro il conteggio cellulare ed è necessario fare uno starter (calcolando i litri a fortuna dato che non esistono modelli per la stima del tasso di crescita di questi batteri). Da poco, Birramia ha messo in commercio i Lactobacillus Plantarum prodotti da Nicola Coppe per l’azienda BioAgro: lo chiamano starter ma non è il classico starter che noi conosciamo. Si tratta semplicemente di una confezione di batteri in polvere dimensionata appositamente per fermentare fino a 25 litri di mosto (parliamo dei litri in pentola, non quelli finali nel fermentatore: poi vedremo perché). Questi lactobacilli, se usati prima della bollitura, producono una acidità rotonda in poche ore (anche 12/18 ore). Se conservati in congelatore prima dell’utilizzo (dove si preservano meglio, a -18C) mantengono una buona vitalità per 12 mesi. Inutile dire che ho scelto questo ceppo per acidificare la mia prima Berliner Weisse.

FEAT - Lactobacillus Plantarum

Inoculo della coltura pura di batteri lattici. Mentre raffreddavo il mosto ho reidratato i batteri in polvere in un po’ di acqua a temperatura ambiente (ca. 100 millilitri) tenendoli a mollo per una decina di minuti (se usate quella del rubinetto va prima bollita e raffreddata). Una volta portata la temperatura del mosto a 30C, ho inoculato e chiuso il pentolone. Per mantenere la temperatura della pentola a 30C, ho usato un STC1000 collegato a un cavo riscaldante da 50W. Ha retto alla perfezione. Credo che questi batteri lavorino anche a temperatura ambiente, ma i tempi di acidificazione si allungherebbero. Nel mio caso, con circa 20 litri di mosto in pentola, sono arrivato da ph 5.2 a ph 3.5 in circa 16 ore perdendo a malapena 1 punto di OG. A parte un leggero aroma di lattico (tipo yoghurt) non ho avvertito altri off-flavours.

lactobacillus plantarum fermentazione

BollituraUna volta raggiunto il ph desiderato, si passa alla bollitura. 3.5 è un buon target per il ph, ma si potrebbe scendere fino a 3 anche se poi la birra diventa molto pungente. Ho tolto quindi il cavo riscaldante dalla pentola e l’ho messa sul fuoco per avviare la bollitura (nel mio caso ho acceso la resistenza elettrica della pentola). Quanto farla bollire? Teoricamente 60 o anche 90 minuti, per essere sicuri di rimuovere tutto il DMS che si è formato. Personalmente (ma non sono l’unico) credo che con una bollitura vigorosa di 60 minuti si elimini tranquillamente tutto il DMS. Stavolta sono andato oltre, provando una bollitura di soli 30 minuti (la vera ragione è che erano due giorni che stavo dietro a questa birra e non avevo molto tempo a disposizione). Credo anche che la bollitura aiuti a far evaporare il leggero aroma di youghurt che si era formato con la fermentazione lattica, ma potrò verificarlo solo successivamente. C’è chi dice che con la bollitura si perde la complessità aromatica data dalla fermentazione lattica e probabilmente è vero. C’è da capire se questo sia effettivamente un aspetto negativo oppure no. 🙂 Vedremo quali saranno i risultati. In questa fase ho aggiunto un po’ di luppolo per dare un po’ di amaro, ma mi sono tenuto basso per non scontrarmi troppo con l’acidità (diciamo intorno agli 8 IBU).

bollitura

Raffreddamento e inoculo lievito neutro. A questo punto si procede come se stessimo producendo una birra qualunque. Si raffredda il mosto, si ossigena e si inocula il lievito. Quale lievito scegliere per finire il lavoro? Dunque: come ho scritto prima, è probabile che per la fermentazione tradizionale delle Berliner Weisse venissero usati lieviti selvaggi Brettanomyces. Molti homebrewers, anche oggi, usano questi lieviti per finire la fermentazione della Berliner Weisse poiché sono molto più resistenti all’acidità. Infatti, se tipicamente il mosto di birra dopo la bollitura arriva a ph di ca. 4.8 (o qualcosa in più), nel caso della Berliner Weisse siamo intorno ai 3.5 (o qualcosa in meno). A ogni modo, sia Nicola Coppe che gli homebrewers del gruppo Milk The Funk hanno usato con successo lieviti secchi come US05S04, o T58. Sconsiglio comunque di usare lieviti troppo caratterizzanti (come per esempio lieviti belgi con forte sviluppo di fenoli o di esteri) poiché potrebbero produrre aromi che non si combinano bene con l’acidità (ma si potrebbe sperimentare). Se si usano i Brett, i tempi di fermentazione saranno più lunghi (anche se una fermentazione 100% Brett non dura parecchi mesi, probabilmente con qualche settimana ce la caviamo). Per questo primo esperimento io ho scelto di fermentare con US05 a 20C, sempre per seguire la filosofia della semplicità. Per stare al sicuro, ho inculato in leggero overpitching, usando una intera busta per 12 litri di mosto con OG di 1.036. La fermentazione è partita dopo una decina di ore (leggermente in ritardo rispetto al solito) ma sta andando avanti senza problemi.

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Per ora mi fermo qui. Aggiornerò questo post mano mano che l’esperimento andrà avanti. Qualsiasi commento o esperienza personale è la benvenuta, vi aspetto nei commenti!

AGGIORNAMENTO: per sapere come è andata a finire, leggete la recensione della birra (link)

62 COMMENTS

  1. Bravo, ma soprattutto onesto quando scrivi che hai fatto un boil di 30 minuti perchè hai poco tempo.
    Seguo con piacere
    Ma è vero che “una fermentazione 100% Brett non dura parecchi mesi, probabilmente con qualche settimana ce la caviamo”? io pensavo che i tempi fossero lunghissimi
    PS ma come si attivano le notifiche?

    • Grazie Lorenzo. I Brett lavorano con tempi lunghi se usati in fermentazione secondaria o se affiancati da altri lieviti e batteri (come accade nelel fermentazioni spontanee dei lambic, ad esempio). Se usati al 100% sono piuttosto veloci e soprattutto producono un carattere funky molto delicato (a volte quasi nulli) e pochissima acidità.

  2. Al solito grande Francesco! Mi sei stato molto utile con questo articolo. Sto aspettando i batteri di Nicola per poi provare una gose. Speriamo bene !

  3. Articolo molto interessante. In primis complimenti. Però ti faccio un piccolo appunto: la Grätzer (lo scrivo così per comodità) l’ho assaggiata in Polonia e ho letto sul BJCP: nessuna acidità nello stile! È un po’ a parte rispetto a qualunque altra cosa… magari è da fare come prossima! Saluti

    • Ciao Federico, grazie per i complimenti. Hai ragione, in parte. 🙂 Anche io ho letto la definizione del BJCP, ma se leggi l’articolo che ho linkato dice che in alcuni casi esistono delle interpretazioni leggermente acide e che comunque, storicamente, è molto probabile che fossero birre parzialmente acide. A ogni modo, concordo che è lo stile “meno acido” dei quattro elencati.

  4. Bell’articolo, mi hai fatto venire voglia di provare (in primavera magari).
    C’è una cosa che però mi chiedo….. come si fa ad azzeccare l’OG?
    Noi possiamo calcolare ed azzeccare la densità alla fine dello sparging. Possiamo intuire quanto si alzerà dopo la bollitura tenendo conto dell’evaporazione.
    Ma come facciamo a sapere quanto attenua il lacto?

    • Buona domanda. Era quello che mi ero chiesto anche io (ed ero convinto di averlo scritto nel post, ora lo aggiungo). Prima considerazione: i lacto consumano una quantità di zuccheri variabile, ma in genere abbastanza limitata. Nel mio caso, i planctarum hanno mangiato a malapena un punto di OG. Altri ceppi (tipo i buchneri della Wyeast) credo mangino un po’ di più (anche 5 o 6 punti). A ogni modo, c’è anche da dire che in questo stile azzeccare perfettamente la OG ha poca importanza: è una birra comunque molto delicata e con una base acida: se viene fuori da 3.7% o 3.2% non cambia granché a mio avviso.

      • ok se dici che attenua solo di un paio di punti è piuttosto irrisorio
        Leggendo il BCJP l’OG dovrebbe essere compresa fra 1028 e 1032…. è un range piuttosto limitato, per questo la vedevo dura azzeccarlo

        • Secondo me questo è uno di quei casi in cui le specifiche del BJCP contano poco. Sicuramente è utile per capire lo stile, ma le migliori versioni delle berliner weisse che ci sono in giro secondo me sono quelle con il dry hopping, per dire. Tra l’altro, anche nei concorsi, l’OG conta poco: l’importante è quello che si percepisce, e sfido chiunque a distinguere una berliner weisse a 3.2% di alcol da un a 3.7%. 🙂

  5. quindi con questo specifico ceppo in polvere lo starter non è mai necessario, giusto?
    se si fanno meno di 23-25 litri bisogna mettere il lievito in proporzione (ad esempio metà tubetto per 12 litri) oppure si può mettere tutto senza problemi?

    • Conta che devi calcolare i litri in pentola prima della bollitura, non quelli nel fermentatore (dato che i lacto lavoreranno sul volume di bollitura). Io faccio 12 litri di birra finita e in bollitura ho una ventina di litri, quindi ho usato tutto il tubetto. Non starei a fare proporzioni dato che un overpitching i lacto non crea problami particolari.

  6. ah mi sono scordato di chiedere un’altra cosa: ho visto che in sour beer blog in caso di kettle mash consiglia di saturare l’aria sopra il mosto di co2. Tu hai fatto qualcosa in questo senso o non te ne sei preoccupato?

    • Non me ne sono preoccupato poiché i planctarum sono più “tolleranti” in questo senso. Differente il discorso se fai sour mash, dove di batteri ce ne sono un’infinità, alcuni dei quali possono produrre aromi davvero sgradevoli in presenza di ossigeno. Nel mio caso, ho semplicemente chiuso il coperchio ed evitato di aprire fino alla fine dell’acidificazione.

      • grazie! riguardo invece alla quantità di lievito per cotte più piccole e alla necessità di starter cosa mi dici?

        • Lo starter da cultura pura è sconsigliato dato che con i lactobacilli è difficile lavorare in purezza (ovvero senza contaminazioni da altri lieviti).

  7. Ciao Francesco, vorrei usare i lacto di birramia per fare una Gose e il metodo di produzione che vorrei fare è lo stesso del tuo, però ho un dubbio: una volta inoculati i lacto e tenuti per 12/18 h e poi portati a ebollizione non c’è il rischio di contaminare pentola e (nel mio caso) scambiatore? o la bollitura ammazza tutto?

    • Ciao Dario, questo metodo è nato proprio per evitare contaminazioni (è la ragione per cui si introducono i batteri prima della bollitura), quindi starei abbastanza tranquillo. Inoltre, quello specifico ceppo è intollerante al luppolo: i batteri muoiono in qualsiasi birra sopra i 5 IBU (ragion per cui vengono usati anche in birrificio).

      • un’altra domanda…dato che non potrò tenere la pentola di boil a 30° pensavo di usare un fermentatore dedicato al quale però NON dovrò mettere il gorgogliatore giusto?

        • Ciao Dario, è un peccato non poter usare la pentola perché è proprio quello il vantaggio di tutto il processo! Ma non riesci a mettere un cavo riscaldante intorno alla pentola? A ogni modo, il gorgogliatore mettilo: teoricamente questi batteri non producono CO2, ma il gorgoliatore male non fa.

          • La pentola potrei usarla ma non poteri tenerla a 30°! Birrifico in garage e la temperatura, di notte soprattutto, si abbassa. Unica soluzione potrebbe essere mettere una coperta! Che ne dici?

              • Più che altro la scocciatura: travasa dalla pentola, metti i batteri, travasa di nuovo nella pentola, fai bollire, travasa di nuovo… cmq non capisco perchè è così difficile tenere calda la pentola: il fermentatore come lo tieni a 30c? Usa lo stesso metodo.

      • cavo riscaldante, ma ti ripeto essendo la pentola in garage il cavo non riuscirebbe a tenere la temperatura. e poi la sonda dell’stc dovrei metterla a contatto col mosto e rischierei future infezione (o lameno credo) e quindi non vorrei rischiare.
        A meno che dovrei mettere il cavetto intorno alla pentola e mettere anche li la sonda dell’stc e poi avvolgere una coperta. come la vedi come soluzione?

        • È una soluzione, tanto il controllo di temperatura non deve essere preciso al grado in questo caso. Occhio però a coperte infiammabili ed elettricità.

    • Ciao Frank, mi stavo chiedendo: il Lactobacillus plantarum che credo si trovi facilmente in farmacia, secondo te potrebbe andare bene ugualmente allo scopo? La domanda nasce semplicemente dal fatto che mi piacerebbe provare, ma al momento, non avendo altro da acquistare, mi toccherebbe pagare 6 euro di spedizione a fronte di un prodotto che ne costa 10

  8. Ciao, finalmente mi sono lanciato anch’io in questa esperienza, però ho usato i Pediococcus pentosaceus per una Berliner 2kg di pilsner 1,5kg di wheat.
    Forse ho sbagliato qualcosa perchè non ho considerato il grosso quantitativo di acqua di sparge, quindi il PH risultante dopo lo sparging era un po’ altino 5,6.
    Ho comunque inoculato i pediococchi e tenuto per 48 ore a 31 gradi circa… risultato PH 3.9, puzza di yogurt l’ho sentita anch’io ma era una cosa abbastanza lieve. C’è da considerare anche che i litri di partenza erano 28, forse un po’ troppi.
    Sono passato alla bollitura di un’ora, raffreddato, ho messo nel fermentatore 22 litri di mosto OG 1031 in cui ho inoculato una busta si US-05.

    LA fermentazione è partita visivamente dopo una decina di ore, molto lenta, in graduale aumento (penso sia normale visto il basso tenore di zuccheri)
    Sta borbottando tranquillamente da tre giorni a 20 gradi.
    Dopo appunto tre giorni ho prelevato un campione, SG approssimativamente 1019, ma il problema è l’odore, piuttosto forte, ricorda il latte condensato (le caramelle galatine), diverso dal solito diacetile. In bocca invece si sente una piacevole acidità anche se è mischiata ancora al dolce degli zuccheri.
    Boh la lascio li speranzoso che un po’ di puzze vengano riassorbite

      • Mah…. sono arrivato a 1004, ha attenuato fin troppo…. il problema rimane l’odore…. mi sembra quasi un succo d’ananas…. In bocca invece non mi dispiace.
        Vabeh domani imbottiglio, tanto a buttarla nel lavandino si fa sempre in tempo

            • Ciao, ieri ho aperto una birra, so che è giovane ma ero curioso di vedere come evolve…. ebbene sembra che le puzzette di cui parlavo siano diminuite… quindi spero in bene.

              Ma secondo te, una birra fatta con questo metodo, come si dovrebbe evolvere nel tempo?
              Una vera Berliner potrebbe diventare più acida perchè i lattici continuano a lavorare, ma in questo caso sono morti…..
              Inoltre il potere conservante del luppolo direi che è irrisorio…. e con un tenore alcolico così basso, non c’è il rischio che vada male nel giro di pochi mesi?

  9. Ciao Teo, il luppolo in realtà non agisce contro l’invecchiamento (leggi fenomeni ossidativi) ma aiuta (in parte) a bloccare l’azione di eventuali microrganismi indesiderati. Le caratteriatiche che prevengono invece l’invecchiamento precoce sono principalmente tre: tenore alcolico alto, alta percentuale di malti scuri e acidità. Quindi la berliner ha buone probabilità di conservarsi per un periodo non eccessivamente breve.

  10. Sì. Per “andare a male” intendevo appunto deperibile in breve tempo.
    Quindi secondo te fra 6 mesi potrebbe essere ancora in forma?

  11. L’acidità è un ottimo conservante. Io la mia l’ho bevuta dopo diversi mesi (mi pare quattro o cinque) ed era ancora in ottima forma (ovviamente l’aroma di luppolo si era affievolito).

  12. Ciao Frank, volevo farti una domanda. Come mai per tenere a 30 gradi durante l’acidificazione hai usato un cavo riscaldante e non la serpentina stessa della pentola? Il mio problema è che la pentola è ben coibentata (il Klairstain) e quindi un cavo riscaldante risulterebbe abbastanza inutile. Quindi pensavo di usare il fermentatore e la serpentina in camera di fermentazione. Quali potrebbero essere le controindicazioni (a parte lo sbattimento di 2 travasi extra)?

  13. Ciao, complimenti per l’articolo! Io di birra non ne so nulla… ho iniziato da poco a prendere informazioni… per iniziare mi piacerebbe creare una semplice aranciata lattofermentata e mi domandavo quali ceppi fossero piu appropriati e quali da evitare: ho trovato delle capsulecontenenti l.acidophilus, l.rhamnosus, l.paracasei, b.lactis, s.thermophilus. Su 1 litro tot, Diluisco con acqua la spremuta per ottenere un ph 4.5, inoculo con una capsula e lascio la bottiglia chiusa per 2 giorni a 20 gradi, poi la passo in frigo e la consumo durante la settimana… nulla di complesso… poi se ci prendo gusto mi cimentero col sidro e con la birra.
    I ceppi che ho trovati non sono tra i piu usati (l.plantarum, l.brevis…) andranno ugualmente bene o si rischia di ottenere una schifezza?
    Ciao!

    • Ciao Lorenzo, sinceramente non ho esperienza con le aranciate lattofermentate e non ho idea dei possibili risultati. I ceppi che citi in realtà sono tra i più usati, almeno per produrre birre acide (il plantarum è quello ceh ho usato io, come ho scritto nel post).

  14. Grazie,
    facciamo invece conto che volessi fare un sidro di mele o una birra acida:
    tra i fermenti presenti nella capsula, che ti ho citato sopra, sono presenti il bifidusbacterium lactis e lo streptococcum thermophilus che, in veritá, sono quelli che piú mi preoccupano… tu dici, dunque, che, probabilmente, non genereranno odoracci?

    Per quanto riguarda invece le birre acide mi pare che, di norma, i lactobacilli vengono inoculati nella seconda fermentazione in bottiglia. C’é qualcuno che li inocula, invece, assieme ai lieviti? In questo caso cosa cambierebbe a livello percettivo? Ne uscirebbe una birra troppo acida o, peggio ancora, acetica?
    Grazie ancora!

    • Lorenzo, io mi riferivo all’ultimo capoverso della tua domanda, quando parli di plantarum e brevis. Gli altri non li ho mai provati quindi non saprei. Per il resto, mi sembra che non hai ancora ben chiare diverse cose. Prima di lanciarti in questo tipo di fermentazioni, ti consiglio di documentarti un po’, più che altro per evitare di lavorare tanto a vuoto. Qualche info la trovi anche nella sezione “ACIDE” di questo blog (ci accedi dal menù in alto), ma ti consiglio in particolare The Sour Beer Blog

      http://sourbeerblog.com/fundamentals-of-sour-beer-fermentation/

      e la wiki di milk the funk

      http://www.milkthefunk.com/wiki/Main_Page

      dove trovi informazioni piuttosto specifiche sui diversi ceppi di lievito e batteri.

  15. Ciao, eccomi di nuovo qua!
    In merito alla tua esperienza col plantarum, mi domandavo:
    secondo te si puó fare la seconda fermentazione con il Saccharomyces carlsbergensis? A me piace molto la Radeberger e vorrei creare qualcosa su quello stile peró con un tasso alcolico basso come quello di una radler o anche meno e senza glutine… quache idea?
    Mi domandavo anche se sia possibile recuperare il lievito dallo spumante… che se non erro é rifermentato in bottiglia proprio con il carlsbergensis.
    Grazie ancora!
    Ciao.

  16. Non so se il carlsbrgensis riesca a fermrentare bene in ambiente molto acido. Cmq non mi sembra una grande idea, impeghi solo più tempo senza particolari benefici. Alla fine il carattere delle berliner weisse viene molto dal grano e dai batteri lattici, non è che se usi un US05 rovini qualcosa.

  17. Ok, la radebergerger di cui ti parlavo è una pilsner… Peró suppongo che le tue considerazioni valgano anche per le pilsner… Se poi considero che qua dove vivo ho 20°C tutto l’anno nn è neppure pratico usare il carlbergensis… Del resto alla fine senza glutine e a basso grado alcolico alla fine ne potrà uscire una bevanda forse gradevole ma sicuramente diversa da una pilsner.. faccio un mosto di uva e miele e provo a Fermentarlo col lievito secco del supermercato assieme al plantarum. Dopo la fermentazione lo faccio bollire affinché evapori l’alcol e ci metto il luppolo. Poi lo imbottiglio… E qui dovrei aggiungere nuovo lievito e zicchero per la rifermentazione in bottiglia… O nn so se è il caso di lasciarlo liscio senza bollicine… Verrà una schifezza? XD

  18. Ciao Frank,
    Bell’articolo, ti voglio chiedere una cosa.
    Utilizzando questo metodo, quindi bollendo il mosto una volta che i batteri hanno agito, si può utilizzare il solito fermentatore che utilizzo nella produzione delle altre birre?
    La cosa mi affascina assai 🙂

  19. Ciao,
    ho usato i batteri lattici della Wyeast e mi hanno abbassato il ph di 2 punti in circa 48 ore con temperatura di 30°
    Ho avuto pero’ off flavor di acido butirrico

  20. Ciao Frank, innanzitutto ti dico grazie per tutti gli insegnamenti che ho tratto dalla lettura dei tuoi articoli, veramente sempre ben fatti!
    Volevo chiederti una cosa su questo stile di birra, ho seguito il procedimento da te descritto del kettle souring, fatto il mash, raffreddato a circa 30 °C e quindi inoculato i lactobacillus plantarum, coperto il tutto e sigillato. Ho anche avvolto un cavo riscaldante alla pentola collegato ad un termoregolatore. Erano circa le 20.
    Stamattina verso le 10:30, apro il coperchio e sento un forte odore di cavoletti di Bruxelles, sicuramente si tratta di DMS… Il pH era sceso a 4.3 ma la domanda è: una volta raggiunto il mio pH target, come faccio ad eliminare tutto quel DMS? Una bollitura di 60/90 minuti è sufficiente? Sono un po’ preoccupato.
    Detto ciò, ti ringrazio di nuovo per i tuoi contributi e ti chiedo scusa per il lungo messaggio. Un saluto!

    • Strano che si sia formato tutto questo DMS senza aver portato in bollitura. In genere il calore (diciamo sopra gli 80°C, quindi anche durante la bollitura) trasforma il precursore (SMM) in DMS e la bollitura lo fa evaporare. Se non fai bollire, non dovrebbe formarsi così tanto DMS. È possibile che sia dovuto ai batteri, anche se il plantarum in genere non ne forma così tanto. Potrebbe volatilizzarsi poi con la fermentazione, ma se è così tanto forse è meglio far bollire una mezz’ora almeno.

      • Ciao Frank!
        Ormai sei il nostro guru!!
        Mi appresto a provare anche io questo metodo, ma ero curioso di provare anche la versione no boil per conservare tutta la complessità dei lactobacilli (sempre che l’odore mi ispiri!).
        Avevo intenzione di dividere in due la cotta dopo la fermentazione lattica, e bollire solo una parte del mosto, lasciando l’altra cosí com’é.
        Mi chiedevo: é necessario secondo te aggiungere un po’ di ibu, anche per bilanciare e eliminare i lattici? E se si, come fare senza bollire? Tu che metodo useresti? O lasceresti tutto com’é e via all’esplorazione?

        • Qualche IBU ci sta, ma si può provare anche senza. Ti conviene bollire un po’ di luppolo a parte in un po’ di mosto e aggiungerlo. I calcoli sugli IBU li fai come se bollissi l’intero quantitativo di mosto.

  21. Grazie per l’articolo! Molto interessante! Vorrei provare a fare anche io…Dove posso seguire altri post di questo autore, sarebbe molto utile! Grazie 🍺🍺🍺

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