Era da un po’ di tempo che volevo provare a produrre una Doppelbock, stile tradizionale tedesco caratterizzato da un tasso alcolico medio-elevato e una forte componente maltata. La mia proverbiale impazienza mi ha sempre frenato, visto che queste birre necessitano (teoricamente) di una lunga maturazione a temperature basse. Si tratta infatti di birre alcoliche a bassa fermentazione, quindi ai tempi di maturazione già lunghi dovuti alla significativa presenza di alcol si aggiunge anche la complicazione di dover condurre questa maturazione a temperature basse, per via dei lieviti utilizzati.
Finalmente mi sono deciso a brassare questo stile, applicando il profilo di fermentazione che ho sperimentato con soddisfazione su Pilsner e American Lager: fermentazione a 10°C, pausa diacetile di qualche giorno quando la densità è quasi arrivata al valore finale e lagerizzazione di due-tre settimane al massimo nel fermentatore. Poi rifermentazione a 16°C e conservazione in frigo intorno ai 5°C per una maturazione più lunga.
LO STILE
La classificazione che il BJCP fa delle bock può generare un po’ di confusione stilistica. Andando a spulciare le linee guida, si nota che in realtà lo stile bock non esiste.
Esistono le bock a gradazione media, distinte sostanzialmente per colore, che ricadono nei due stili Helles Bock (o Maibock), chiara, e Dunkles Bock (da ambrata a mogano). Quest’ultima è quella che in genere abbiamo tutti in mente quando parliamo di bock. Le bock più alcoliche rientrano in tre categorie: Doppelbock (di qualsiasi colore), Eisbock (prodotte con passaggio di congelamento che aumenta il grado alcolico) e infine le Weizenbock, anch’esse di qualsiasi colore ma prodotte con lieviti da weizen e grano.
Ovviamente la distinzione per colore si porta dietro una differenziazione per qualità aromatiche: le bock più chiare sono caratterizzate da toni tendenti al miele e al cereale, mentre man mano che imbruniscono si intensificano le sfumature aromatiche derivanti dalle reazioni di Maillard (panificato, crosta di pane, ma anche miele di castagno e frutta secca), fanno capolino toni caramellati e addirittura qualche leggera punta di tostato in alcuni casi (cioccolato). Il tenore etilico aumenta con la percentuale di ABV, ma l’alcol si presenta sempre abbastanza morbido anche nelle versioni molto alcoliche.
Helles e Dunkles Bock sono sempre ben attenuate e piuttosto secche, mentre le sorelle maggiori sono tendenzialmente più dolci, con corpo più pieno e leggermente meno attenuate. Il livello di amaro è sempre molto basso, appena sufficiente per bilanciare la dolcezza dei malti ed evitare che la birra risulti stucchevole.
Esempi classici e commerciali dello stile sono ovviamente la Salvator della Paulaner, la Celebrator della Ayinger la Optimator della Spaten. Come avrete intuito, i nomi delle Doppelbock finiscono tradizionalmente con il suffisso ATOR e hanno spesso un caprone come simbolo.
LA RICETTA
Per ridurre il periodo di maturazione a freddo e rendere la birra più facilmente bevibile senza rinunciare agli aromi maltati, ho scelto di mantenermi sul limite basso per quanto riguarda l’alcol. La mia idea era di attestarmi sul 7% ABV, al limite inferiore dello stile secondo il BJCP.
Per quanto ho potuto approfondire, negli stili maltati tedeschi si limita l’utilizzo dei malti crystal (più caratteristici negli stili anglo-sassoni) mentre si fa ampio uso dei malti base caratterizzati dai prodotti aromatici di Maillard, dovuti all’interazione di proteine, zuccheri e acqua quando viene applicato calore durante l’essicatura e la successiva tostatura. Malti base con queste caratteristiche sono il Vienna ma soprattutto i malti Monaco. Di quest’ultimo malto, in particolare, esistono due varianti caratterizzate da livelli di tostatura differenti: Monaco I e II.
Nella produzione delle lager con colori dall’ambrato in poi, si ricorre spesso ai malti caramonaco (o caramunich), anch’essi disponibili in vari livelli di tostatura. La differenza rispetto a un classico malto crystal è che il caramonaco viene prodotto partendo da malto lager (quindi malto pilsner) anziché malto pale. Ne deriverebbero sfumature aromatiche diverse tendenti più ai prodotti di Maillard (panificato, miele scuro, frutta secca) piuttosto che al caramello.
Tradizione vuole che per la produzione delle doppelbock la bollitura venga prolungata fino alle tre ore, fondamentalmente per stimolare la produzione di componenti di Maillard e di toni caramellati anche durante la bollitura. Inutile sottolineare che per me questa pratica è follia: passare tre ore a bollire presenta moltissime complicazioni, tra cui la necessità di gestire volumi iniziali maggiori di mosto per via della grande quantità di acqua che evapora. Inoltre, non ho davvero nessuna voglia di prolungare la cotta di due ore. Anche perché credo fermamente che con le tante varietà di malti moderni disponibili sul mercato sia possibile ottenere qualsiasi combinazione aromatica, senza necessità di ricercare ulteriori sfumature in una bollitura prolungata.
Nella mia ricetta ho scelto quindi di dare ampio spazio ai malti monaco e caramonaco, con una piccola base di malto pilsner per aiutare la conversione enzimatica nel mash e per evitare che la birra venisse eccessivamente maltata.
Ho deciso di passare per il protein rest perché non volevo rischiare chill haze e birra torbida. Per quanto non influisca particolarmente sul profilo organolettico, la torbidità in una doppelbock mi dà fastidio alla vista.
Purtroppo, in fase di salita della temperatura dal protein rest al mash ho avuto problemi di ricircolo: la temperatura sul fondo della pentola è arrivata a 80°C per qualche minuto. La pompa si era bloccata per via delle bolle di vapore che si creano quando la resistenza è accesa al massimo per la salita della temperatura: la troppa potenza (2400W) unita al peso della sacca piena di grani non fa uscire il vapore creando delle bolle che passano nella pompa, bloccandola. Quando la pompa si blocca le bolle spingono sui grani che fanno da tappo, la pressione aumenta e in pochi istanti la temperatura sul fondo sale vertiginosamente in tempi brevissimi. Alzando la sacca le bolle svaniscono e la pompa si riprende, ma nel frattempo il mosto caldo del fondo si mescola al resto facendo salire troppo la temperatura.
Per questa ragione, evito di fare protein rest con il mio impianto: basta una piccola distrazione per generare disastri. Presto comprerò un regolatore di potenza per la resistenza, in modo da evitare questo problema.
Era previsto mash a 68°C (già troppo alto secondo me) ma per buoni 20 minuti il termometro ha segnato 69-70°C.
Questo, credo, abbia influito notevolmente sulla scarsa attenuazione raggiunta.
FERMENTAZIONE
Non avendo nessuna voglia di seguire il processo di lagerizzazione standard, ho optato per un approccio che mi ha dato soddisfazione in passato con tempi di fermentazione relativamente brevi. Ho inoculato a 18°C perché di più non riesco a raffreddare in tempi ragionevoli con l’acqua di rete. Nel giro di 7 ore la temperatura è arrivata a 10°C, prima che il gorgogliatore desse cenni di vita.
Ci sono scuole di pensiero differenti sulla migliore temperatura di inoculo per i lieviti a bassa fermentazione: io ho sempre inoculato a temperatura più alta rispetto a quella di fermentazione (più che alto per convenienza) senza rilevare particolari problemi.
Purtroppo la densità si è piantata a 1,025, anche dopo essere salito per 6 giorni a 13°C e poi per altri 4 a 15°C. A questo punto di solito scendo repentino a 0°C e lagerizzo per un paio di settimane (come si vede dalla linea grigia del grafico). In questo caso sono invece sceso a step, per evitare che il lievito si addormentasse, e ho lagerizzato a 2°C nella speranza che continuasse a mangiare qualche punto di densità.
Ma così non è stato, purtroppo: la densità è rimasta ferma.
Per assicurarmi una carbonazione in bottiglia più veloce, ho aggiunto lievito F2 della Lallemand (0,04 g/L) in fase di imbottigliamento. Le bottiglie sono state in frigo a 16°C per due settimane, dopodiché le ho portate a 5 gradi. Cercherò di tenerle sempre in frigo, a meno che anche questo secondo frigo non mi serva per altre fermentazioni.
Al momento dell’imbottigliamento la birra presentava un bel colore ambrato con riflessi rubino ed era piuttosto limpida.
ASSAGGIO
La birra è piuttosto giovane, lo so. Ha sulle spalle quasi due mesi nel fermentatore ma solo tre settimane in bottiglia (di cui poco più di una settimana a freddo). Ne ho già assaggiate diverse, il che è buon segno perché significa che le bevo volentieri. E in effetti è così: questa birra mi piace, anche se ha bisogno di qualche modifica per trasformarsi in quello che mi aspettavo realmente da questa ricetta. Mi sbilancio intanto con questo primo assaggio “prematuro”, riservandomi di pubblicarne un altro tra non meno di un mese.
L’acol è al di sotto del livello minimo per una doppelbock: contando anche la ricarbonazione, arriviamo a 6.3% (in etichetta ho scritto 6.5% ma è un errore): lontano rispetto al 7% ABV considerato come limite inferiore per lo stile.
ASPETTO L’aspetto è assolutamente in linea con lo stile. Bel cappello di schiuma marroncina, direi beige, con bolle fini. Piuttosto abbondante con buona persistenza. Colore ambrato carico con riflessi rubini. Presenta una leggera velatura, ma tutto sommato è abbastanza limpida.
AROMA Molto pulito, mediamente intenso. Arriva subito al naso il caramello che vira sul toffee piuttosto che sul bruciato. È accompagnato da un’ondata di aromi derivanti dalla reazione di Maillard, tra cui spiccano crosta di pane e frutta secca. Quest’ultima di impronta dolce, come datteri e uvetta. In sottofondo un filo di miele di castagne. Avverto anche qualche suggestione di crostata con marmellata di arance. Un buon aroma, piuttosto complesso e molto pulito.
AL PALATO Al palato entra dolce, per un breve istante, poi l’amaro arriva a bilanciare. Si ripresenta la frutta secca con sfumature dolci, insieme al caramello e al miele. La frutta diventa quasi candita, con suggestioni di arancia. Il finale lascia un ricordo dolce, ma non stucchevole. Complessa e interessante anche al palato.
MOUTHFEEL Piuttosto piena, forse leggermente sopra le righe. Il corpo c’è, si percepisce lungo tutta la bevuta, ma senza risultare eccessivamente intrusivo. La carbonazione è medio-bassa, come da stile, il che rende il corpo ancora più vellutato. Nessuna astringenza, l’alcol si percepisce appena ed è molto morbido.
IMPRESSIONI GENERALI La birra è buona, mi piace molto. Dalla sua ha tutte le sfumature aromatiche che ci si aspetterebbero da una Doppelbock, peccato siano un pelo troppo evidenti. La birra fortunatamente non risulta stucchevole, anzi, ma certo non ha quel bilanciamento che ci si aspetta dallo stile. Si sente un po’ la mancanza di un leggero calore etilico che in questi casi aiuta la bevuta. A parte queste piccole sfumature fuori fuoco, la birra non presenta difetti: l’aroma è pulito, niente diacetile né acetaldeide. Buona la limpidezza e molto attraente il colore. Schiuma e tenuta perfette.
La birra, per ora, non ha sovracarbonato. Questo mi fa sempre più pensare che la FG così alta sia dovuta al mash ballerino piuttosto che a un lievito pigro, anche perché il tasso di inoculo era in linea e il W34/70 di solito non dà particolari problemi.
Nella prossima versione cambierei solo la temperatura di ammostamento, portandola a 66°C. Potrei aumentare di un pelo la OG, magari puntare a 1,075 per arrivare a un grado alcolico intorno ai 7.5% ABV (comprensivo di ricarbonazione). Per il resto, la ricetta secondo me ci sta. Sta migliorando giorno dopo giorno (tengo le bottiglie in frigo a 5°C), scriverò di un prossimo assaggio tra un mesetto (se rimarranno bottiglie).
ASSAGGIO A TRE MESI DI BOTTIGLIA
Mi ero ripromesso di pubblicare il commento a un assaggio futuro di questa (pseudo) doppelbock per valutarne l’evoluzione organolettica. Eccomi dunque a commentare un duplice assaggio: quello dell’ultima bottiglia tra quelle tenute a temperatura di frigorifero per oltre tre mesi e quello dell’ultima bottiglia in assoluto, lasciata a temperatura ambiente (intorno ai 20°C) per lo stesso periodo di tempo.
La buona notizia è che ho fatto veramente fatica a non finire le bottiglie prima dei tre mesi, il che conferma che la birra mi è piaciuta. Non è perfetta, ma l’ho trovata gradevole (anche nel lungo periodo) e abbastanza in stile. La versione conservata in frigo non si è evoluta particolarmente, né in positivo né in negativo: confermo le impressioni dei primi assaggi. Forse è venuta leggermente più in primo piano la componente caramellosa: una leggera riduzione nella dose di Caramunich I potrebbe giovare al profilo organolettico. È tuttavia probabile che alzando l’alcol e aumentando l’attenuazione questa riduzione nemmeno serva.
La vera sorpresa è stata la bottiglia conservata a temperatura ambiente (foto sopra). Si è mantenuta davvero bene, conservando più o meno le caratteristiche delle altre birre conservate in frigo. Il livello di carbonazione è rimasto identico, segno che la alta FG era probabilmente dovuta alla presenza di zuccheri complessi e non a un blocco della fermentazione prima del tempo (anche perché la birra era stata parecchio nel fermentatore). Ovviamente non ne avremo mai la certezza, ma il livello costante di carbonazione che la birra ha mantenuto in questi tre mesi di bottiglia sembra confermare questa teoria.
Birra assolutamente da rifare!
Bello stile la Doppelbock.
Io la feci dopo aver fatto per qualche volta (2 o 3), una più mite e semplice Bock…senza stare a guardare bjcp e le varianti che hai segnalato, la mia Bock (che si chiamava “50 la Bock” 🙂 ) alla fine era fondamentalmente una Doppel depotenziata se mi passi il termine.
Trovato equilibrio con quella poi osai fare una Doppelbock, la mia Trombator che hai assaggiato.
Sbirciando ricetta tua, il grist e molto simile, seppur presentando alcune differenze.
Anche perché io puntavo (volutamente) ad un ebc più alto del tuo (35), che ho ottenuto con il carafa I in piccola percentuale che tu non hai (temevo di appesantire troppo con carmello).
Ed anche a Ibu io sto sopra, ma va detto in presenza anche di un og superiore al tuo ed in stile.
Però la mia, pur avendo profilo mash perfino superiore al tuo, con protein rest e saccarificazione a 71°, attenuò ciò che mi aspettavo, un 10% in più della tua.
Poi ok i miei 71° non sono gestiti da pompe di ricircolo e da termometri tarati al decimo di grado e seguiti da programmi o pc….ahahahahah…..uso mestolone di legno e termometro a gabbia ad alcol, però dai indicativamente li l’ho tenuta. 😉
La tua attenuazione mi lascia molto perplesso sai, dubito che un paio di gradi centigradi di differenza possano portare a una differenza tanto abissale di attenuazione apparente.
Abbiamo stesso lievito (ovviamente).
Io, se misurazioni sono esenti da errori e conoscendoti un po’ credo sia così, temo che si sovracarbonerà….spero vivamente di sbagliarmi ovviamente, ma il tempo ti darà la risposta comunque.
Tu per fortuna a differenza mia le tieni a 5° a maturare, cosa per me non possibile, anche se nei primi mesi la cantina della brasserie era bassa di temperatura, sui 14° circa.
Ma poi arrivò estate…e va beh…comunque resto stabile devo dire, anzi io temevo fortemente che il caldo la distruggesse, invece così non fu.
Da foto ha davvero un bell’aspetto, e si nota la differenza di ebc dalla mia più scura, ma ripeto io a quello puntavo, anzi oserò un filo di più ancora se mai la rifarò.
Dimenticane qualche bottiglia se ci riesci…che evolve, spero in bene, ma evolve. 😉
In realtà non sono così preciso nel tarare i termometri, è una cosa che mi rompe parecchio. 🙂 Devo dire che nel mash ne ho però uno sul fondo e uno nel pozzetto, e più o meno segnano la stessa temperatura. Nelle rampe ne aggiungo anche un terzo, per sicurezza. Quindi direi che la temperatura dovrebbe più o meno essere quella. Resta comunque molto strano che il W34/70 si sia fermato così, anche perché ho usato tre bustine reidratate per 11 litri. Boh, vedremo. Intanto me la bevo volentieri, e questo è quello che importa. Poi una bottiglia a un certo punto la tirerò fuori dal frigo e la lascerò lì per un po’, anche per vedere cosa succede.
E strano si.
Lo conosco bene quel lievito, che adoro, usato tantissime volte e non mi ha mai dato problemi.
Al limite son stato io a dare problemi a lui.
Va detto che sulla mia di cui ti parlavo concatenai, di proposito, un po’ perché sono braccino (erano un 30 lt), un po’ per paura, dato che con og così alta con lui non avevo mai lavorato.
Per cui ero bello carico di lievito.
Ma pure tu, 3 buste in 11 lt mi paiono un tasso di inoculo che non lascia spazio ad alcun dubbio.
Forse perfino in overpitching…no?
Se ti può servire anch’io in genere con questo lievito (che non reidrato a parte) inoculo a tue temperature, lo verso sulla schiuma che si forma ossigenando e lo lascio li per una mezz’oretta, il tempo che lavo e sistemo tutto, poi lo mescolo al mosto.
E anche come temperature di fermentazione (un filo più basso lavoro io ma roba di nulla) e tempi (forse un paio di giorni in più a temp. ferm. faccio, tu sei anche salito a 13° se non leggo male) siamo lì (diacetil se stavi a fg e servito a nulla….ma va beh).
Insomma più o meno li siamo, e dunque strano e strano si.
Sarei curioso di sapere la stabilità nel tempo.
Perché quella attenuazione non e assolutamente da lui, mai avuta in tutte le cotte in cui l’ho usato.
Son tutte cose che sai già…ma va beh e giusto per fare due chiacchere tra hb!!! 😉
Ciao Frank, hai valutato l’idea di usare una piccola percentuale di malti melanoid al posto di qualche cara?
Stavo pensando anche io di fare una doppelbock di 7,5-8% e vorrei darle un passaggio in botte di rovere che ho usato una sola volta (ci è passato un barley per 5 settimane), secondo te può essere una buona idea? Ho un po paura che la micro ossigenazione porti un eccesso di sentori vinosi, porto e madeira classici della botte e me la trasformi in un simil mini-barley wine.
Visto che hai chiuso ad una densità più alta, a livello di priming come ti sei comportato?
La botte non c’entra granchè con lo stile, ma il potenziale per fare una buona birra passata in botte c’è. Potrebbe poi assomigliare a un barle wine, soprattutto per l’ossidazione che inevitabilmente ne deriverebbe. Le bock sono caratterizzate soprattutto dai sentori maltati (specilamente i malti come munich e caramunich), se la passi inbotte indubbiamente prenderebbe la deriva del brley wine. Per quanto riguarda la cabonazione, non mi sono lasciato spaventare dalla densità alta: ho mantenuto lo stesso target di volumi. Per ora, a distanza di due mesi, le birre in frigo non si sono assolutamente sovracarbonate. Ne ho lasciata una fuori dal frigo, tra un mesetto la apro e vediamo se tenendola al caldo ha sovracarbonato.