Finalmente, dopo una serie di articoli e approfondimenti teorici e diversi imprevisti lungo il percorso, la mia New England IPA è nel bicchiere. Carbonata e pronta da bere.
Tutto iniziò poco più di un mese fa, quando mi imbattei nel podcast numero 104 della Master Brewers Association of the Americas (MBAA). In questa puntata, John Paul Maye della Hopsteiner condensava, in soli 20 minuti di intervista, tantissimi spunti interessanti per la produzione di questo stile.
Non sono mai stato un grande amante delle NEIPA, ma le parole di Maye hanno stimolato la mia curiosità scientifica. Ho deciso così di approfondire tecnicamente la questione, pubblicando i risultati dei miei ragionamenti (che sono più che altro un mash-up ragionato degli articoli studiati) in due post apparsi qualche settimana fa su questo blog. Il primo passa in rassegna i malti solitamente impiegati per il grist ed espone alcuni importanti informazioni sulla riconsiderazione degli IBU nelle NEIPA; il secondo approfondisce i tempi di dry hopping, la tipologia di luppoli e il lievito.
Tirata giù la ricetta, ho messo mano ai pentoloni e mi sono lanciato nella produzione. Vediamo cosa è venuto fuori.
RICETTA
Quella che segue non è ovviamente la ricetta perfetta, anche perché come vedremo ho avuto degli incidenti di percorso che mi hanno portato a modificarla strada facendo. Devo dire però che mi sembra piuttosto azzeccata, soprattutto nel grist di malti. Sui luppoli, come vedremo nel seguito, si può giocare parecchio con altre varietà, dosaggio e tempistiche per la luppolatura.
Rimandando ai post citati in precedenza per approfondire a fondo i razionali dietro alle mie scelte, sintetizzo in breve le linee guida principali secondo cui mi sono mosso:
- impiego di avena e grano per indurre torbidità il più possibile stabile. Quantità eccessive potrebbero favorire l’aggregazione delle proteine facendole precipitare sul fondo, quindi non ho esagerato nel dosaggio
- ho scelto cereali maltati o maltati in parte (chit malt) per favorire la solubilizzazione delle proteine a catena medio-corta, ed evitare che proteine troppo grandi precipitassero in fretta in bollitura, in fermentazione o in bottiglia
- non ho praticato luppolatura durante la bollitura. Ho aggiunto una prima dose a caldo dopo aver spento la fiamma, con hop-stand a 75°C per 20 minuti in modo da estrarre aromi e minimizzare contestualmente l’isomerizzazione degli alfa acidi. Per praticare l’hop-stand si fredda il mosto dopo la bollitura fino alla temperatura desiderata, si aggiunge il luppolo e si attende. Non ho fatto whirpool perché nel mio sistema non è praticabile
- per una serie di ragioni (cfr. articolo dedicato), il calcolo degli IBU finali per birre non luppolate a caldo non è fattibile con le classiche formule a cui siamo abituati. Nonostante i soli 12 IBU di partenza (calcolati con la formula hop-stand di BrewFather), la birra è abbastanza amara (ve lo assicuro) grazie alle aggiunte in dry-hopping che in birre con bassi IBU di partenza contribuiscono sensibilmente all’amaro
- ho scelto il luppolo Sabro perché mi interessava provarlo, ma non è detto che sia la scelta migliore per questo stile con il suo forte aroma di cocco e crema. Il Mosaic lo dovevo finire, ma non si sente granché
- ovviamente questa tipologia di birra andrebbe imbottigliata in isobarico per preservare il più possibile l’aroma luppolato. Non disponendo di tale attrezzatura, ho provato comunque a produrla con il metodo classico, cercando di limitare l’ossidazione evitando qualsiasi tipo di travaso e imbottigliando direttamente dal fermentatore. Una volta terminata la ricarbonazione in bottiglia (10 giorni) ho spostato tutte le bottiglie in frigo dove le tengo a 2°C.
Veniamo ora ai problemi che ho avuto durante l’ammostamento. Già altre volte mi è capitato di avere efficienza più bassa quando utilizzo fiocchi (come il chit malt). Non so se sia dovuto al fatto che non faccio sparge producendo in BIAB, ma a fine mash noto sempre che i fiocchi escono praticamente intatti. Avrei voluto comprare grano maltato in grani, ma non era disponibile e mi sono accontentato dei fiocchi. Mi sono poi dimenticato di abbassare l’efficienza in ricetta. Risultato: 10 punti in meno di efficienza a fine ammostamento. Di bollire due ore non avevo tempo, così ho aggiunto mezzo chilo di malto secco che avevo da parte, arrivando alla densità pre-boil prevista. Come un cretino, ho sciolto l’estratto a inizio bollitura, inducendo un imbrunimento ancora maggiore del mosto già scurito dall’estratto. Da giallo paglierino è diventato arancione. Purtroppo c’è stato poco da fare.
Ripensandoci a mente fredda, la poco efficienza potrebbe essere dovuta anche all’avena che era molto dura e secondo me non è stata macinata a dovere. La prossima volta (se mai ci sarà), come mi hanno consigliato altri homebrewers, frullerò i fiocchi e sicuramente macinerò molto più finemente l’avena.
Probabile che l’estratto abbia modificato la proporzione tra le varie proteine rispetto alla ricetta originale, ma l’entità della variazione non è quantificabile. Per il resto, è andato tutto bene. Almeno fino alla fermentazione.
FERMENTAZIONE E DRY HOPPING
Il lievito non era molto vecchio, quindi ho preparato giusto un litro di starter con agitatore che mi avrebbe dovuto portare a un conteggio cellulare sufficiente. Purtroppo mi si era rotto il vecchio barattolo di vetro e sono dovuto ricorrere a uno più piccolo riempito fino all’orlo. Questo limita di molto lo scambio di ossigeno tra aria e mosto. Il lievito ha impiegato parecchio tempo prima di iniziare a fermentare il mosto dello starter (un lag di quasi 24 ore) il che mi aveva un po’ preoccupato. Quando succedono queste cose, in genere, per sicurezza, faccio un secondo step di starter da un litro secondo la logica “melius est abundare quam deficere”. Purtroppo non ho avuto tempo materiale per farlo (non avevo nemmeno più l’estratto necessario), e ho lasciato correre. Male, molto male.
Anche la fermentazione ha avuto un lag molto lungo, ed è apparsa subito lenta. Non avendo mai usato quel lievito (Omega DIPA), ho sperato che fosse normale. Ho proseguito quindi con la prima aggiunta di luppolo in dry hopping dopo un giorno di fermentazione. Subito dopo il gorgogliatore ha smesso di fare bolle. Secondo il Tilt, la densità era ferma a 1.025, ben al di sopra degli 1.010 previsti.
In altri casi avrei aspettato qualche giorno, ma avevo già inserito la prima gettata di luppolo. Non avendo in previsione travasi per limitare l’ossidazione, se avessi atteso troppi giorni quel luppolo sarebbe rimasto in contatto con il mosto per un tempo eccessivo, il che non mi piaceva. Dopo 12 ore di stallo totale (secondo il gorgogliatore ma anche secondo misura con idrometro e Tilt) ho reidratato una bustina di lievito secco BRY-97 e l’ho aggiunta. In 24 ore la densità è scesa a 1.015, più che ragionevole vista l’aggiunta significativa di estratto. A questo punto ho aggiunto il resto del luppolo, atteso tre giorni, fatto un paio di giorni di cold crash e imbottigliato senza alcun travaso.
L’obiettivo era lasciare la birra nel fermentatore per il minor tempo possibile per preservare gli aromi e limitare il contatto del mosto con il luppolo aggiunto in dosaggio maggiore del solito (10 g/L solo in dry hopping). Occorre fare attenzione e attendere qualche giorno dopo l’ultima aggiunta di luppolo per evitare lo spiacevole inconveniente dell’hop creep.
IMBOTTIGLIAMENTO
Sapevo che non sarebbe stato facile imbottigliare senza travaso, per via della massiccia presenza di luppolo sul fondo del fermentatore. Seguendo il solito approccio, ho aperto il fermentatore agganciando il sifone dall’alto con asta da travaso all’altra estremità. Lo zucchero l’ho inserito come soluzione di acqua e destrosio nelle singole bottiglie, utilizzando il mio foglio Excel per il calcolo delle quantità (acqua bollita per liberarla dall’ossigeno disciolto).
Per i primi 5 litri (su un totale di 12) è andato tutto bene. Il problema, come temevo, è arrivato quando ho dovuto spingere più a fondo il sifone. A un certo punto è iniziato a salire luppolo in pellet che mi ha completamente intasato l’asta per l’imbottigliamento. Ho dovuto smontarla, pulirla e riprendere l’imbottigliamento con molta attenzione. Alla fine sono riuscito a perdere “solo” 1,5 litri, con alcune bottiglie che ovviamente hanno un po’ di pellet in sospensione e che berrò di nascosto. 🙂
Consiglio di tenere una seconda asta da travaso a portata di mano, già sanitizzata, quando si imbottigliano birre molto luppolate direttamente dal fermentatore. Se si è in due, poi, è meglio, così uno tiene il sifone fermo e l’altro centra l’asta nelle bottiglie.
Per la carbonazione ho puntato ai soliti 2 volumi, per me ideali per le birre luppolate.
ASSAGGIO
Ho fatto un primo assaggio dopo cinque giorni di bottiglia: la birra era ben carbonata ma era evidente una nota non piacevolissima di diacetile. Il successivo assaggio, descritto nel seguito, è avvenuto dopo 10 giorni di ricarbonazione a temperatura ambiente. Dopodiché tutte le bottiglie sono passate in frigo a 2°C, temperatura ottimale per la conservazione (non per il servizio, ovviamente).
ASPETTO La birra è ovviamente un po’ più scura di quello che avrei voluto. Tuttavia il colore non è male: si presenta di un bell’aranciato, molto simile al succo di arancia non filtrato. Bel cappello di schiuma con bolle fini e piuttosto persistente, aderisce alle pareti durante la bevuta. Torbidità a mio avviso perfetta. Ogni tanto si affaccia qualche pezzettino di pellet nel bicchiere, ma di meglio non sono riuscito a fare.
AROMA Nel complesso lo definirei medio-basso. Se versata in piccola dose nel bicchiere da degustazione si avverte con una intensità maggiore, ma a bicchiere pieno non è certo esplosivo. Le tonalità sono tuttavia interessanti: tanta frutta, tra cui spiccano limone e cocco (questo dovuto sicuramente al luppolo Sabro). Si nota anche una piacevolissima sfumatura di crema, che ben si sposa con le note di cocco. In sottofondo resina e pino, piuttosto lievi. Ogni tanto arriva uno sbuffo che ricorda la pasta di mandorle. Buona complessità, intensità decisamente migliorabile. Scongiurato apparentemente il cosiddetto “effetto pellet”, ovvero l’impressione vegetale che si avverte portando al naso luppolo in pellet.
AL PALATO Entra con fruttato abbastanza intenso che si snoda principalmente su tonalità agrumate, leggermente resinose, per lasciare spazio successivamente a note di cocco e crema. L’amaro è ben presente, molto morbido. Sale fino a metà bevuta raggiungendo una piacevole punta amara, per poi dissiparsi velocemente cedendo il campo alla frutta. Non punge. Al retrolfatto spuntano velature di pesca che affiancano cocco e mandorla. Buon rapporto tra dolce e amaro, sbilanciato su quest’ultimo senza risultare oppressivo. Un’amaro da APA più che da IPA, ma ci sta vista la gradazione della birra.
MOUTHFEEL Secondo me molto ben riuscito. La birra è morbida, quasi setosa ma non stucchevole. L’astringenza è minima, quasi impercettibile. L’alcol è morbido, anche perché è poco. La carbonazione è nel giusto range: stuzzica ma non punge. Le sensazioni boccali sono l’aspetto più riuscito di questa birra.
IMPRESSIONI GENERALI Tutto sommato un esperimento abbastanza riuscito. Diversi i problemi incontrati durante la produzione, ma alla fine ho fatto bene a non svuotare il fermentatore nel lavandino (l’ho pensato a un certo punto). Il grist mi piace, togliendo il maledetto estratto lo ripeterei senza alcun dubbio. La luppolatura è riuscita in parte: molto bene la sensazione tattile al palato, l’astringenza quasi assente e l’assenza di effetto pellet al naso; meno bene sull’intensità e anche sul mix aromatico. La scarsa intensità dipende in parte dal trattamento senza isobarico, ma c’è anche da dire che ho ottenuto birre molto più aromatiche con meno luppolo, sempre senza isobarico. Come ho scritto negli articoli di approfondimento, non sempre aumentare le dosi in dry produce un immediato effetto sull’intensità dell’aroma. Anche la tipologia di luppolo non so se sia adattissima allo stile: il Sabro è molto interessante, ma questo mix di cocco e crema non è proprio da NEIPA. Il lievito non ha lavorato bene, quindi difficile esprimere un parere a riguardo.
Tutto sommato una birra piacevole, a cui manca decisamente intensità aromatica ma che centra abbastanza il mouthfeel, l’aspetto visivo e la pulizia aromatica. Cosa cambierei? Le variabili sono talmente tante che non saprei decidere ora. Sicuramente lascerei invariato il grist e il timing della luppolatura, su quantità e tipologie di luppolo ci devo riflettere. Per il momento, cheers!
Per quanto riguarda questo passaggio : “Veniamo ora ai problemi che ho avuto durante l’ammostamento. Già altre volte mi è capitato di avere efficienza più bassa quando utilizzo fiocchi (come il chit malt). Non so se sia dovuto al fatto che non faccio sparge producendo in BIAB, ma a fine mash noto sempre che i fiocchi escono praticamente intatti. Avrei voluto comprare grano maltato in grani, ma non era disponibile e mi sono accontentato dei fiocchi. Mi sono poi dimenticato di abbassare l’efficienza in ricetta. Risultato: 10 punti in meno di efficienza a fine ammostamento ”
Io anche faccio BIAB e con grist con 40% di fiocchi di frumento ho sempre centrato la OG. Il consiglio che ti posso dare è di dare una bella mescolata all’impasto ogni 15 minuti almeno portando i grani sul fondo in superficie e quelli in superficie in fondo.
Mi raccomando non ti accanire con le NEIPA come fai con le Saison. Grande Frank
Ah ah, grazie! Non mi accanirò, ma devo dire che le ultime due saison che ho fatto sono venute finalmente bene. Ci ho messo anni, ma alla fine qualche risultato è uscito fuori. 🙂
Noi l’avena la maciniamo a quasi la metà rispetto all’orzo (0,60 mm)
Ciao Frank, mi chiedevo come fossi riuscito a tenere il calcio così basso con tutti quei solfati e cloruri. Ho provato partendo da un’ acqua con 12,4 ppm di calcio ma non riesco a starci dentro con un profilo neipa. Ed eventualmente cosa comporta sforare le 150 ppm di calcio? Grazie
Con il cloruro di sodio (sale da cucina) e solo una punta di Gypsum.
Il diacetile può essere una conseguenza dell’hop stand a 75°C?
Assolutamente no. Può essere invece provocato dall’Hop Creep che libera ulteriori zuccheri semplici stimolando il lievito a una nuova piccola fermentazione con annessa produzione di diacetile che può finire in bottiglia.
Ciao volevo farti una domanda anch’io ho provato a fare una neipa usando pilsner ,fiocchi d’avena fiocchi di frumento luppoli cascade mosaic e citra a 80 gradi per 20 minuti e gli stessi luppoli in dry hopping in totale 9g/l e come lievito il new England della Lallemand .
Ora sono passati 5 giorni è il gorgogliatore è fermo quindi volevo fare il dry hopping , siccome anch’io non voglio fare travasi ho pensato di aprire il coperchio del fermentatore e buttare i 90 grammi liberi senza hop bag, secondo te è giusto ??
Ho sempre fatto Dry Hopping libero ma in quantità minori circa 4-5g/L .
Non vorrei mai che magari il troppo luppolo mi faccia diventare scura la birra 😅
Così facendo sicuramente un po’ ossiderai, ma non hai molte alternative. Ed è comunque sempre meglio piuttosto che fare un travaso.
Grazie mille per la risposta 👍👍🍻
Se posso darti un consiglio Frank, so che ha un costo abbastanza rilevante, ma un fermentatore tronco conico ( col doppio rubinetto sul fondo, Birramia li vende) potresti senza far travasi spurgare in un primo momento lievito, depositi vari e luppoli, e poi imbottigliare direttamente dal fermentatore senza aste, a me semplifica molto 😉
Grazie del consiglio Enrico, ma prendere un troncoconico per l’unica NEIPA che ho fatto (e che probabilmente farò in vita mia) mi sembra eccessivo. 🙂 Le altre luppolate le fermento nel keg senza travasi o spurghi, e mi trovo benissimo. Come
Mesh a 68°…quindi si va a cercare solamente le alfa miliasi? Come mai non farlo a 65 o magari un multistep? Grazie mille
Mesh a 68°…quindi si va a cercare solamente le alfa amilasi? Come mai non farlo a 65 o magari un multistep? Grazie mille
A 68°C non ci sono solo alfa amilasi, lavorano entrambi gli enzimi. Certamente le alfa lavorano di più, ma in una birra dove il corpo è une elemento fondamentale ha senso secondo me lavorare più alti e non più bassi. Il multistep nel range delle amilasi lo trovo poco utile nella maggior parte dei casi, non aggiunge nulla di particolare al lavoro degli enzimi se non farli lavorare alternati ma spesso non si capisce bene a che pro.
Grazie Frank …risposta molto esaustiva. 👍🏻
Ciao Frank ma il luppolo in dry hop lo lascio libero o usi i filtri o sacchetti?
Sempre libero, poi cold crash e sifone dall’alto.
Ciao Frank, un OT… Una birra solitamente di un bell’ambrato carico, fatta con il 60% di Pils e il 40% di Monaco, che cuocio senza fare protein rest, beh, a tre settimane dall’imbottigliamento ha un aspetto simile alla tua Neipa… L’impressione che ho avuto è che non si creassero durante la bollitura le solite aggregazioni di proteine. Il malto pils era di un lotto mai utilizzato, e in un’altra ricetta in cui lo ho utilizzato (devo ancora imbottigliare) temo che sia uscita la stessa schifezza. Colpa solo mia o mia e del malto? E visto che di sto malto ne ho ancora un po’, che faccio, risolvo qualcosa con il protein rest?
Eh, chi lo sa. I fattori che generano torbidità sono talmente tanti. Puoi sicuramente provare un protein rest, ma mi sembra strano che un malto pils moderno possa generare significativa torbidità (a meno che non sia magari di malterie secondarie, ma non credo sia il tuo caso). Prova con il protein, più basso, intorno ai 48°C pe runa ventina di minuti. Poi bisognerebbe vedere tutti gli altri parametri: ph di bollitura, durata del cold crash, lievito, quantità di luppolo…
Ciao Frank, grazie per la risposta. Ne approfitto e proseguo… In un tuo post del 2018 (“Vecchie convinzioni e nuove certezze”) scrivevi che il protein rest lo facevi a 52°, e io avevo messo insieme questa informazione a quanto avevi spiegato nella seconda parte del post sull’ossidazione (“Non solo aria nella birra, parte II”): “si rischia passando per il protein rest o ancora peggio per altri step sotto i 50°C”. Il fatto che tu mi consigli di provare con temperature più basse è perché la torbidità di cui ti ho detto è una certezza più grave del rischio di ossidazione?
Per quanto riguarda il malto, è davvero di una malteria secondaria, con cui però in passato mi sono trovato molto bene. Il ph era di 5.3 in mash, il lievito l’US05, il luppolo, tra tutte le gittate, circa 4,5 g/l, e il cold crash… non lo faccio! Lo so che dovrei provare imbarazzo, ma non mi sono attrezzato perché generalmente ottengo comunque una limpidezza accettabile, magari prolungando i tempi di fermentazione
Nella produzione di birra si fanon sempre dei compromessi. Non esiste il processo migliore in assoluto, ma quello più adatto a seconda degli obiettivi. In questo caso, è possibile che il malto non sia ben modificato. Da questo ne deriva spesso un eccesso di proteine ma anche di betaglucani, entrambi possono contribuire alla torbidità. Facendo il protein rest un po’ più in basso come temperatura, si attivano anche le betaglucanasi (che hanon range 40-48°C) che aiutano a ridurre anche i Beta-Glucani mentre lavorano anche le proteasi sulle proteine. A quelle temperutre potrebbe esserci un leggero rischio di ossidazione a caldo per via delle lipossidasi, ma non è che automaticamente la birra viene fuori ossidata.
Perfetto, grazie!
Frank… la mia fake-neipa, in cantina da un paio di settimane, da segni di illimpidimento. Diciamo che fino al salva etichetta è diventata di aspetto accettabile. Sotto c’è ancora nebbia fitta. Ma una volta in frigo o nel bicchiere si intorbidisce uniformemente e insomma, continua ad essere indecorosa a vedersi. Siccome ho letto che le neipa andrebbero consumate giovani per preservarne la torbidità e le qualità organolettiche che a quella torbidità si accompagnano, posso sperare che in un paio di mesi anche la mia birra diventi carina?
Non ne ho idea, assaggia e vedi come va.