Uno degli aspetti che amo di più dell’homebrewing è la possibilità di produrre in casa stili che è difficile trovare in giro. Certo non è facile centrare uno stile di cui si sono bevuti pochi esempi, ma con un po’ di pratica, fantasia e studio si possono ottenere buoni risultati. E avere il frigo pieno di bitter, irish stout, biere de garde e simili.

Era da un po’ di tempo che volevo provare a produrre in casa una IPA in stile inglese. Che poi, come ben si sa, quella inglese è l’interpretazione originaria dello stile, anche se ormai nell’immaginario collettivo IPA significa American IPA e basta. Chi ha mai bevuto una IPA inglese? Neanche gli inglesi le bevono, figuriamoci. Qualche esempio gira tra le pompe dei pub in UK ma spesso, anzi quasi sempre, l’utilizzo di luppoli americani finisce per spostare l’equilibrio complessivo. Basta pensare alla Lagonda di Marble, alla Axe Edge di Buxton o alla Green Devil di Oakham Ales: tutte buonissime, piuttosto equilibrate, ma ben equipaggiate con luppoli americani e neozelandesi.

Immagine da @Buxtonbrewery on Twitter

A sorpresa, una interpretazione che mi ha particolarmente colpito la assaggiai qualche tempo fa a Lisbona. Ero tra i giudici del “VI Concurso Nacional de Cervejas Caseiras e Artesanais”, la birra era prodotta dall’homebrewer Ricardo Silva e alla fine si piazzò al 4° posto, a un passo dal podio. Non so quali luppoli avesse utilizzato, ma il risultato mi era sembrato eccezionale: pulizia, equilibrio, base maltata leggermente biscottata senza eccessi di caramello, aroma erbaceo, floreale e agrumato della giusta intensità. Una gran bevuta che è rimasta particolarmente impressa nella mia memoria. Come esempio italiano ricordo la Suburbia, prodotta da Birra Perugia ma non facilmente reperibile in giro per i pub. Purtroppo, senza luppoli americani a cannone, le birre amare si vendono poco. Specialmente qui a Roma.

RICETTA

Il BJCP (stile 12C) consiglia di utilizzare ingredienti inglesi per ottenere un esempio fedele allo stile. Mi trovo abbastanza d’accordo, anche se a mio avviso qualche piccolo “aiuto” di luppoli americani ben selezionati ci può stare. L’importante è evitare di sconfinare nel tropicale o nel resinoso spinto. Sul lievito si può discutere: è chiaro che la scelta migliore sarebbe un lievito inglese, ma c’è da dire che il contributo aromatico del lievito in questo stile non è così marcato. Secondo me ce la si può cavare bene con un lievito neutro, anche perché trovare un (cito testualmente il BJCP) “lievito inglese ben attenuante” è quasi un ossimoro. I lieviti inglesi sono famosi per flocculare molto, rendere la birra limpida e lasciare una buona dose di zuccheri non fermentabili nel bicchiere. Qualche possibilità c’è: si può usare ad esempio il “Dry English Ale” della White Labs (WlP007) o aggiungere zucchero per favorire l’attenuazione.

Per la scelta dei malti ho ravanato in dispensa valutando quello che avevo a disposizione. La decisione di produrre questa birra è nata in corsa, quindi mi sono arrangiato con quello che ho trovato in casa. Mi sarebbe piaciuto usare un po’ di Biscuit o Aromatic, malti tostati (ma non crystal) che esaltano le note aromatiche della reazione di Maillard come biscotto, crosta di pane e cracker, ma non ne avevo. Ho optato quindi per una aggiunta di Monaco, in quantità modesta, sempre per rimanere su malti tostati ma non crystal. I sentori di caramello ci possono stare in questo stile, ma devono essere delicati. Ho aggiunto quindi Crystal 150 EBC con dosaggio molto basso, soprattutto per dare una sfumatura aranciata alla birra. Infine, una piccola dose di zucchero per favorire l’attenuazione.

Avrei preferito usare un lievito liquido, ma ero a fine stagione e non ne avevo. Ho provato così il Nottingham della Danstar, lievito di origine inglese ma con un profilo piuttosto neutro (stando a quanto ho letto e sentito in giro).

Luppolo: marchio di fabbrica inglese con Fuggle e EKG più una piccolissima aggiunta di Cascade per esaltare le sfumature agrumate e floreali. Ho usato Cascade anche a inizio bollitura perché non avevo abbastanza Fuggle e EKG per raggiungere gli IBU desiderati.

Per la prima volta da quando faccio birra (sono passati oltre 6 anni) ho usato l’acqua di rete. A Roma non abbiamo una grande acqua, ma dal sito dell’Acea si possono facilmente recuperare i dati per zona. Nel mio caso, l’unico valore veramente sballato è quello dei bicarbonati: 420 ppm sono veramente tante, è servita una dose massiccia di acido lattico per portare il pH di mash a un livello decente. Mi sono fermato a pH 5.4, dopo aver aggiunto ben 12 millilitri di acido lattico in 19 litri di mash. Ho aggiunto un po’ di Gypsum per abbassare il pH, portando il rapporto solfati/cloruri decisamente sbilanciato sui solfati. Teoricamente ci sta, la secchezza è una caratteristica importante di questo stile.

FERMENTAZIONE

Ho inoculato due bustine di lievito reidratato, senza ossigenare. Come ho già scritto, l’ossigenazione nel caso di inoculo di lievito secco non è indispensabile. Ho fatto diverse prove ormai senza ossigenare e devo dire che le fermentazioni procedono bene. Tuttavia le birre che ho prodotto con lieviti secchi senza ossigenazione, sebbene arrivate a FG senza problemi, non mi hanno sempre convinto. Non sono riuscito a evidenziare difetti evidenti riconducibili alla mancata ossigenazione (come ad esempio una produzione eccessiva di esteri) ma non posso negare che in un paio di casi (non sempre) le birre prodotte senza ossigenazione mi hanno lasciato perplesso. Devo ancora valutare se proseguire con questo approccio oppure no. Vedremo.

Era mia intenzione partire basso con la temperatura per un paio di giorni e poi alzare, per limitare la produzione di esteri. Non conoscendo bene il comportamento fermentativo del Nottingham della Danstar, volevo evitare “fruttatoni” tipo la mia ultima British Strong Ale. Dopo aver inoculato il lievito e impostato il termostato a 16°C sono partito per due giorni: la densità era già a 1.025 quando sono rientrato e ho alzato un po’ la temperatura. Mi avevano detto che il Nottingham lavora bene anche a basse temperature, ma non pensavo a questa velocità. Poco male, comunque.

Dopo diversi giorni di densità stabile ho fatto cold-crash e imbottigliato direttamente dal fermentatore con priming in bottiglia, senza alcun travaso. La birra ha rifermentato a 16°C in frigo per tre settimane, poi è stata tenuta sempre in frigo intorno ai 2-5°C.

ASSAGGIO

Il primo incontro con questa birra non è stato dei migliori. Già il campione in fase di imbottigliamento non mi aveva convinto: qualche puzzetta che non ero riuscivo a definire e bassissima intensità aromatica e gustativa, soprattutto per quanto riguarda l’espressività della base maltata. Dov’era il malto? Sembrava di bere acqua amara leggermente luppolata.

Ma c’era anche qualcos’altro. Possibile fosse solo suggestione (sapevo di aver usato acqua di rubinetto) ma mi sembrava di percepire un aroma strano che remotamente ricordava i clorofenoli. Poteva essere colpa dell’acqua di rete? L’avevo lasciata in pentola tutta la notte per far evaporare il cloro, che comunque non era in alcun modo evidente nell’acqua. Se l’acqua è trattata con clorammine, il cloro non evapora: però, ripeto, non si sentivano particolari odori sgradevoli nell’acqua.

Ero piuttosto confuso e deluso. Siccome ero solo di passaggio a Roma, ho chiuso il frigorifero con tutte le bottiglie dentro e sono tornato al mare con la famiglia a bere Lagunitas presa al supermercato. Dopo qualche settimana, ho provato un altro assaggio. Poi un altro ancora. Poi ancora. E alla fine non ho buttato tutto. Anzi, alla fine la birra non è nemmeno male. Vediamo nel dettaglio.

 ASPETTO  L’aspetto è bello. Il colore è ambrato con riflessi aranciati. È abbastanza velata (non come appare dalla foto) ma non tanto da disturbare: il BJCP concende un po’ di chill haze, quindi direi che ci sta. La schiuma è bianca, a bolle fini, molto persistente. Bella, non c’è che dire.

 AROMA  Intensità molto bassa. Leggerissime note maltate di crosta di bane e biscotto. Il luppolo è leggermente più vivace, con sfumature agrumate, limonose e un tocco di marmellata d’arancia. In sottofondo guizzi terrosi ed erbacei. Quelle note non proprio gradevoli che associavo ai clorofenoli sembrano svanite, il che è strano perché non si tratta di un difetto che si attenua con la maturazione. Potrei essermi sbagliato inizialmente. La fermentazione sembra piuttosto pulita: lievito non pervenuto, esteri assenti. Niente diacetile. Aroma complessivamente poco entusiasmante, ma nemmeno pessimo. I tratti dello stile ci sono, certamente non brilla per intensità o eleganza.

 AL PALATO  Entra con un taglio luppolato, amaro, erbaceo che non trova alcuna sponda nella base maltata. Piuttosto scomposta, spigolosa. La corsa gustativa è veloce, si alternano note agrumate e un leggero, quasi impercettibile, sbuffo maltato (pane tostato). L’amaro persiste, il finale è secco. Non è sgradevole ma è piuttosto monodimensinale e inelegante. Mi chiedo dove sia finito il malto. Vero che è quasi tutto malto base, ma ne ho fatte diverse di birre con 100% malto base e il risultato non è stato mai così deludente.

 MOUTHFEEL  Corpo esile, carbonazione vivace ma non eccessiva. L’alcol, che non è pochissimo, non si sente assolutamente.

CONSIDERAZIONI GENERALI

Rispetto al primo assaggio la birra è migliorata (o mi sono calmato io, il che è possibile). Non è da buttare nel lavandino, ma certo non si può definire una cotta riuscita. Difficile individuare dove sia il problema.

L’acqua di rete ha sicuramente giocato il suo ruolo: per arrivare a un pH di mash decente (comunque a mio avviso troppo alto per una birra così chiara e luppolata) ho aggiunto tanto acido lattico. Quando si acidifica con acido lattico si aggiungono anche lattati, che hanno una loro soglia di percezione (l’acido lattico non è insapore). Non credo di percepire nettamente aromi “strani”, ma è possibile che qualcosa sia venuto fuori rovinando l’esperienza aromatica complessiva.

L’assenza del malto potrebbe essere imputata all’ossidazione, ma la birra non mi sembra particolarmente ossidata, almeno non visivamente (è di un bel colore arancione brillante). Certo con il dry hopping un po’ di ossigeno è sicuramente entrato, ma ho fatto tante altre birre luppolate seguendo lo stesso procedimento con risultati nettamente migliori. Un’altra ipotesi ragionevole è che il rapporto solfati/cloruri troppo alto potrebbe aver accentuato l’amaro a discapito del malto. Avrei potuto aumentare anche i cloruri, ma il calcio sarebbe schizzato a livelli molto alti (vicino alle 200ppm). Sicuramente una correzione dell’acqua con AMS invece dell’acido lattico sarebbe stata più indicata. Cloro alla fine non ne sento, quindi lo escluderei dai giochi.

La ricetta non mi sembra per niente male, anzi. Forse la prossima volta aggiungerei una gettata di luppolo a 0 minuti con hopstand, eliminando del tutto il dry-hopping per limitare l’ossidazione e l’estrazione di terpeni e polifenoli (profilo “grassy” e amaro più tagliente). pH di mash più basso, rapporto solfati/cloruri vicino all’unità e via. La rifarò sicuramente. Potrei anche riprovare a usare l’acqua di rete correggendola con AMS invece del lattico (più efficace sul pH, aggiunge inoltre cloruri e solfati senza aumentare il calcio).

 

 

 

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Ingegnere elettronico prestato al marketing, da sempre appassionato di pub e di birre (in questo ordine). Produco birra in casa a ciclo continuo dal 2013. Insegno tecniche di degustazione e produzione casalinga. Sono un divoratore di libri di storia e cultura birraria. Dal 2017 sono giudice BJCP (Beer Judge Certification Program). Autore del libro "Fare la birra in casa: la guida completa per homebrewer del terzo millennio"

25 COMMENTS

      • Perché ero curioso di capire come mai due bustine di lievito…io produco di solito 9,5 litri alla volta e ho sempre usato solo una bustina per og sempre minori di 1055. L ultima birra che ho fatto però ha qualcosa che non va, sicuramente legato alla fermentazione (a dir la verità è la prima volta che mi succede), leggermente acidula e la cosa che balza più all occhio pochissima schiuma e che svanisce in fretta (tutte le altre birre che ho fatto, circa una decina, avevano una gran bella schiuma persistente…anche troppa), come se il lievito fosse arrivato stanco in bottiglia e avesse fatto fatica a rifermentare. Allora mi sto chiedendo se può essere sintomo di under pitching anche se in realtà sai benissimo che cercando su internet o da qualsiasi parte nessuno usa 2 bustine di lievito per produzioni come la mia. Più precisamente la birra in questione aveva og di 1055 per 9 litri, non ho ossigenato ne reidratato il lievito (us 05). Il non ossigenare l avevo provato già un unica altra volta in una luppolata con og di 1046 ed era venuta buona. Usare due bustine per 9,5 litri anche con og basse tipo 1050 potrebbe portare benefici o non ha senso secondo te?

        • Una bustina per 9 litri a quella OG è assolutamente sufficiente, non credo che il problema sia da correlare ad underpitching. Se poi il lievito fosse arrivato “stanco” in bottiglia e non avesse rifermentato a sufficienza (altamente improbabile per una birra del genere), la birra avrebbe un residuo dolce (per lo zucchero di priming non completamente consumato) e non “acidulo”. Non so bene cosa tu intenda per acidulo, ma mi fa pensare più a contaminazione che lievito stanco. Anche se un’infezione avrebbe probabilmente generato sovracarbonazione, ma non è detto al 100%.

          • Il discorso fila liscio, l acidulo non so bene come spiegartelo ma comunque è una sensazione leggera… non è acida (la birra non fa schifo, non devo sforzarmi per berla).
            Effettivamente la birra risulta parecchio dolce ed anche io ho pensato alla motivazione che hai dato tu, per quello ho pensato alla rifermentazione. Comunque sono abbastanza sicuro che non sia un infezione perché niente me lo fa pensare, sembra proprio qualcosa legato alla fermentazione…anche la og un po’ Altina a 1017 mi ha lasciato leggermente perplesso. Sono partito da 17 gradi i primi tre giorni per poi alzare fino a t ambiente. Che una bustina basta per quella og lo penso anche io, però penserei anche che per la tua English ipa ne bastava una vista la og e i litri prodotti eppure ne hai messe due te…come mai?
            Inoltre usando brewers friends e mettendo 9 litri a 1055 mi richiede 92 bilioni di cellule cosa che, usando una sola bustina, ottengo mettendo almeno 8 bilioni di cellule per grammo di lievito (cosa che per altro potrebbe essere abbastanza veritiera per us05 e s04 visto le informazioni che si trovano). Quindi se, come dice brewers friend, l s04 ha 92 bilioni di cellule in una bustina e 9 litri a 1055 ne richiede esattamente 92 non sono proprio così tranquillo che sono piuttosto in leggero overpitching anzi, considerando la non reidratazione e la non ossigenazione, potrei pensare di essere in under pitching.

            • La non areazione non dovrebbe influire sul tasso di pitching: il lievito secco ha sufficienti riserve di glicogeno e steroli per riprodursi adeguatamente. La non reidratazione può ridurre leggermente il tasso effettivo di pitching, ma la Fermentis, alla luce di diversi esperimenti fatti, sostiene sia veramente minimo. Purtroppo non ci è dato sapere quando cellule per grammo sia nei lieviti secchi, ma da quello che so 10 bl/g è molto probabile. Io ho fatto overpitching, avevo le bustine e non mi andava di buttare lievito 🙂 Inoltre l’overpitching tende a produrre meno esteri perché le cellule si moltiplicano meno. Tutto lì. Comunque la mia birra non è granché e non sono riuscito a capire bene perché. A volte è difficile risalire alle cause.

              • Ma quindi teoricamente se io usassi due bustine per 9,5 litri andando in abbondante overpitching la fermentazione potrebbe risultare più pulita? Controindicazioni dell overpitching?

                • Con il lievito non è proprio tutto così lineare, ma in generale sì: con l’overpitching si limita la crescita cellulare e la produzione di esteri (ma anche poliacoli e altre sostanze aromatiche). Di contro la fermentazione sarà in mano a più cellule “vecchie” (quelle del sacchetto, visto che non si soon riprodotte adeguatamente) e questo può, in alcuni casi e per liveli alti di overpitching, generare una fermentazione “faticosa”, con cellule stanche e tutti i possibile problemi del caso (riassorbimento solo parziale di acetaldeide, diacetile etc, autolisi, FG alta). Ma è tutta una questione di equilibrio.

                  • Leggendoli così potrebbero essere sintomi della mia ultima birra…magari il problema è l opposto😅😂 penso che continuerò con una bustina, vediamo come vengono le prossime. Grazie 1000 per la disponibilità Frank!

  1. Ciao Frank, ho un problema: faccio BIAB con mash monostep a 66/68 gradi, le birre mi vengono sempre abbastanza buone (nel senso abbastanza pulite) ma manca sempre quel bel sapore pieno di malto (risulta sempre troppo scarica la componente maltata). Ti chiedo, ti succedeva anche a te quando facevi biab? Potrebbe essere un limite di questa tecnica visto il mash diluito? Cosa potrei provare a fare per migliorare? (Se può essere utile utilizzo acqua di bottiglia modificandola sempre con solfato e cloruro di calcio preferendo sempre il doppio di cloruri rispetto ai solfati)

  2. No, non credo sia dovuto al BIAB. Ho fatto birre maltate in BIAB molto buone. A volte può dipendere dall’ossidazione (si a caldo che a freddo).

    • Ho capito, allora so che non è il biab. Proverò a modificare qualche passaggio, grazie mille👍🏻
      Complimenti per la session ipa, l ho vista su Instagram e visivamente viene voglia di berla. Poi adesso che lavori in contropressione e con 3 tini chissà che bomba le tue birre😉

  3. Ciao Frank, volevo chiederti in quale momento effettui il Dry Hopping e per quanti giorni lo fai, aspetti che sia raggiunta prima la FG prevista e sia stabile per qualche giorno, oppure getti i luppoli prima della conclusione della fermentazione primaria? Io avrei pensato la prima delle 2, ma guardando questa tua cotta in cui dopo 14 giorni di fermentazione sei già andato in Cold Crash (e il Dry Hopping l’hai fatto sicuramente prima), forse sei partito prima con il Dry Hopping della conclusione della fermentazione primaria?
    Lungi da me da darti suggerimenti che sono molto meno esperto di te, ma il difetto che hai descritto in questo articolo non potrebbe essere legato proprio al fatto che hai fatto Cold Crash un pò troppo presto? Grazie come sempre!!

  4. Ciao Frank, complimenti per la descrizione molto accurata e per aver condiviso in rete suggerimenti preziosi. Una domanda veloce – dopo il cold-crashing, consigli di imbottigliare il mosto (ormai birra) alla bassa temperatura a cui si trova oppure lo riporti sui 16-18 gradi e poi imbottigli? Grazie mille

    • Entrambi i metodi hanno pro e contro. Se riporti a temperatura di fermentazione, incameri meno ossigeno durante i trasferimenti e soprattutto la rifermentazione riparte prima perché la birra è alla temperatura giusta. Tuttavia, a volte l’aumento di temperatura fa smuovere il lievito sul fondo (a causa della CO2 che esce dalla soluzione) riportando in sospensione pellet e altre fondazze (ma non sempre). Se imbottigli a freddo, però, tendi a incamerare più ossigeno (ma nessuno ha mai valutato quanto, potrebbe essere ininfluente) e sicuramente il lievito ci mette di più a risvegliarsi per la rifermentazione, lasciando più tempo libero all’ossigeno per ossidare eventualmente i composti presenti nella birra. A te la scelta. 🙂

  5. Ciao Frank, con riferimento alla domanda precedente ho optato per riportare a temperatura di fermentazione. Il gorgogliatore ha però dato segni di vita e quindi ho il dubbio se imbottigliare…Prima del cold crashing, dopo 15 giorni di fermentazione a 18 C la FG era ferma da 4 giorni a 1008 (è una English IPA OG 1050 fermentata con US05). Dopo 3gg di cold crashing a 2 C e ritorno a temperatura di fermentazione (FG sempre ferma a 1008), il gorgogliatore si fa sentire saltuariamente. Forse meglio aspettare ad imbottigliare anche se FG è ormai ferma da giorni? Grazie Buona domenica

    • Mi sembra che la densità possa considerarsi stabile. Quando alzi la temperatura, piano piano la CO2 esce dalla soluzioni e fa gorgogliare il mosto, ma non perché sta fermentando.

  6. Ciao Frank, ho visto che hai nominato la Lagonda come esempio di luppoli NON inglesi. Hai una vaga idea di quali possano essere i luppoli che usano? Io l’ho sempre erroneamente associata alla classica luppolata inglese.
    Grazie mille e complimenti.

  7. Ciao Frank, stavo leggendo il tuo articolo perchè anche io ho appena fatto la mia prima cotta con acqua di rete, ma ho notato che ti lamenti di non sentire la parte maltata e poi ho guardato il tuo profilo acqua, penso tu non abbia corretto il profilo per evitare di aggiungere calcio già presente in quantità.
    Ma a mio parere lo sbilanciamento tra Solfati e Cloruri è troppo a favore dei primi e penso sia questo il motivo, perchè non hai aggiunto un pizzico di sale da cucina per aumentare i Cloruri senza toccare il livello di Calcio? io per una IPA di solito cerco di avere 100 ppm di Solfati e 50 ppm di Cloruri. Cosa ne pensi?

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