Non amo particolarmente aggiungere ingredienti “strani” alle birre che produco in casa. L’unica birra con cui ho giocato un po’ è stata la Pumpkin Ale (che non venne nemmeno male), ma in quel caso le spezie sono state aggiunte in infusione alcolica prima dell’imbottigliamento.
L’anno scorso, durante un giro in un supermercato della Cornovaglia, mi sono imbattuto nel Black Treacle della Lyle’s. Una sorta di melassa scura che gli inglesi usano per guarnire pancake e dolci, utilizzata – dicono – anche in alcune ricette tradizionali di Barley Wine, Porter, addirittura Mild e Bitter. Ne ho acquistata una confezione che è rimasta inutilizzata nella dispensa per diverso tempo (non ho avuto, fortunatamente, il coraggio di inserirlo nella ricetta della Mild).
Un giorno, girando su Facebook, ho intercettato una chiamata alle armi dei London Amateur Brewers (i LAB), con cui ho stretto amicizia durante le mie ultime trasferte a Londra. Nel loro gruppo Facebook “Brewcialism” lanciavano la loro iniziativa annuale: produrre una porter nello stesso giorno, in qualsiasi luogo del mondo, con qualsiasi ricetta purché prevedesse l’utilizzo di malti affumicati e passaggio in legno.
A questo punto ne ho approfittato e mi sono lanciato nell’impresa. L’idea era partire dalla ricetta della mia American Porter (Flotsam & Jetsam), ridurre il luppolo e aggiungere un passaggio con legno e Black Treacle della Lyle’s in ricetta.
Il nome della birra è lo stesso per tutti, si chiama Old Bastard. Here we go!
RICETTA
Come anticipato nell’introduzione del post, sono partito dalla ricetta della mia Flotsam & Jetsam, per avere una base solida ed evitare di dover gestire troppe variabili contemporaneamente. Come malto affumicato ho scelto il medium peated della Thomas Fawcett: un 3% mi sembrava un dosaggio piuttosto conservativo. Volevo evitare l’aroma di “posacenere” tipico del malto affumicato su torba quando viene impiegato in dosi eccessive.
Come lievito ho scelto il ceppo Fuller’s della White Labs (WLP002). Per arrivare al giusto tasso di inoculo ho concatenato questa cotta a quella precedente: una Mild riuscita molto bene, su cui ho anche avuto modo di calibrare il profilo di temperatura da usare per questo lievito (vedi paragrafo successivo).
Black Treacle. Ingrediente strano e controverso, stando a quello che si legge in rete. In molti mettono in guardia sulla quantità da utilizzare, specialmente se ci sono altri malti scuri in ricetta. C’à chi dice che con solo il 3% la birra è risultata molto intensa nelle note di liquirizia e bruciato, cosa che mi ha fatto optare per un conservativo 1,4%. L’ho aggiunto a fine bollitura, poco prima di spegnere la resistenza.
FERMENTAZIONE
Il ceppo della Fuller’s (WLP002) è un meraviglioso lievito inglese, non facile da gestire. Tende a flocculare presto, quindi è importante giocare bene con la temperatura per tenerlo sveglio e spingerlo a consumare più zuccheri possibile nel breve lasso di tempo in cui lavora. In ogni caso l’attenuazione sarà bassa, quindi bisogna regolarsi di conseguenza bilanciando tostati e luppolo. In questo caso, come vedremo, la FG abbastanza alta ha aiutato molto a bilanciare il profilo organolettico della birra. Lascia una birra molto limpida.
Son partito da 18°C, per alzare direttamente a 20°C dopo 24 ore dall’inizio della fermentazione (che è partita abbastanza velocemente, trattandosi di recupero di lievito dalla cotta di mild imbottigliata un paio di giorni prima). Da 20°C si passa a 21°C dopo altre 24 ore, poi si mantiene a 21°C per altri tre/quattro giorni (nel caso di birre meno alcoliche, come la Mild, si alza a 22°C prima). Dopodiché ho lasciato a temperatura ambiente (circa 22°C), staccando il controllo di temperatura.
Dopo 30 giorni ho travasato e spostato la birra in un altro fermentatore dove avevo aggiungo pezzi di asse di botte da whisky.
PASSAGGIO CON LEGNO
Questa volta non ho utilizzato chips, ma veri e propri pezzi di asse di botte in quercia acquistati su The Malt Miller. L’aroma di questi pezzi di asse, che vengono da botti in cui è stato passato whisky scozzese, è incredibile: vaniglia, whisky, torba. Ero molto curioso di provarle e questa birra è capitata a fagiolo.
Quando si aggiunge legno ci si trova sempre davanti al dilemma: sanitizzare o non sanitizzare? E come? Se ci si spinge troppo oltre, si priva il legno degli aromi che vorremmo finissero nella birra; se si lanciano i pezzi di legno direttamente nella birra senza nessun trattamento, si rischia una contaminazione. Cosa fare? Ho scelto di dare una passata veloce con vapore, giusto per ridurre la carica microbica e lasciare che l’alcol nella birra facesse il resto.
Ho usato tre pezzi di asse, ovvero circa 150 grammi per 10 litri di birra. Li ho posizionati in un colino a sua volta poggiato all’interno di un pentolino sul cui fondo bolliva dell’acqua. Li ho tenuti sopra al vapore per 15 minuti, poi li ho messi in una sacca in poliestere insieme a un peso inox (due rondelle) che avevo sanitizzato nell’acqua che bolliva sotto al colino.
È importante che la sacca affondi bene nella birra per estrarre più aromi e per evitare proliferazione microbica favorita dall’esposizione del legno all’aria (l’alcol inibisce la proliferazione microbica, anche se a 9% ABV non garantisce ovviamente la sterilità). È andata bene, nessuna evidenza di contaminazioni a 4 mesi dalla produzione.
La birra ha passato altri 30 giorni sul legno a temperatura ambiente, dopodiché ho imbottigliato.
IMBOTTIGLIAMENTO
Ho imbottigliato a caduta con priming in bottiglia, puntando a 1.8 volumi. Ho aggiunto lievito da rifermentazione per facilitare la carbonazione (F2 della Fermentis, 0.04 gr/L), visto che erano passati due mesi dall’inizio della fermentazione. Inoltre, per esperienza sapevo che l’alta flocculazione del WLP002 lascia nel fermentatore la maggior parte del fondo di lievito, rallentando molto la rifermentazione in bottiglia.
ASSAGGIO
Il mio rapporto con questa birra è stato, ed è tuttora, piuttosto conflittuale. Al primo assaggio, dopo una settimana di fermentazione, volevo buttare tutto. Al naso e soprattutto al palato il fenolico dell’affumicato era fortissimo, al limite della plastica bruciata. Le note tostate erano spigolose, acri e taglienti: black treacle e malto chocolate non sembravano giocare bene insieme e a loro volta venivano presi a sberle dal fumo di torba. Unica nota positiva era il residuo zuccherino: riusciva leggermente a bilanciare le spigolosità, almeno al palato.
Ho resistito alla tentazione di fiondare tutto nel lavandino e sono andato avanti: travaso, passaggio con legno, imbottigliamento.
L’assaggio che descrivo nel seguito avviene a 4 mesi pieni dalla produzione, di cui quasi due passati in fermentatore e due in bottiglia. La birra è migliorata, decisamente. Ma i miei sentimenti verso questa Old Bastard rimangono sempre contrastanti.
ASPETTO Nulla da eccepire sull’aspetto. Schiuma media di colore beige. Abbastanza pannosa, bolle fini, mediamente persistente. Un leggero velo rimane fino a fine bevuta. La birra è marrone scuro, quasi nera. Sembra piuttosto limpida in controluce.
AROMA Abbastanza intenso. Evidente la componente affumicata della torba, la cui deriva verso il fastidioso aroma di “posacenere” si è notevolmente affievolita rispetto ai primi assaggi. Il malto si esprime con note di liquirizia in primo piano, contornate da caffè e cioccolato. Leggero sbuffo alcolico. Difficile rintracciare note riconducibili al passaggio in legno: con un po’ di attenzione (e forse anche suggestione) si nota un vago sentore di che ricorda un whisky torbato. Nel complesso aroma interessante, ma non del tutto equilibrato e forse un po’ acerbo.
AL PALATO Si nota subito l’affumicato che sgomita per farsi sentire sopra le note tostate di liquirizia, in primo piano su tutto il resto all’inizio del sorso. Emergono note quasi metalliche, associabili alla liquirizia a tocchetti, tipo Saila Extra Forte, piuttosto che a un vero e proprio difetto da metallico. Subito dopo arrivano i malti tostati con sfumature di cioccolata, cacao amaro e un leggero tono caramelloso in secondo piano. L’affumicatura si affievolisce presto per lasciar spazio ai malti scuri che si affacciano al palato con note di pane scuro, crosta di pane bruciata e una cioccolata dolce che permane nel finale. L’amaro è ben bilanciato dal residuo zuccherino che ne stempera gli spigoli. Qualche suggestione di legno si affaccia durante la bevuta, nettamente in secondo piano. L’inizio del sorso non è facilissimo e presenta delle evidenti spigolosità, ma verso il finale la birra si addolcisce, aprendosi su piacevoli tonalità torrefatte. Nel complesso si lascia bere, ma manca un poco di eleganza, specialmente nell’ingresso.
MOUTHFEEL Carbonazione bassa, adatta allo stile. Corpo medio, rotondo. Leggero calore alcolico senza bruciore in gola, sensazione piacevole. Astringenza sotto controllo, nonostante le evidenti note tostate.
CONSIDERAZIONI GENERALI Una birra senza dubbio complessa, da sorseggiare. Partita male, sta migliorando con il passare del tempo. La base maltata mi sembra buona, si esprime molto bene soprattutto nel finale, ben bilanciato e persistente. Il lievito ha lavorato bene: non sono emersi eccessi di frutta matura o venature bananose, il che è indubbiamente un punto a favore di questa birra. Di contro, la combinazione treacle/peated non la definirei vincente. Non avevo mai usato né l’uno né l’altro, per questo mi sono mantenuto su dosaggi cautelativi. Eppure mi sembra di percepirli entrambi molto, troppo. Decisamente più del legno che invece speravo apportasse un contributo importante. Il black treacle in particolare non mi ha entusiasmato e non credo lo userei nuovamente in una birra scura. Avrebbe forse più senso in una Old Ale su base Barley Wine, quindi senza alcun malto scuro in ricetta.
Questa Old Bastard è da riprovare con una dose leggermente più bassa di malto peated, almeno quel tipo di peated della Thomas Fawcett, che ridurrei al 2%. La rifarei senza treacle, e con un po’ più di legno. Vedremo come evolverà nei prossimi mesi. L’aspetto positivo è che non sta minimamente sovracarbonando, nonostante la alta FG e la conservazione delle bottiglie a temperatura ambiente.
Ricetta interessante. Lascia stare i piccoli aggiustamenti, è un bel gioco di malti (◍•ᴗ•◍) slainté
Sì, la base ci sta. Mi piace. Il resto vedremo se si ammorbidirà con il tempo. Comunque è stato divertente. 🙂
Ciao Frank, finalmente torni a parlare di birra e di ingredienti! Devo ammettere che questa moda della contropressione non mi appassiona… Una domanda sul lievito per la rifermentazione: come lo conservi e per quanto tempo?
Inizialmente lo usavo ogni tanto e una volta sola, e buttavo l’avanzo (che era parecchio). Ma non mi piaceva per niente la cosa. Ora che ho iniziato a usarlo praticamente ogni volta per velocizzare l’assorbimento di quel poco ossigeno residuo che rimane in bottiglia, ne uso un po’ e lo rimetto subito sottovuoto in frigo. Non rimane certo sterile, ma credo che la carica microbica rimanga comunque bassissima per molti mesi agendo in questo modo. Per ora mi sembra stia procedendo tutto bene, ma ovviamente ti parlo di osservazione pratica.
Ciao, il lievito di recupero lo hai “pulito” prima di utilizzarlo? Inoltre quante cellule vive hai stimato per ogni millilitro di lievito recuperato? Grazie e complimenti per il blog!
No, non l’ho pulito, non è un passaggio necessario (anche perchè la birra prima era una mild senza nessun dryhopping). La stima è la classica di 1mld di cellule per ml di slurry