In questi ultimi mesi sono uscite moltissime novità per i produttori casalinghi, tra cui diverse nuove varietà di lievito molto interessanti. Tutte queste innovazioni mi hanno stimolato a sperimentare con produzioni inusuali, tra cui la Golden Ale fermentata con il ceppo Kveik Hornindal di cui ho già parlato in un post di qualche settimana fa. Nel frattempo ho prodotto e assaggiato altre due birre inusuali: la “finta” Pilsner fermentata con un altro ceppo Kveik, il Lutra, e una Raw Ale (birra senza bollitura) fermentata con il ceppo Jovaru™ Lithuanian Farmhouse della Omega Yeast. Recensioni e ricette di queste birre arriveranno a breve sul blog, nel frattempo potete ascoltare il racconto di un primo assaggio della Raw Ale nella prima puntata di Mash Out! Podcast, dove insieme a Daniele Iuppariello parliamo, tra le altre cose, di birre no-boil e tradizioni farmhouse norvegesi.

Oggi volevo invece scrivere di un altro esperimento che utilizza un lievito con enormi potenzialità: il Philly Sour della Lallemand, un lievito cosiddetto “lattacido”, ovvero in grado di produrre una significativa quantità di acido lattico durante la fermentazione, comparabile a quella ottenibile con batteri tipo Plantarum. A differenza di questi ultimi, però, il Philly Sour è in grado di portare a termine l’intera fermentazione producendo anche alcol e glicerolo, tra gli altri composti, come un qualsiasi altro lievito da alta fermentazione.

Ma l’esperimento non finisce qui. A fermentazione in corso ho inoculato un secondo lievito, il BE-134 della Fermentis, che non avevo mai provato prima di questo esperimento, con l’idea di produrre una sorta di Farmhouse Saison, o una Sour Saison. È andata piuttosto bene, ma procediamo per gradi.

Philly Sour Lallemand

COS’È UN LIEVITO LATTACIDO?

I lieviti lattacidi non sono altro che lieviti che producono significative quantità di acido lattico durante la fermentazione. Anche i lieviti “normali”, ovvero i ceppi da bassa e alta fermentazione che utilizziamo solitamente per fermentare le nostre birre, producono acido lattico (oltre a piccole quantità di altri acidi), ma a una concentrazione tale da non rendere la birra acida al palato. Ovviamente qualsiasi birra è tecnicamente acida a fine fermentazione, dato che si trova a un pH mediamente intorno a 4-4,5, quindi al di sotto del pH neutro (pH 7). Tale acidità non è tuttavia tale da farci percepire la birra come acida. Per intenderci, le birre che solitamente chiamiamo acide hanno un pH generalmente al di sotto di 3.6-3.5, spesso anche inferiore a 3.0. Per generare una tale quantità di acido, è necessario che alla fermentazione partecipino batteri (lattobacilli o pediococchi) che hanno la capacità di produrre significative quantità di acido lattico. Purtroppo, se usati da soli, questi batteri non riescono a produrre una vera e propria birra perché generalmente non producono alcol (a volte ne producono, ma poco) e nella maggior parte dei casi non riescono nemmeno a terminare la fermentazione fino a FG. Per condurre una fermentazione acida si utilizzano quindi batteri e lieviti in simbiosi: nella produzione dei tradizionali Lambic del Belgio lavorano in successione decine di microrganismi per periodi di tempo molto lunghi (mesi o anni); nella produzione delle cosiddette “kettle sour” invece si acidifica con batteri in un paio di giorni, poi si aggiunge lievito per terminare la fermentazione.

Un ceppo lattacido simile al Philly Sour viene utilizzato da qualche tempo da Birra dell’Eremo per produrre la Madue, una sour al Passion Fruit.

I lieviti lattacidi sono in grado di acidificare sensibilmente e terminare la fermentazione da soli. Nel corso del processo, il ceppo isolato dalla Lallemand produce anche aromi piacevoli di frutta (mela rossa) e agrumi (pompelmo). Il nome scientifico del ceppo è Lachancea ed è stato isolato dalla flora selvaggia nella zona di Philadelphia. Fermenta a temperature intorno a 22-25°C, in 10 giorni porta la birra a FG con una attenuazione intorno all’80% e con un pH prossimo a 3.4. Produce una acidità principalmente lattica, simile a quella prodotta dai batteri lattici Plantarum.

Da questo interessante contributo video della Lallemand si possono estrapolare alcune caratteristiche molto interessanti del ceppo lattacido Philly Sour:

  • a parità di OG, fermenta più lentamente di un ceppo ale standard: 10 giorni per arrivare a FG con OG nel range medio
  • durante i primi 4-5 giorni di fermentazione produce soprattutto acido lattico. Al quinto giorno arriva al pH finale (in genere intorno a 3.5-3.4) avendo consumato mediamente 15 punti di densità
  • produce soprattutto acido lattico
  • produce glicerolo in quantità comparabile a un classico ceppo Saison (es. il Belle saison). Il glicerolo aiuta a dare una sensazione di pienezza alla birra, anche con FG molto bassa
  • non acidifica bene se in over o under pitching. Il tasso ideale di inoculo, secondo la Lallemand, è di 1-1.5 gr/L
  • maggiore la quantità di zuccheri semplici nel mosto (es. aggiunta di destrosio o frutta), maggiore la produzione di acido lattico
  • non è un lievito killer (ovvero non produce sostanze che inibiscono il lavoro di altri lieviti)
  • non produce fenoli (POF-)
  • non è diastatico (quindi ha una attenuazione media)
  • lavora in modo ottimale nel range di temperatura di 22-25°C
  • se utilizzato insieme ad un altro lievito (come nel mio esperimento), meglio inocularlo prima perché, essendo lento, in co-pitching verrebbe presto superato dall’altro lievito che gli sottrarrebbe tutti gli zuccheri fermentabili inibendo la produzione di acido lattico.

PERCHÈ USARE UN LIEVITO LATTACIDO?

Rispetto ai batteri lattici (tipo Plantarum) usati nel Kettle Sour, l’utilizzo di questo lievito lattacido ha diversi vantaggi:

  • non ci costringe a dividere la cotta in due giorni, in attesa che i batteri lattici facciano il proprio lavoro
  • non produce off-flavours (come acetaldeide, DMS o diacetile) che alcuni ceppi di batteri lattici producono, anche se in piccola concentrazione
  • non è classificabile come un contaminante: si tratta infatti di un lievito facilmente eliminabile con le classiche procedure di sanitizzazione. Inoltre, essendo molto lento e cibandosi soprattutto di zuccheri semplici, anche se contaminasse in piccola parte un batch non ce ne renderemmo nemmeno conto. Comportamento assai diverso da quello di alcuni batteri (come i pediococchi) che riescono invece a digerire gli zuccheri complessi residui presenti in bottiglia generando sovracarbonazioni o off-flavours (acidità marcata o diacetile). Questo significa che possiamo usare il Philly Sour nel fermentatore come un qualsiasi altro lievito
  • con un po’ di esperienza si può gestire molto bene la riduzione del pH, inoculando al giusto momento un altro lievito che porterà avanti il lavoro fermando la riduzione del pH

RICETTA

Sebbene, come abbiamo visto, il Philly Sour sia tanquillamente in grado di portare a termine da solo l’intera fermentazione, ho preferito provare a produrre una birra più complessa di una semplice sour. Ho colto così l’occasione per provare un altro lievito secco, il BE-134, un ceppo saison secco diverso dai soliti French come il Belle Saison della Lallemand o il French Saison della mangrove Jack’s. Del BE-134 ho sentito parlare molto bene da homebrewer e birrai con una certa esperienza, secondo i quali questo lievito, se ben gestito, produrrebbe un profilo simile al Belgian Saison. Ero curioso e ho deciso quindi di provare.

Per quanto riguarda la base maltata, ho ripreso la ricetta della Table Saison che mi aveva dato soddisfazione. Il malto Monaco dà un bel colore e un leggero tocco maltato in più, mentre la segale, in quantità significativa ma non eccessiva, regala un interessante spunto rustico.

Per la luppolatura ho scelto un luppolo che non avevo mai usato né sentito prima: il Moutere, di coltivazione neozelandese con aroma nell’intorno di resina e pompelmo. Per via degli alfa acidi molto alti ho dovuto ridurre le gettate da aroma rispetto alla ricetta della Table Saison, per non andare troppo oltre con gli IBU (considerando anche che in una birra acida gli IBU devono essere ridotti per non scontrarsi con l’acidità). Sono sceso da un rapporto BU/OG di 0.76 nell’altra birra a 0.5 in questa.

FERMENTAZIONE

Ho inoculato una bustina di Philly Sour da 11 grammi in 12 litri di mosto, a 22°C, con un tasso di inoculo pari a circa 1 gr/L. Prima di inoculare ho ossigenato il mosto e reidratato il lievito secco in acqua di bottiglia a temperatura ambiente. Le prime bolle sono arrivate dopo 24 ore. Dopo altre 12 ore il pH, da 5.2 al momento dell’inoculo, era sceso a 4.0 avendo consumato 3 punti di densità.

Dopo ulteriori 12 ore il pH è sceso a 3.7, con densità scesa di 11 punti rispetto a quella iniziale. Al palato iniziava a percepirsi una certa intensità lattica, ho deciso così di inoculare il BE-134, senza reidratazione né ossigenazione ulteriore. Entrambi questi passaggi possono essere saltati se si utilizza lievito secco senza indurre particolare stress; con un lievito liquido sarebbe meglio inoculare uno starter ancora in fermentazione. Se si inocula come secondo lievito un secco direttamente dalla busta, bisogna tenere conto dell’ulteriore lag-time di questo secondo lievito. Per questa ragione ho inoculato il BE-134 a pH 3.7, prevedendo che sarebbe sceso ulteriormente nel frattempo che il BE-134 si fosse attivato. E così è successo. In alternativa, si dovrebbe inoculare un lievito secco già in fermentazione, magari facendo un piccolo starter.

Dopo altri 4 giorni la densità era scesa a 1,008 (1,042 all’inizio, 1,031 all’inoculo del BE-134). Dall’inoculo del BE-134 ho alzato gradualmente la temperatura fino a 25°C. Al 15esimo giorno, con densità stabile a 1.004, ho staccato il riscaldamento e mantenuto a temperatura ambiente.

Come al solito, metà batch è stato imbottigliato con rifermentazione in bottiglia (con aggiunta di lievito T-58 in fase di imbottigliamento), mentre l’altra metà è stata carbonata forzatamente nel fustino. La versione in fustino ho preferito non portarla sopra i 2.5 volumi, altrimenti avrei avuto difficoltà di spillatura; quella in bottiglia l’ho invece portata a 3.0, carbonazione tipica da Saison belga.

ASSAGGIO

Questa è una birra che ha bisogno di un minimo di maturazione. Non tanta, ma un paio di mesi le fanno sicuramente bene. In questo assaggio descrivo l’assaggio di una bottiglia con circa un mese e mezzo sulle spalle, secondo me con un buon livello di maturazione. Il fustino è finito prima – molto prima – e la birra è stata ugualmente godibile. Ma la versione che ha passato un po’ di tempo in bottiglia secondo me ha qualcosa in più da raccontare.

 ASPETTO  Schiuma abbondante, bianca, di buona persistenza. Bolle medio/fini che si compattano man mano che si procede con la bevuta. Colore giallo dorato molto brillante, buona limpidezza (nella foto sopra la limpidezza non rende, in quella sotto si vede meglio). Bollicine che salgono dal fondo del bicchiere, tipo prosecco. Aspetto molto bello, nulla da eccepire.

 AROMA  Buona intensità. Svettano subito le note agrumate, abbastanza intense, che anticipano l’acidità che ritroveremo al sorso: limone, pompelmo, cedro. In secondo piano lievi venature fruttate, di intensità decisamente più bassa, nello spettro aromatico della frutta a pasta gialla (pesca e albicocca) con richiami, non eccessivi, di banana non troppo matura. Il fenolico è modesto, delicato, con note di pepe bianco e un tocco di rusticità. Lasciando scaldare la birra si avvertono suggestioni di frutta tropicale come mango, papaya e passion fruit. Leggero malto in sottofondo, con note di miele. Uno sbuffo resinoso chiude il bouquet, con una buona eleganza. Nessun difetto, buon bilanciamento e discreta complessità.

 AL PALATO  L’ingresso è dominato dall’acidità lattica, piuttosto monocorde come è normale che sia in una birra fermentata con un ceppo lattico unico. Ricorda il tipo di acidità di una kettle sour acidificata con Plantarum, ma senza le venature di yoghurt che spesso emergono da quel ceppo. Un lattico molto pulito che ricorda il pompelmo appena spremuto. L’amaro è ben bilanciato: accompagna la corsa maltata senza scontrarsi con l’acidità. Il malto si esprime con note delicate di miele in ingresso, poi cereale e panificato leggero nel retrolfatto (mollica di pane, soprattutto, o crosta non bruciata appena sfornata). Palato meno interessante dell’olfatto, ma pulito e piuttosto netto nei sapori.

 MOUTHFEEL  Corpo snello ma non acquoso, carbonazione molto vivace che forse si scontra un po’ con l’acidità, ma senza creare sensazioni spiacevoli. Nessuna astringenza nè calore alcolico.

 CONSIDERAZIONI GENERALI  Direi una birra più che riuscita: piacevole, pulita, si beve con estremo piacere. Per ovvie ragioni non ha la complessità di una vera sour fermentata con molteplici lieviti e batteri in tempi molto più lunghi, ma questo era lecito aspettarselo. Un tipo di acidità molto simile a quella prodotta dai batteri lattici tipo Plantarum, meno “yoghurtosa” (passatemi il termine) e più interessante dal punto di vista aromatico. Sarebbe interessante valutare l’apporto aromatico del Philly Sour in solitaria, per esempio utilizzandolo in una Berliner Weisse, anche se forse in quel caso un po’ di “sporco” al naso da batteri lattici ci sta anche bene. Per quanto riguarda il BE-134, l’ho trovato un lievito piuttosto interessante, diverso dai ceppi French secchi come il Belle Saison. Ha un profilo meno fenolico e apparentemente più vicino al Belgian Saison, con interessanti note di pepato “rustico”. Certo, andrebbe valutato in solitaria, ma ci sarà sicuramente occasione. Per ora, parere positivo anche su questo lievito.

31 COMMENTS

  1. Complimenti Frank! Nel tuo impianto come filtro finito il mash usi sempre la sacca biab? Non hai falsi fondi?

  2. Che bravura! Vorrei farla anche io questa. Come ho capito, il B-134 lo hai messo a 48 ore dopo il Philly?

  3. Ciao Frank
    per caso hai già avuto modo di sperimentare anche con il sour pitch o con helveticus pitch sempre di Lallemand?
    Grazie
    Ciao

    • No, ma sono batteri lattici e non lieviti, si comportano quindi in modo simile al Plantarum (che ho usato per una Berliner Weisse tempo fa).

  4. Ciao Frank, bellissimo post. Pensi che sia possibile usare il Philly Sour in solitaria senza usare lievito per il priming (tipo CBC)? Ho letto pareri contrastanti sulla sua capacità di rifermentare in bottiglia. Cosa ne pensi? e che ne pensi dell’uso di scaglie di rovere per simulare l’apporto delle botti in una birra acida con questo lievito?

  5. Ciao Frank, complimenti come sempre per l’articolo.
    Vorrei farti una domanda. Mi sta intrigando l’idea di provare a fare una gose. Pensi che il Philly Sour potrebbe essere una soluzione percorribile, magari inoculando poi un lievito tradizionale come hai fatto tu? In questo casso il secondo lievito andrebbe inoculato comunque secondo le dosi da adottare per una fermentazione tradizionale o andrebbe ridotto?
    Grazie mille

  6. Ciao Frank,
    potrei utilizzare il lievito us 0.5 per la carbonazione in bottiglia ? Quanto ne dovrei mettere e come lo dovrei utilizzare ? Non ho mai utilizzato lievito da rifermentazione in bottiglia e non saprei come gestire la cosa.

    Grazie !

    • Ciao Toni, la dose in genere sono 0.03 gr/L. Io lo reidrato in un po’ di acqua (e con l’occasione lo peso), poi le metto bottiglia per bottiglia con una siringa (nel blog trovi l’articolo sul priming in bottiglia, c’è anch eun foglio excel per i calcoli). Se non fai prikming in bottiglia, puoi semplicemente reidratarlo e aggiungerlo nel fermentatore con dopo lo zucchero, prima di imbottigliare.

      • Perfetto sempre prezioso questo blog ! 0.03 gr/litro anche quindi per un lievito non specifico per la rifermentazione in bottiglia come us 05? Per non sprecare il lievito posso richiuderlo sottovuoto in una bustina specifica per sottovuoto ? dovrei sanitizzare l’interno della busta prima di mettere il restante lievito ?? Grazie ancora 😉

  7. Ciao Frank, ancora complimenti per un altro bellissimo articolo e l’ ottima decrizione del procedimento. Solo una cosa non vedo: usi 1gr/lt per il Philly (bustina 11gr per 12lt di mosto), quanto inculi di BE-134? Sempre 1 bustina intera da 11gr (forse è troppo?) o meno?

    Grazie!

    • ” quanto inculi di BE-134″. Una cifra! ah ah (anche a me è capitato di scrivere inculi invece di inoculi, ma fa sempre ridere). Ho messo una bustina, sicuramente troppo ma essendo lanciato in ambiente acido e alcolico, ho pensato potesse andare.

      • Ah ah grazie, è saltato la “o”…decisamente una svista! Va bene essere dei “perversi” brassicoli ma ma c’è un limite….

  8. Ciao Frank! Una domanda: se volessi fare una sour IPA sui 6.5% avrei bisogno dell’aiuto del us 05 o potrei fare solo con questo lievito? Grazie.

  9. Ciao Frank,
    questo articolo interessante sfata un timore che avevo, e cioè che il ph basso danneggiasse la ritenzione di schiuma. Ho sempre visto la schiuma delle acide come quella dell’aranciata, cioè di breve durata. Quale credi che sia il fattore che porta alla buona ritenzione a ph bassi? La bassa floc del lievito? Il glicerolo? O l’alta carbonazione?
    Ciao
    MArco

    • Nelle birre acide generalmente la poca tenuta di schiuma è dovuta più che altro alla ridotta concetrazione di due composti chiave per la formazione e la tenuta: le proteine (che nel tempo vengono ridotte dai microrganismi o precipitano) e gli iso-alfa acidi (che nelle birre acide raramente arrivano a più di dieci IBU). Fai una Kettle Sour dry hoppata per bene e vedi come ti tiene la schiuma 🙂

      • Ottima dritta, volevo proprio fare una hoppy saison moderatamente acida, appena le temperature si alzano! Ti farò sapere come viene

  10. Ciao Frank,
    qualche giorno fa ho fatto una birra prendendo spunto da questa e ora sono al secondo giorno di fermentazione col Philly sour. Sto assaggiando per capire quando aggiungere il secondo lievito ma il mosto emana un forte odore di miele. Non è solo un sentore, è proprio come annusare un barattolo di miele. Immagino che col tempo si attenuerà ma non capisco da cosa possa dipendere. Secondo te può dipendere da questo lievito? L’altra variabile è il luppolo: ho utilizzato per la prima volta il mandarina Bavaria, ma non mi risulta che possa dare sentori di miele. Il monaco è di una marca nuova per me ma non credo sia lui. È solo una curiosità ma mi sto scervellando

    • Non sprei, non avendola potuta assaggiare. Il miele in genere viene dai malti, non mi sembra un gran problema (anche visto lo stile) ma dipende ovviamente dall’intensità. Attendi e vedi come evolve, ma non mi preoccuperei troppo.

      • Grazie per la risposta. Al gusto non è eccessivo ma all’olfatto si. In ogni caso la cosa al momento non mi preoccupa, era solo un curiosità (capendo da dove viene, la prossima volta posso replicarlo o eliminarlo). Vedremo comunque come si evolve. Grazie!

  11. Ciao Frank, avrei un’altra domanda, una curiosità più che altro: da quello che leggo sul be-134, dovrebbe terminare la fermentazione in 5-6 giorni. Come mai l’hai fatto lavorare così a lungo? C’è un motivo in particolare? La densità non era stabile?
    Grazie

  12. Ciao!! Innanzitutto complimenti. Stavo pensando di fare un esperimento simile inoculando invece del be-134 il farmhouse della lallemand. L’ho utilizzato già una volta facendolo lavorare tra i 23 e i 25 °C e mi è piaciuto molto. Secondo te può andare d’accordo con l’acidità data dal Philly?

    • A me non ha fatto impazzire come lievito, ma comunque siamo sempre nell’area “Belgio” quindi direi che ci sta.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here