La scorsa settimana ho partecipato come giudice al concorso per homebrewer organizzato dal Birrificio Milvus di Lagopesole. Ho assaggiato diverse birre interessanti, alcune davvero ben fatte, altre meno. Qualcuna decisamente da dimenticare, come capita sempre in tutti i concorsi. Due birre mi hanno colpito particolarmente: non tanto per le birre in se’ (una è arrivata in finale, l’altra credo tra le ultime), ma per le opposte reazioni “di pancia” che hanno suscitato nel mio approccio da giudice.

Quando ho davanti delle birre da giudicare, cerco sempre di lasciarmi influenzare il meno possibile da fattori esterni o da gusti personali: non è possibile rimuoverli completamente – siamo sempre esseri umani – ma con un po’ di attenzione e di pratica si riescono a mettere da parte i cosiddetti bias, ovvero le prese di posizione a priori, i pregiudizi. Premetto che tra le due birre una era al mio tavolo (quella che poi è arrivata in finale), quindi ho avuto occasione di assaggiarla e valutarla oltre che osservarla nel bicchiere; l’altra, quella meno buona, era a un altro tavolo, non è arrivata in finale e quindi non ho avuto occasione di berla. Ma il punto non è questo. Vorrei soffermarmi sull’aspetto visivo di queste due birre, ancora prima che sull’assaggio.

Photo by Elevate on Unsplash

Quella che è arrivata al mio tavolo era una American IPA. Già dalla bottiglia chiusa, di colore marrone ma non scurissimo, se ne poteva ammirare la limpidezza: sembrava quasi che la bottiglia contenesse acqua. Livello di riempimento corretto, bottiglia ben pulita e ben tappata. Nel bicchiere la birra si conferma limpidissima, nemmeno un filo di chill haze sebbene fosse piuttosto fredda; di un bellissimo giallo dorato, con una schiuma bianca e persistente. Nel mio cervello è scattata subito la trappola: la bellezza estetica della birra mi ha condizionato, portandomi a pensare che la birra fosse stata gestita in contropressione, senza rifermentazione in bottiglia, da un homebrewer molto bravo e di esperienza. Non avevo ancora portato il bicchiere al naso, ma la birra mi sembrava già buona. L’aspetto esteriore aveva immediatamente creato un bias nella mia testa, ero ben disposto all’assaggio.

Altro caso, altro tavolo. Questa volta la birra la osservo solo da lontano, ma non nel bicchiere: direttamente nella bottiglia. Mi chiamano, mi dicono guarda questa bottiglia. Era un’altra American IPA. Mi volto, e mi mostrano una bottiglia di birra Corona, trasparente, riempita di birra solo fino alla base del collo (e il collo della bottiglia di Corona è lungo). Si vedeva – purtroppo – il colore della birra all’interno: completamente marrone e torbida. Cosa poteva pensare il mio cervello? Corona. Bottiglia trasparente. IPA marrone. Riempimento sbagliato. Aveva qualche chance di essere anche lontanamente buona, quella birra? Ora, come già detto non l’ho assaggiata perché era ad un altro tavolo (chi l’ha assaggiata ha compilato la scheda con attenzione), ma devo dire non mi è venuta nemmeno voglia di alzarmi e provare. Il mio cervello si era nascosto nuovamente dietro un’impressione visiva: quell’homebrewer non aveva prestato la giusta attenzione alla bottiglia, al riempimento, probabilmente la birra era anche ossidata o la ricetta sballata, visto il colore. La birra non l’avevo nemmeno assaggiata, ma avevo già stilato una lista di difetti nella mia mente (mi hanno confermato poi che non era granché, e rassicurato sul fatto che la scheda era stata compilata cercando di dare i giusti consigli all’homebrewer).

La prima birra, quella molto bella nell’aspetto, si è confermata poi anche buona. Da quanto mi hanno detto dopo la fine della valutazioni, non era stata prodotta da un fenomeno dell’isobarico, ma da un homebrewer “normale” che l’aveva anche rifermentata. Pensa te. Complimenti a lui, ovviamente, come ho scritto sulla scheda.

Ho raccontato questa esperienza perché ha confermato alcuni pensieri che da tempo stanno prendendo consistenza nella mia mente di homebrewer e di giudice. Primo, l’aspetto visivo, sebbene ad esempio conti solo 3 punti su 50 nella scheda BJCP, può influenzare il giudizio sull’assaggio. Secondo, l’aspetto visivo può essere un segnale che anticipa difetti e problemi sulla birra, ancor prima di portarla al naso o al palato. Proviamo ad approfondire questi due aspetti.

L’occhio vuole la sua parte

Per molto tempo torbidità è stato sinonimo di birra artigianale. Il lievito in sospensione dava un carattere diverso alla birra, differenziandola dai prodotti industriali. Ricordo quando bevevamo le Weisse (sì, ne ho bevute anche io) con quel lievito dentro che le rendeva speciali. O le birre belghe, anche, quelle non industriali, che si versavano fino in fondo e diventavano torbide. Tuttavia, la limpidezza in una birra è da sempre attraente: le note dorate delle lager industriali sono ricercate dalla maggior parte dei bevitori e dei produttori, anche non industriali.

Una Pilsner torbida, che oggi conosciamo tutti e chiamiamo Keller, non è ben vista se, appunto, non è espressamente una Keller e se in genere non la bevi nel piccolo birrificio di campagna in Franconia. Esistono stili che possono, in alcuni quasi devono, essere velati o torbidi (come le già citate Weisse, ma anche le Wit o le Saison), ma in genere una birra limpida nel bicchiere, con una bella schiuma persistente, predispone bene alla bevuta. Non è una garanzia che la birra sia buona, ovvio, ma siccome nei processi artigianali la limpidezza non è semplicissima da raggiungere e richiede una certa cura nel processo, una bella birra limpida predispone bene alla bevuta. Specialmente in alcuni stili come appunto le Pilsner, le Bock, ma anche Bitter, IPA, APA, Tripel, Dubbel, e in generale quasi tutte le birre non scure che non siano di grano o Saison oppure, vabbè, Hazy IPA.

Capita spesso che mi ritrovi a guardare in controluce una mia birra per diversi minuti prima di berla, quando esce fuori bella limpida, o al massimo leggermente velata. A volte vengono così per un colpo di fortuna, ma se si vuole avere costanza nel produrre birre con un buon livello di limpidezza serve una cura maniacale del processo di produzione, specialmente se non si dispone – o non si vuole disporre – di un sistema di filtraggio prima di passare la birra in fusto o in bottiglia.

Sto forse dicendo che una birra torbida non è buona? Ecco, veniamo al secondo punto del ragionamento.

La bellezza non è tutto

Anche gli assaggi alla cieca non sono propriamente alla cieca, perché la birra la vedi prima di berla e inizi a farti un’idea di quello che arriverà al naso e soprattutto al palato. Una birra che perde la schiuma in 15 secondi, completamente, senza lasciare nemmeno un velo ai bordi del bicchiere, o almeno una mezzaluna da una parte, non promette bene. A meno di alcuni casi, come Barley Wine o Imperial Stout molto alcoliche. In questi rari casi, la scarsa tenuta della schiuma non è in genere o necessariamente indice di difetti. Come spiego sempre a chi mi chiede come migliorare la tenuta di schiuma, se il processo di produzione (e soprattutto la fermentazione) è gestita bene, la schiuma esce fuori ed ha la giusta persistenza per lo stile. Che nella maggior parte dei casi dovrebbe essere almeno decente, sebbene variabile da stile a stile.

Se mi capita nel bicchiere una Tripel con schiuma che sparisce completamente nel giro di pochi secondi, nel mio cervello si accende la spia “eccesso di polialcoli”. Un colore sbagliato, come nella birra citata sopra, imbottigliata nella bottiglia della Corona, può essere indice di difetti: ricetta sbagliata (ad esempio eccesso di malti crystal in una IPA) oppure la temuta ossidazione.

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La limpidezza, tra gli elementi visivi, è forse quello che meno influisce sul profilo organolettico: sebbene una birra limpida, avendo meno sostanze in sospensione, possa essere più stabile nel tempo e un filo più pulita al palato, spesso la percezione non è cosi netta. Una velatura leggera o media non cambia a mio avviso il profilo organolettico e non accende particolari lampadine di allarme nel mio cervello, anche se sto assaggiando una Pilsner o una Tripel. Certo, se inizio a vedere pezzi di luppolo o di lievito che galleggiano, magari favorendo anche gushing e nucleazione, qualche allarme parte.

E quindi?

Devo dire che sulla ricerca della limpidezza ho cambiato molto idea nel tempo. Per diversi anni, da quando ho iniziato a fare birra in casa, non ho dato molto peso all’aspetto visivo delle mie birre. Nel senso che non stavo lì a dannarmi per farle uscire limpide, semplicemente facevo qualche giorno di cold crash e via. Usando la tecnica BIAB, non portavo nemmeno mosto limpido in bollitura, ma alcune birre venivano limpide lo stesso. Devo dire che le – poche – birre che mi sono uscite con schiuma completamente evanescente (una Vienna e una Tripel) avevano effettivamente avuto problemi di fermentazione. Questo già mi fece riflettere all’epoca.

Con il passare del tempo ho iniziato a cercare di rendere le mie birre più limpide usando qualche accortezza in più (non tutte, ovviamente, quelle che rientrano in determinati stili). Ho abbandonato il BIAB, passando a un tre tini con sparge ridotto; ho allungato – a volte anche di molto – i tempi di cold crash (al minimo 7 giorni, spesso anche 15); ogni tanto uso Isinglass a fine fermentazione, specialmente nelle birre inglesi come le Bitter, per le quali per me la limpidezza è parte integrante dello stile (anche se toglie solo 1 punto nella scheda BJCP). Con Daniele di Officina Briù abbiamo anche dedicato una  puntata di MashOut! Podcast proprio alla limpidezza (link) e un’altra alla schiuma (link). Consiglio anche di ascoltare l’episodio 24 di Brülab Podcast dove vengono discussi una serie di esperimenti sulla relazione tra colore e percezione di una birra.

È fondamentale produrre birre limpide? Direi di no. Ma l’aspetto visivo di una birra può raccontare molto su come è stata prodotta, curata e seguita. Un birra di un giallo dorato brillante con un bel cappello di schiuma bianca persistente predispone bene alla bevuta e secondo me può essere responsabile, a livello inconscio, per più di 3 punti sulla valutazione finale nella classica scheda BJCP dei concorsi. È chiaro che dipende anche dallo stile, a volte anche la ricerca di un certo tipo di torbidità è indice di cura del processo (si pensi alle NEIPA). A mio avviso curare l’aspetto visivo nel suo complesso fa parte di tutte quelle attenzioni che dedichiamo alle nostre creazioni: non sempre riesce, ma trascurarlo completamente – oggi – non mi farebbe sentire un homebrewer completo.

 

4 COMMENTS

  1. Ciao Frank,
    Innanzitutto grazie per l’articolo e per la continua condivisione di contenuti che trovo sempre molto interessanti e formativi.
    Venendo al discorso della limpidezza sono a chiederti un consiglio su prodotti da usare in fase di produzione per favorirla.
    Personalmente ho sentito parlare dell’Irish Moss, e ho visto su alcuni siti un certo Spindasol SB1 (dovrebbe essere un gel con Silice al 30%) e ho visto molti video di homebrewers americani usare delle pastiglie chiamate “Whirlfloc”.
    Hai esperienza con qualcuno di questi? O altri prodotti del genere? O li sconsigli?
    In particolare mi interessa una tua opinione riguardo SB1..
    Grazie mille!

  2. Ottimo articolo, non avevo mai pensato che l’aspetto potesse condizionare la predisposizione all’assaggio, eppure uno dei più grandi guru della birra John Palmer nel suo libro dice: A hazy beer can be a good beer, but a clearer beer is often a better tasting beer.
    Per esperienza sono d’accordo! Soprattutto per la velocità con cui le birre che mi sono venute torbide si sono rovinate in poco tempo.

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