Vivo a Roma, dove l’acqua di rete è piuttosto dura: parliamo di analisi dell’acqua che danno i bicarbonati a concentrazioni superiori alle 400 ppm. Sono strato praticamente costretto da subito a trovare una strada alternativa all’utilizzo dell’acqua di rubinetto per le mie produzioni all grain.
La scelta è ricaduta subito sul metodo più semplice, ovvero l’acquisto di acqua in bottiglia al supermercato. Produco solo 10 litri a cotta, mediamente ho bisogno di circa 20 litri di acqua in tutto, tra mash e sparge. Poco più di un paio di casse. Sono sempre entrate comodamente nel carrello della spesa quando andavo ad acquistare le scorte per la famiglia.
Il costo si aggira intorno agli 0.4 centesimi/L, quindi in tutto una spesa di circa 8€ a cotta: non poco, ma nemmeno un vero e proprio esproprio. Nell’acqua Sant’Anna la concentrazione dei vari sali è praticamente pari a zero, quindi è come partire da un canovaccio pulito da cui costruire qualsiasi profilo minerale si renda necessario. In molti acquistano l’acqua Blues della catena discount Eurospin che dovrebbe venire dalla stessa fonte ma, essendo un altro brand, costa la metà.
Per molti anni sono andato avanti con le casse d’acqua, che però hanno diversi svantaggi. In primo luogo, bisogna caricarsele dal negozio fino a casa ogni volta che si vuole fare una cotta. Anche solo due/tre casse per recuperare venti litri di acqua non sono propriamente una passeggiata. Ma soprattutto si accumula tantissima plastica da buttare, cosa che mi ha dato sempre molto fastidio.
L’impossibilità di uscire a comprare acqua con facilità durante il lockdown del 2020 è stata l’occasione per provare strade alternative. Ho quindi provato a pre-bollire l’acqua di rete ma ho trovato il processo troppo lungo e disordinato e la sua efficacia non mi è sembrata particolarmente esaltante. C’erano poi da pulire le pesanti incrostazioni di calcare che inevitabilmente si formano nella pentola dopo la bollitura dell’acqua prima della cotta, anche quella impresa onerosa e per nulla piacevole. La birra prodotta con l’acqua di rete pre-bollita aveva poi qualcosa che non mi convinceva, quindi ho desistito e ho deciso finalmente di provare l’osmosi.
Che problema c’è a produrre con acqua dura?
Facciamo un brevissimo ripasso (cercherò di non annoiarvi). Capiamoci anzitutto su cosa si intende con acqua “dura”. Nel mio caso, magnesio, solfati e cloruri sono a livelli piuttosto bassi. Il problema sono calcio e bicarbonati .E il cloro, ma ne parleremo tra poco.
Queste le analisi della mia acqua di rete, tra l’altro abbastanza recenti (Giugno 2022):
L’acqua di Roma è dura nel senso che ha parecchi bicarbonati e non abbastanza calcio per poterli neutralizzare una volta aggiunti i malti. Questo le conferisce una alcalinità residua piuttosto alta. Ovvero, per portare il pH di mash nel range desiderato (5.2-5.5) serve parecchio acido lattico. Stesso discorso per l’acqua di sparge, dove in assenza dei malti (e delle loro reazioni acidificanti quando combinati con calcio e magnesio) serve ancora più acido per unità di litro per abbassare il pH intorno a 5.2.
Inoltre, essendo il calcio già molto alto, è difficile alzare solfati e cloruri a piacimento aggiungendo Gypsum o Cloruro di Calcio, senza portare il calcio a valori troppo elevati (oltre le 150 ppm). Si può parzialmente ovviare aggiungendo sale da cucina che apporta anche cloruri, ma il sodio complessivo non dovrebbe andare oltre le 50-70 ppm, quindi anche qui siamo limitati. L’altra alternativa è usare AMS, ovvero un mix di acido cloridrico e solfidrico che, oltre ad acidificare, aggiunge anche solfati e cloruri (difficile tra l’altro reperirlo in formato per homebrewer).
Il problema principale rimane comunque l’acidificazione dell’acqua di mash e sparge. Quanto acido lattico è troppo? Ecco, questo è difficile dirlo a priori. Ovviamente più il grist di malti è scuro, minore sarà l’acido lattico necessario. Per la mia esperienza, le quantità di acido lattico da usare non si riducono di molto anche nel caso si producano stout. Insomma, non credo che con l’acqua di Dublino, nel 1800, arrivassero al pH ideale nel mash. O comunque sballavano con lo sparge, dato che l’acqua non veniva acidificata.
In una British Golden Ale, con grist molto chiaro (quasi tutto malto pale), ho utilizzato ad esempio circa 11.5 ml di acido lattico su 20 litri di acqua totale, “accontentandomi” di un pH di mash di 5.4 e uno di bollitura di 5.3. Parliamo quindi di circa 0.6 ml/L di acido lattico, considerando l’acqua totale (sparge+mash).
Si percepiva l’acido lattico nel prodotto finito? Devo dire di no. Tra l’altro in questo caso avevo anche fatto un paragone diretto con la stessa ricetta prodotta con acqua 100% osmotizzata e poi modificata, dove la quantità di acido lattico usato si era ridotta a meno della metà (qui il link del confronto). Probabilmente su una birra più delicata, come ad esempio una Pilsner o una Helles si sarebbe sentito di più, ma in questo caso il problema non è il dosaggio dell’acido lattico.
Il problema, nel mio caso, era probabilmente il cloro.
Non solo osmosi
Una lezione che ho imparato dal passaggio all’osmosi c’entra poco con l’osmosi in sé. L’impianto che ho acquistato e che ho descritto in un altro post è infatti dotato, oltre al filtro per l’osmosi che rimuove praticamente quasi tutti i sali, anche di un filtro antisedimento e soprattutto uno a carboni attivi che rimuove il cloro.
La differenza tra questa English IPA prodotta con acqua di rete pre-bollita e la British Golden Ale prima menzionata, prodotta invece con acqua di rete passata solo per il filtro a carboni attivi (senza osmosi), sebbene non confrontate testa a testa, mi è sembrata notevole. La seconda non aveva quel retrogusto strano che ho percepito nella prima e che all’epoca mi aveva indotto ad abbandonare la strada della pre-bollitura dell’acqua. Evidentemente c’era del cloro in una forma tale da non evaporare – o comunque non a sufficienza – con la bollitura (le clorammine potrebbero essere una spiegazione).
Dopo l’esperienza positiva con la British Golden Ale, oggi ho meno paura dell’acido lattico. Spesso utilizzo solo parzialmente l’osmosi, in genere non più del 50% dell’acqua totale. Spesso anche al 30%. A volte per niente. Il restante è acqua di rete che però passa per il filtro a carboni attivi acquistato insieme all’impianto di osmosi inversa. Questo velocizza i tempi di produzione dell’acqua e riduce lo spreco. Perché, ovviamente, la produzione di acqua osmotizzata produce un significativo spreco.
Arrivo al 100% (o anche 80%) di acqua osmotizzata solo quelle – rare – volte che produco Pilsner, Helles o in generale basse fermentazioni chiare e dal profilo organolettico molto delicato.
Quanta acqua si spreca con l’osmosi?
Dipende. Anzitutto dal tipo di impianto, ma anche dalla pressione dell’acquedotto e ovviamente da quanta acqua osmotizzata si produce. Lo scarto nel mio impiantino, che produce circa 1 Litro di acqua osmotizzata ogni 6 minuti, è di 2L di acqua buttata nello scarico per ogni litro di acqua osmotizzata prodotta.
Se ipotizziamo che in media utilizzo il 50% di acqua osmotizzata (spesso anche meno), siamo a uno spreco di circa 2L x 10L ovvero 20 litri per cotta. Considerando che per una doccia usiamo tra i 20 e i 40 litri di acqua e che in media faccio una cotta al mese (e molte più docce), stiamo parlando di quantità di spreco poco significative a mio avviso.
Il tempo di raccolta dell’acqua osmotizzata è di circa un’oretta per 10 litri. In genere preparo tutto il giorno prima e raccolgo l’acqua mentre cucino la sera o durante il giorno se sono in Smart Working. Non c’è nulla da fare se non prendere l’impianto e collegarlo (5 minuti), aprire il rubinetto e mettere un timer per evitare di dimenticarsi il tutto aperto e allagare casa con preziosissima acqua osmotizzata.
Esistono diversi modi per recuperare l’acqua di scarto, che è comunque molto ricca di sali (circa il doppio di quella di partenza). Si potrebbe far passare l’acqua scartata di nuovo nel filtro a osmosi, ma questo tenderebbe a farlo durare meno. Oppure si potrebbe usare per i lavaggi o per innaffiare il prato. Io non ho prato e per i lavaggi già recupero l’acqua dal raffreddamento della serpentina, quindi semplicemente lascio scorrere questa acqua di scarto nello scolo e amen.
Come fai a calcolare la concentrazione esatta dei sali?
La concentrazione esatta non serve, è sufficiente una stima ragionevole. L’importante è assicurarsi che il filtro a osmosi funzioni bene e che l’acqua che esce dal rubinetto e quella che produce il filtro a osmosi abbiano una concentrazione totale di sali costante. Per questo è sufficiente dotarsi di un misuratore di conducibilità come quello nella foto (link amazon) , che misura la conducibilità dell’acqua restituendo la stima delle ppm dei sali in essa disciolti.
Non è necessario tararlo perché la misura assoluta non ci interessa (tanto la stima delle ppm è comunque imprecisa). L’importante è che sia costante. Questo tipo di misuratore non perde la taratura frequentemente come i pH metri che ben conosciamo, ma per sicurezza è meglio fare una misura di una certa acqua (ad esempio la già citata Sant’Anna) registrare il valore e usarlo nel futuro per verificare che il misuratore non si sia eventualmente starato.
Le mie misure sono ad esempio 370 ppm per l’acqua di rete e 10 ppm per quella che esce dal filtro a osmosi. Finché questi due valori rimangono tali, il filtro a osmosi sta lavorando bene e l’acqua di rete non ha subito significative variazioni.
La conducibilità dell’acqua varia con la temperatura, quindi è bene misurare più o meno sempre intorno alla stessa temperatura. Se poi sono due gradi in più o in meno poco importa. Se in estate misuriamo una conducibilità leggermente maggiore è normale.
Per il resto, faccio una semplice proporzione per stimare il contenuto dei sali dell’acqua miscelata tra rete e osmosi, come ad esempio nella tabellina seguente.
Per la concentrazione dei sali nell’acqua osmotizzata avrei potuto mettere tutto zero, ma dato che la misura è 10 ppm ho messo qualche valore tanto per essere coerente. Ma sono ovviamente distribuiti un po’ a caso. Come dicevo all’inizio, siamo nell’intorno delle 10 ppm di errore, assolutamente ininfluenti sul risultato finale.
Inserendo la concentrazione dei sali così stimata nel foglio di calcolo EZ Water Calculator mi ritrovo quasi sempre in linea tra pH di mash stimato e pH effettivamente misurato dopo le aggiunte di acido lattico.
Ogni quanto cambi i filtri?
Sui filtri, il produttore mette due scadenze: in termini di litri prodotti (difficilmente raggiungibili in tempi ragionevoli producendo 10 litri a cotta) o in termini di tempo. A me scade ovviamente sempre prima il tempo, che varia dai 3 mesi del filtro a carboni attivi ai 6 mesi di quello a osmosi.
C’è anche un altro filtro che va messo in linea prima degli altri: quello antisedimento, efficace nel bloccare le macroparticelle presenti nell’acqua di rete che rovinerebbero gli altri filtri. Nella mia ce ne sono molte, questo filtro lo si vede cambiare colore a occhio anche dall’esterno. Si scurisce per via dei residui solidi che intrappola al suo interno.
L’efficacia del filtro a osmosi si può testare con il famoso misuratore di conducibilità: finché esce acqua a 10 ppm con un ritmo non troppo lento, il filtro sta ancora funzionando. Potrebbe esserci il problema della carica batterica accumulata all’interno della membrana (l’acqua arriva nel filtro senza cloro), ma siccome nel processo di produzione della birra l’acqua viene bollita per un’ora, questo non dovrebbe ragionevolmente essere un problema.
Diciamo che la prima volta l’ho cambiato dopo i sei mesi spaccati, stavolta lo sto tenendo qualche mese in più, verificando la conducibilità e il flusso. Secondo me fino a un anno si può tenere con un ciclo di utilizzo di una volta al mese per produrre 10-20 litri di acqua osmotizzata a volta.
Gli altri due filtri vanno cambiati più spesso: quello antisedimento perché tende a tapparsi, quello a carboni attivi perchè è impossibile rilevare facilmente se stia funzioando oppure no. Scoprirlo a birra finita può essere fastidioso.
I filtri costano circa 15€ ciascuno, la membrana a osmosi 25-30€. Cambiando due volte l’anno l’antisedimento, tre volte l’anno quello a carboni attivi e una il filtro a osmosi, si spendono circa 80€ di filtri all’anno. Per 12 cotte da 10 litri finiti, avrei speso circa 30-60€ di acqua in bottiglia all’anno (dipende dal brand di acqua). Questo se si fanno 10L a cotta come me, con il doppio dei litri (quindi 20L a cotta) ecco che il risparmio arriva nell’arco dell’anno.
Sei soddisfatto dell’impianto a osmosi?
Sì, decisamente.
Un uso ragionato, miscelando acqua di rete e acqua osmotizzata, porta a uno spreco irrisorio e migliora sensibilmente la gestione dell’acqua per la cotta. Ovviamente parlo di piccoli litraggi, 10 litri come i miei o 20. Salendo di volumi il tutto si fa più complicato. Ma che vi posso dire: fate meno birra, il resto acquistatela e sostenete i nostri amati birrifici artigianali. 🙂
Risorse:
- il mio impianto a osmosi
- video-lezione dedicata all’acqua
- puntata di MashOut podcast dedicata all’osmosi inversa
Anni fa girava su internet un bellissimo articolo sul trattamento dell’acqua nella produzione della birra di Alessandro Calamida. Ora ho cercato, ma non lo trovo più su internet.
Ad ogni buon conto, tra l’altro descriveva il processo di decarbonazione per aggiunta di calce idrata, che era abbastanza semplice ed ottimo per chi, come te ed anche io, si trova a combattere con la durezza dell’acqua di Roma. In sintesi, si aggiunge un tot di calce idrata (idrossido di calcio, magari acquistato puro in farmacia; io ne uso circa 16 grammi per 80 litri d’acqua), si lascia riposare la notte, ed al mattino la maggior parte del calcio è precipitato a fondo della pentola. Semplice, a freddo, economico. Non so perchè poi sia una prassi scomparsa dai radar, però funziona.
Se interessa ho ancora il file salvato tra i docs importanti sulla birra.
L’ho trovato, nella MegaFAQ del vecchio gruppo it.hobby.birra. E’ qui:
http://www.hobbybirra.info/megafaq/megafaq2_1b.pdf
L’articolo completo è a pag. 33, il paragrafo sulla decarbonatazione è a pag.45