Serendipity è un termine inglese che non ha una vera e propria traduzione in italiano. Indica un evento che è accaduto per caso e che ha portato a un esito positivo. In occasione della nostra seconda cotta, avevamo pensato di produrre una sorta di clone della Boont American Amber Ale. Dopo aver passato settimane a definire la ricetta, abbiamo fatto l’ordine su Birramia e atteso con ansia l’arrivo degli ingredienti. Solo il giorno prima della cotta ci siamo però resi conto che avevamo scambiato i Lovibond con gli EBC, ordinando di fatto malti crystal troppo tostati. Abbiamo così modificato la ricetta al volo tramutandola in una sorta di IPA, senza farci troppi problemi sul risultato finale (non avevamo ancora la conoscenza sugli stili che abbiamo oggi, eravamo molto più naive).
Gli eventi fortuiti tuttavia non finiscono qui. Verso la fine della bollitura ci rendiamo conto che la densità non sarebbe mai arrivata dove avrebbe dovuto; decidiamo quindi di aggiungere una busta di malto in polvere che ci era avanzata dalla preparazione dello starter.
Anche l’abbinamento Chinook e Willamette fino al dry hopping, visto così, fa un po’ ridere. Tuttavia venne fuori una birra molto buona, di uno stile al confine tra IPA (con forte accento caramelloso) e Amber Ale. Un ibrido strano che ci piacque tantissimo. Fu una cotta one shot, ma abbiamo sempre in cantiere l’idea di rifarla. Chissà se la chiameremo ancora Serendipity.
Dell’assaggio non ricordo granché: all’epoca ce le scolavamo senza starci troppo a pensare. Mi torna in mente un aroma di caramello in buona armonia con la resina del chinook; amaro pungente ma equilibrato in bocca che puliva via le note dolciastre del caramello. Forse non proprio una IPA americana, ma ricordo che finì in un battibaleno e ci incoraggiò a continuare per la nostra strada, regalandoci una forte iniezione di fiducia.