Da quando, lo scorso anno, ho acquistato il libro di Scott Janish “The New IPA“, non faccio altro che leggerlo e rileggerlo, passando da un capitolo all’altro a seconda delle esigenze del momento. Come ho scritto nella recensione pubblicata qualche tempo fa sul blog (link), si tratta di un libro di cui sottolineare i testi, evidenziare le parole e segnare le pagine per recuperare con facilità informazioni e suggerimenti in ogni momento. Da questo libro non si impara un approccio specifico, ma si ricava una serie (enorme) di indicazioni da cui attingere in libertà per sperimentare e impostare il proprio approccio alla produzione.
A seguito del mio recente passaggio alla fermentazione in fusto e alla contropressione (link), ho iniziato a produrre con più frequenza birre luppolate. La ricerca di una solida strategia di luppolatura mi ha portato a riprendere in mano il libro di Janish, con l’obiettivo di tradurre i consigli in un approccio pratico che si adattasse al mio sistema.
Della miriade di informazioni che ho trovato nel libro, alcune mi sono rimaste maggiormente impresse. Ve le racconto, indicando alla fine di ogni paragrafo le pagine e il capitolo del libro da cui le ho prese. L’edizione è quella del 2019. La recensione del libro e il link per acquistarlo lo trovate qui.
La gettata a 60 minuti può contribuire all’aroma
I terpeni sono dei composti aromatici contenuti nei coni di luppolo. Fanno parte del grande gruppo degli idrocarburi, che può pesare tra il 40-80% sulla composizione complessiva degli oli del cono. Gli aromi dei terpeni sono vari, ma generalmente riconducibili alle sfumature speziate (luppoli continentali europei) e resinose/balsamiche (luppoli americani).
I terpeni sono composti molto volatili e poco solubili nel mosto e nella birra. Durante il processo di produzione tendono a evaporare durante la bollitura e a depositarsi sul fondo durante la fermentazione. Per mantenerne una piccola parte dei terpeni in soluzione nel prodotto finito, occorre spostare il dry-hopping dopo la fine della fermentazione per evitare che gli oli aromatici si volatilizzino con la CO2 o che vengano trascinati sul fondo del tino dalle cellule di lievito. Una alta concentrazione di proteine e β-glucani tende a tenerli maggiormente in sospensione nella birra (es. New England IPA). A ogni modo, nella maggior parte delle birre la loro concentrazione è minimale.
Ma qui viene il bello. I terpeni infatti tendono a ossidarsi durante la bollitura. L’ossidazione li rende polari e quindi parzialmente solubili nel mosto e meno volatili. I terpeni ossidati esprimono aromi riconducibili all’area del legnoso/speziato, sfumature che troviamo tipicamente nel bouquet aromatico delle luppolature continentali (Saaz, East Kent Goldings, Hallertau). Maggiore il tempo di bollitura, maggiore la quantità dei composti ossidati che si formano. Stiamo dicendo quindi che le aggiunte a 60 minuti, ovvero a inizio bollitura, possono contribuire in modo significativo all’aroma della birra. Questo smonta la diffusa convinzione che la gettata a 60 minuti apporti esclusivamente amaro. Ovviamente l’entità del contributo aromatico dipende dal luppolo utilizzato e dalla birra prodotta: in una IPA pesantemente luppolata in aroma, il contributo aromatico dei luppoli aggiunti a inizio bollitura sarà probabilmente ininfluente; mentre in birre come pilsner, helles, bock, kolsch potrebbe fare la differenza.
In genere i luppoli con maggiore concentrazione di terpeni ossidabili (β-cariofilene e α-umulene) sono quelli con alfa acidi più bassi (ma non solo), come Hallertau, East Kent Goldings, Fuggle ma anche Perle e Northern Brewer (questi due, non a caso, molto utilizzati come gettata a 60 minuti nelle birre con luppolature di tipo “continentale”). Mentre luppoli con alti alfa acidi come Citra, Galaxy, Mosaic, Columbus hanno concentrazioni più basse di terpeni ossidabili e quindi sono meno propensi a generare tonalità speziate nella birra se usati a inizio bollitura.
[cfr. pag. 45-51 del Cap2, “The New IPA”, edizione 2019]
Intensificare l’aroma agrumato con la biotrasformazione
Durante la fermentazione, il lievito produce molteplici tipologie di enzimi che catalizzano decine e decine di reazioni. Alcune di queste coinvolgono i composti del luppolo, di cui possono trasformare in modo più o meno evidente le caratteristiche aromatiche. Negli studi sulla birra, la reazione tra luppolo e lievito vengono indicate con il nome generico di biotrasformazione. Alcune di queste reazioni avvengono grazie a particolari enzimi prodotti da specifici ceppi di lievito, come ad esempio la biotrasformazione glucosidica che libera composti aromatici (per approfondimenti leggi qui). Altre, invece, possono avvenire in qualsiasi fermentazione, come la reazione che trasforma il geraniolo (aroma floreale) in β-citronellolo (aroma fruttato/agrumato).
Geraniolo e β-citronellolo sono oli ascrivibili al gruppo dei composti ossigenati, i maggiori responsabili degli aromi fruttati/floreali nei luppoli. I composti ossigenati costituiscono circa il 30% degli oli presenti nel cono.
Il geraniolo viene trasformato in β-citronellolo durante la fermentazione, amplificando l’intensità degli aromi agrumati. Per dare un boost alla componente agrumata è utile luppolare prima della fine della fermentazione, ovvero in late boil, whirpool, hopstand ma anche con dry-hopping a fermentazione in corso. È stato dimostrato che la concentrazione di β-citronellolo, a parità di tipologia e quantità di luppolo impiegata, può essere fino a 2.5 volte maggiore nella birra finita se un luppolo ricco di geraniolo passa per la biotrasformazione.
Luppoli ricchi in geraniolo sono, tra gli altri, Bravo, Cascade, Citra e Mosaic (link)
Questa è la ragione per cui il profilo prodotto dal dry-hopping classico, a parità di varietà e quantità di luppolo utilizzato, è sensibilmente diverso da quello generato da luppolature in late boil o durante la fermentazione. Usare una combinazione di diverse tecniche di luppolatura è quindi tanto importante quanto impiegare diverse varietà di luppolo per ottenere una buona complessità del profilo aromatico in una birra luppolata. Esistono infatti diverse birre monoluppolo Citra in commercio (la Jarl di Fyne Ales è una delle mie favorite) con profili agrumati molto complessi nonostante l’utilizzo di una singola varietà.
[cfr. pag. 60 del Cap2, “The New IPA”, edizione 2019]
Demistificazione dei solfati
Che un’alta concentrazione di solfati non sempre sia la scelta migliore per una birra luppolata è ormai abbastanza noto, almeno tra gli homebrewer con un filo in più di esperienza. Mentre il mito dell’acqua di Burton sta lentamente perdendo fascino (leggi qui per approfondimenti), si cerca di giocare con intelligenza sul rapporto cloruri/solfati per intensificare sensazioni palatali diverse. Nelle birre oggi di tendenza, maggiormente sbilanciate sugli aromi fruttati e sul corpo morbido, si alzano i cloruri; mentre per le IPA più secche e classiche (alla West Coast per intenderci), si spingono i solfati (senza necessariamente arrivare ai numeri da guinness dei primati dell’acqua di Burton).
Scott Janish aggiunge però un altro tassello interessante a questo puzzle. In uno studio del 2010 è stato dimostrato che alti livelli di solfati non solo rendono l’amaro percepito più pungente, ma addirittura possono avere impatto negativo sulla percezione aromatica del luppolo, rendendola meno intensa. Curioso, no?
[cfr. pag. 84 del Cap4, “The New IPA”, edizione 2019]
Polifenoli e dry hopping
Chiudo con una serie di interessanti considerazioni sparse che ho trovato nel Capitolo 7, dedicato al dry hopping. Come da filosofia del libro, Janish non fornisce indicazioni precise su cosa fare e non fare, ma dissemina il capitolo di consigli utili da cui partire per impostare il proprio approccio personale, da raffinare in base a prove sul campo e assaggi. In particolare, mi sono rimaste impresse tre considerazioni a mio avviso molto importanti:
- se il dry hopping viene fatto con il lievito attivo (ovvero nel corso della fermentazione), i polifenoli tendono a precipitare sul fondo insieme alle cellule di lievito. Ne risulta una birra più morbida e meno pungente nell’amaro [pag. 126]
- l’estrazione dei polifenoli è influenzata dalla temperatura: un dry hopping a 19°C può generare un’estrazione di polifenoli più che doppia rispetto a un dry hopping a 4°C. L’estrazione di oli aromatici invece è simile alle due temperature [pag.122]
- L’estrazione di polifenoli mostra un picco dopo 3 giorni. La loro concentrazione nella birra rimane poi costante anche dopo 14 giorni di contatto tra luppolo e birra [pag 128]
Sto sperimentando diversi approcci nelle mie ultime luppolate. Recentemente ho scritto di un esperimento piuttosto riuscito con unico dry hopping a fermentazione in corso (link), dove i tempi di contatto prolungati tra birra e luppolo non hanno prodotto effetti negativi. Al momento sto portando in cold crash una birra con doppio dry hopping: una prima gettata in fermentazione e una seconda dopo la fine della fermentazione, con repentina discesa a 10°C per qualche giorno. Vi saprò dire di più a breve.
[cfr. pag. 122,126,128 del Cap7, “The New IPA”, edizione 2019]
Il cold crushing serve unicamente per “pulire” la birra da lieviti a luppolo in sospensione, o aggiunge altro? Qual’è la temperatura ottimale? I 10c citati nell’ articolo o inferiore?
Grazie
Mauro
Segnalo un articolo interessante a proposito di biotrasformation: https://byo.com/article/biotransformation/