Quando, qualche anno fa, decisi di passare alla contropressione, il primo snodo cruciale fu proprio la scelta del fermentatore. Fino ad allora avevo utilizzato piccoli secchi in plastica dalla capienza di 15 litri, dove lasciavo fermentare 10-12 litri di birra. Avevo da tempo ridotto i volumi di produzione per poter fare cotte più spesso senza avere problemi di stoccaggio delle bottiglie, sia piene che vuote.

Ma anche per non dover bere la stessa birra per mesi, per quanto buona fosse riuscita.

La maggior parte degli homebrewer che conosco utilizzava – e utilizza ancora – il Fermzilla (nelle sue varie versioni), comodo ed economico. Il problema di questo fermentatore isobarico è che non ne esiste una versione mini che permetta di fermentare batch da 10 litri. Non era una scelta praticabile nel mio caso.

Altri utilizzavano invece costosi unitank isobarici, che già trovo inefficienti ed esagerati per cotte da 20-30 litri, figuriamoci per piccole fermentazioni da 10 litri. Anche questa non era una strada percorribile.

Dopo diverse ricerche, la mia attenzione fu attirata dalle fermentazioni nei piccoli fusti in acciaio inox dalla capacità di 5 galloni, ovvero 19 litri. I famosi Jolly Keg, detti anche Cornelius Keg

PERCHÉ IL KEG JOLLY

Il Jolly Keg non nasce per essere utilizzato come fermentatore. Nasce fondamentalmente come fusto per trasportare la Coca Cola, in alcuni casi – ma meno frequentemente – la birra. Viene molto utilizzato dagli homebrewer di tutto il mondo come contenitore dove trasferire la birra una volta terminata la fermentazione per poi collegarlo alle spine.

Dalla maggior parte degli homebrewer viene usato come fusto di servizio, in quanto può contenere esattamente il volume della tipica cotta da circa 20 litri una volta fermentato il mosto. Tuttavia, dalle mie ricerche, scoprii che c’era anche chi lo utilizzava come fermentatore. La capacità di soli 19 litri permette di fermentare al massimo 12-13 litri, per via dello spazio di testa che deve essere lasciato libero per evitare che il krausen che si forma durante la fermentazione fuoriesca attraverso il blow-off intasando le valvole di uscita.

Per i miei 10-12 litri era perfetto.

La fermentazione nel keg Jolly ha degli evidenti punti di forza ma anche delle piccole difficoltà che possono essere facilmente gestite e superate.

I PUNTI DI FORZA 

Rispetto ad altri fermentatori, il Jolly Keg ha un costo assolutamente accessibile: un keg nuovo costa intorno ai 100€ (link), ma si può facilmente trovare usato e ricondizionato professionalmente intorno ai 70€ (link); oppure, si trova anche usato a molto meno (da pulire bene e rimettere a posto). Il costo è simile a un Fermzilla dal doppio della capacità, ma rispetto a quest’ultimo il Keg Jolly ha il vantaggio di durare all’infinito. Oltre ad avere, come già detto, una capacità dimezzata perfetta per i miei piccoli batch.

Tutto sommato è piuttosto facile da pulire: i connettori si smontano facilmente e l’interno è accessibile per la maggior parte delle persone semplicemente infilando il braccio dentro. In ogni caso, si può costruire una lavafusti economica (link) per pulirlo alla perfezione senza grande fatica. Essendo in acciaio inox, si possono utilizzare per le pulizie prodotti altamente caustici (come il Removil, a base di soda caustica) e acqua molto calda, il che rende la pulizia particolarmente efficace.

Il Jolly Keg può essere spinto a pressioni molto alte, ben al di sopra di quelle necessarie per carbonare la birra (il Fermzilla è invece al limite per carbonare a 3.0 volumi a temperatura ambiente). È allo stesso tempo estremamente sicuro grazie alla valvola di sfiato installata sul coperchio.

Guarnizioni, tappo e connettori di ricambio sono facilmente acquistabili a prezzi più che abbordabili.

Le sue dimensioni contenute (circa 56 cm di altezza e 23 cm di diametro) permettono di tenerne anche due all’interno di un frigorifero standard.

I PUNTI DI DEBOLEZZA

Fermentare nel Keg Jolly ha alcuni svantaggi, ma sono tutti facilmente gestibili.

Il primo è la misura della temperatura. Sebbene qualcuno si sia inventato un modo per posizionare pozzetti inox per tenere una sonda di temperatura anche nel Keg Jolly, questa evoluzione non è affatto necessaria. I volumi ridotti e il diametro contenuto del keg permettono di misurare la temperatura del mosto all’interno del keg semplicemente poggiando la sonda di temperatura sulla parete esterna del fusto.

È sufficiente coprirla con uno strato di materiale isolante (tipo polistirolo) per avere delle misure ragionevolmente precise. Ho fatto un paio di prove con il fusto riempito d’acqua e due sonde, una all’interno e una all’esterno, e i risultati sono stati buoni anche durante le rampe di salita e discesa della temperatura.

Il secondo problema è lo spinone, ovvero il tubo inox che pesca dal fondo. È infatti pensato per spillare il prodotto finito, quando i depositi sul fondo sono ridotti o inesistenti. Se proviamo a usarlo per prelevare birra in fermentazione o appena fermentata, la piccola valvola di uscita viene subito intasata dai residui solidi che si sono depositati sul fondo. Se abbiamo aggiunto luppolo in dry hopping, è praticamente impossibile spillare birra o mosto senza intasare immediatamente la valvola di uscita.

Anche questo problema può essere facilmente aggirato.

È sufficiente acquistare un tubo in silicone equipaggiato con un piccolo filtrino e una sfera inox galleggiante per prelevare il mosto sempre dall’alto. Il kit è pensato per il Fermzilla, ma si può adattare al keg acquistando un tubicino inox più corto (link) e accorciando il tubo in silicone fino alla lunghezza di 56 cm. Consiglio anche di applicare un piccolo dado inox alla fine del tubo (come quello in foto) per farlo scendere leggermente al di sotto del livello del mosto, in modo da evitare irritanti blocchi nel pescaggio verso la fine del trasferimento.

Per prelevare campioni di mosto è sufficiente acquistare un rubinettino in plastica (link) da collegare al connettore di uscita, al modico costo di circa 10€. Non è necessario sanitizzare il rubinetto quando si preleva mosto dato che il flusso a pressione spinge la birra verso l’esterno. Ovviamente va lavato subito e mantenuto pulito, ma ci vuole un attimo.

Se il flusso si dovesse intasare, è sufficiente insufflare anidride carbonica a bassa pressione dalla via di uscita per liberare tubo e valvola e far ripartire il flusso. Se facciamo un pesante dry hopping potrebbe diventare impossibile prelevare un campione prima del cold crash, ma interessa poco. È una misura di densità che non ha particolare importanza, si può facilmente saltare.

A volte può essere difficile estrarre mosto anche nel corso della fermentazione per via del krausen, ma con il tempo e l’esperienza si impara a valutare l’andamento della fermentazione osservando la dinamica delle bolle che escono dal blow-off, senza necessità di fare mille misure di densità.

COLD CRASH

Con il Keg Jolly si risolve alla grande il problema del risucchio del liquido dal blow-off durante il cold crash.

In teoria, sarebbe sufficiente staccare il blow-off e avviare il cold crash. Tuttavia preferisco mettere in pressione il keg prima del cold crash, in modo da evitare che la pressione all’interno del keg diventi negativa. Questa pressione negativa, teoricamente, potrebbe forzare le molle delle valvole o allentare la tenuta del coperchio lasciando entrare aria. Non credo la pressione negativa all’interno del keg possa arrivare a tali livelli, ma meglio non rischiare.

Prima del cold crash, attacco quindi la bombola e metto in pressione a 10-20 psi. La birra tende a carbonarsi leggermente durante l’abbassamento di temperatura per assorbimento della CO2 applicata. Questo non è un problema se poi si carbona forzatamente, tanto poi dovremo comunque aggiungere altra anidride carbonica per arrivare ai volumi desiderati. Se la birra è già carbonata, perché magari si è applicata la spunding a fine fermentazione, il keg è ovviamente già in pressione e non serve fare nulla prima di abbattere la temperatura.

Se si vuole birra piatta dopo il cold crash, perché magari si rifermenta in bottiglia, è sufficiente applicare pochissima pressione (5 psi) prima di abbattere la temperatura per evitare che la birra prenda carbonazione. Al limite, si può poi sgasare durante il cold crash ma questo in genere non è necessario. Oppure, semplicemente valutare la carbonazione raggiunta in base alla pressione del keg dopo qualche giorno di stabilizzazione e regolare il priming di conseguenza (vedi il post sulla rifermentazione con carbonazione parziale)

DRY HOPPING

Per aggiungere luppolo in dry hopping, apro il coperchio, metto il luppolo e richiudo. Per ridurre al minimo gli effetti negativi dell’ossigeno introdotto in questo modo, si possono adottare diversi approcci.

Aggiungere il luppolo durante la fermentazione o comunque prima che finisca completamente. Così facendo l’ossigeno immesso dovrebbe venire per la maggior parte consumato dal lievito. Pro: metodo molto pratico. Contro: l’aggiunta di luppolo nel corso della fermentazione modifica il contributo aromatico del luppolo. Né in meglio, né in peggio: semplicemente, è leggermente diverso. Teoricamente si dovrebbe ridurre la parte vegetale e amplificare quella fruttata/agrumata, ma dipende dal luppolo e dal lievito. L’unica soluzione per avere idea del risultato è provare.

Aggiungere una ridotta quantità di zucchero insieme al luppolo quando si fa dry hopping. Pro: il lievito riprende l’attività consumando l’ossigeno introdotto. Contro: oltre a quanto già detto sopra, non sempre la ricetta richiede l’aggiunta di zucchero. Tuttavia, un 3-4% in peso di zucchero non stravolge la ricetta di nessuna birra. Sfido chiunque ad accorgersi della differenza.

Aggiungere metabisolfito (antiossidante) insieme al luppolo. L’ho fatto diverse volte (link). La dose su cui mi sono alla fine orientato è di 15 mg/L. Promolto semplice, pratico ed economico. Contro: non ha particolari effetti collaterali, se non una potenziale produzione di composti solforosi oltre la soglia di percezione (aroma di cerino appena acceso). Non ho ancora capito se questo avvenga oppure no, mi serve ancora qualche prova. Ne ho parlato qui. Con questo dosaggio, l’anidride solforosa prodotta dovrebbe essere sotto le 10ppm (non andrebbe nemmeno indicata in etichetta se fosse un prodotto commerciale). Attenzione comunque a non far bere la birra a chi è allergico ai solfiti.

In ogni caso, cerco sempre di aggiungere il luppolo utilizzando la bombola e l’anidride carbonica per ridurre al minimo la solubilizzazione di ossigeno. In genere faccio così:

  • utilizzo il tappo con un terzo connettore (questo)
  • collego lo spinone (leggermente accorciato per non arrivare proprio sul fondo) al connettore laterale del gas, quello che solitamente è etichettato come “IN”.
  • prima di aprire il keg per fare dry hopping, applico una leggera pressione con la bombola (circa 1-2 psi) attraverso lo spinone lungo, in modo da creare un flusso di bolle che passando per la birra escono dal blow-off
  • tolgo il coperchio, con il flusso di CO2 aperto in modo che la CO2 mantenga fuori l’aria quando apro
  • metto il luppolo
  • richiudo (sempre con il flusso di CO2 aperto)
  • aumento la pressione a 5-6 psi e faccio uscire CO2 dal blow-off per una trentina di secondi

Devo dire che da quando adotto queste tecniche di dry-hopping nel keg le mie luppolate sono decisamente migliorate.

Quando si usano tre connettori, bisogna fare molta attenzione a non applicare la CO2 a quello dello spinone quando la birra viene trasferita a fine fermentazione o quando si preleva un campione, altrimenti si smuove tutto il fondo. Peggio ancora (mi è capitato ben due volte) se per errore il tubo di blow-off viene collegato al connettore con lo spinone lungo: invece di uscire CO2 durante la fermentazione, esce birra! Per evitare questi errori, ormai metto sempre una chiara etichetta di scotch al connettore a cui è collegato lo spinone. Il blow-off va collegato al centro.

C’è poi chi si spinge ancora oltre, applicando l’hop-bong del Fermzilla al tappo del keg (come quel matto di Iuppa). Lo ritengo eccessivo, scomodo e soprattutto l’ennesimo accessorio da pulire e sanitizzare. Oltre a costituire una potenziale fonte di perdite di pressione e al fatto che allunga il keg di diversi centimetri in altezza. Per chi volesse provare, il coperchio modificato già fatto si trova su Aliexpress a 30€ (link). L’hop bong va comprato a parte. Non è detto che un giorno non proverò a usarlo, anche solo per curiosità. O se mi trovo un centinaio di euro in più (bisogna comprare anche l’hop bong oltre al coperchio del keg).

LAVAGGIO E SANITIZZAZIONE

Come ho già accennato sopra, per lavare il keg in cui fermento utilizzo una lavafusti autocostruita (link) e un detergente caustico come il Removil. Lo trovo necessario perché, sebbene il mio braccio entri agilmente nell’apertura del keg, la rimozione dei residui di fermentazione (soprattutto i residui dalla schiuma del krausen) è piuttosto difficile da rimuovere senza l’utilizzo di detergenti caustici. Una pezzetta insaponata non è sufficiente, si rischia facilmente di graffiare il keg all’interno.

Per i fusti in cui non fermento, invece, è più che sufficiente un lavaggio con acqua, sapone per i piatti e pezzetta morbida.

Dopo il Removil, anche se non ce ne sarebbe bisogno, faccio un passaggio di soluzione acida che può essere Saniclean (che non fa schiuma) o semplice acido citrico. Questo aiuta ad eliminare i residui di calcare, nel caso del Saniclean dà anche una ulteriore sanitizzata.

Alcuni homebrewer non rimuovono i connettori ma utilizzano una lavafusti che ha due tubi che si agganciano agli allacci del keg jolly facendo fluire la soluzione attraverso gli allacci durante il ciclo di pulizia. Io preferisco rimuovere tutti i connettori ogni volta (ci vogliono 5 minuti) e lavarli a parte con spazzolino e sapone. Mi fa sentire più tranquillo.

Se avete recentemente vinto alla lotteria, potete comprare una lavafusti già fatta tipo questa (che ha anche gli allacci per i connettori jolly).

ATTREZZATURA NECESSARIA

Proviamo a riepilogare l’attrezzatura necessaria per fermentare in un Jolly Keg:

  • fusto Jolly Keg completo di connettori e tappo. Si può acquistare nuovo (link) o ricondizionato (link), oppure cercarne uno usato nei vari mercatini.
  • tubo inox più corto da sostituire allo spinone (link)
  • galleggiante inox con tubo in silicone (link)
  • tubo e rubinetto per il prelievo di campioni (link)
  • set guarnizioni in silicone di ricambio (link)
  • una lavafusti può far comodo, qui le indicazioni per costruirne una
  • coperchio con il terzo connettore (link)
  • facoltativo: kit di ricambio per connettori gas e liquido da 19/32 (link)

In totale, una spesa che si aggira tra i 100€ e i 150€, qualcosa in più se si costruisce la lavafusti. Un investimento che dura praticamente per sempre, a meno delle guarnizioni che ogni tanto vanno cambiate.

IN CONCLUSIONE

Personalmente, mi trovo benissimo a fermentare nei Keg Jolly. Non cambierei sistema, a meno che qualcuno non metta in commercio un fermentatore pressurizzabile da 15 litri funzionale e a prezzi abbordabili.

Gli aspetti negativi sono superabili con facilità, ampiamente surclassati da quelli positivi. Per quanto riguarda il litraggio limitato, esistono anche i Kegmenter, ovvero Keg più capienti adattati a fermentatori. Li vende Beer & Wine (qui). Sono però molto più costosi di un Fermzilla, quindi non so quanto ne valga la pena.

Ma per i miei litraggi… fermentazione in keg jolly tutta la vita!

10 COMMENTS

  1. grazie per l’apprezzamento <3
    Utilizzo i fustini come fermentatori da anni con estrema soddisfazione e non li cambierei per nulla al mondo.
    Oltre quello che hai già ampiamente detto, mi permetto fare delle aggiunte, di cui son testimone in prima persona

    1) ogni tanto capita di trovare su mercatino homebrewing (su fb) delle offerte per dei fustini usati (con prezzo intorno ai 30-35€ a pezzo), in quel caso è sufficiente sostituire i connettori se sono mal messi, in vendita sempre sui nostri store di riferimento, e tutto torna come nuovo con una spesa ancora più abbordabile.

    2) Esistono due versioni di hop bong: triclamp da 1,5'' e 2''. il tappo che consigli nel post è quello con triclamp 1,5''. Vien da sé che quest'ultimo è più stretto e meno capiente di quello da 2'', ma non sono necessarie modifiche e personalizzazioni, come per esempio ho fatto io. Oltre l'hop bong è necessaria anche una valvola a farfalla triclamp dello stesso diametro.

    3) mi è successo già un paio di volte che il tubo di silicone collegato al galleggiante si crepasse sull'attacco del tubo gas, col risultato che diventa impossibile far uscire la birra dal fusto senza dover aprire e smanettare. È una cosa molto antipatica e non ci si può fare niente (mi è successo sia con tubo vecchio che tubo nuovo). Ho pensato di risolvere mettendo un john guest e un codolo (i nomi su aliexpress sono "KegLand Duotight raccordo per tubo flessibile in plastica a connessione rapida raccordi per giunti a pressione-8mm X 8mm produzione di birra" e "Kegland Duotight – 6.35mm (1/4 ") Barb a 8mm (5/16") riduttore a stelo in plastica a connessione rapida tubo di birra connettore per tubo flessibile Pushfit" per rendere il tutto più comodo, non solo da da inserire e rimuovere, ma sopratutto da manutenere).

  2. Ciao Frank, interessantissimo articolo che mi stuzzica fin troppo. Una domanda da ignorante della contropressione: ho da poco ascoltato la puntata di Mashout! sui primi passi nella contropressione e volevo chiedere se è fattibile fermentare nei keg usando le bombole sodastream. Quante se ne consumerebbe per svolgere tutte queste operazioni durante la fermentazione (carbonazione forzata esclusa)?

    • Di preciso non so, ma con le Sodastream secondo me riesci a farci qualche fermentazione se la usi solo per trasferire la birra. Magari anche 3-4. Puoi partire da lì per provare, ma a un certo punto ti servirà la bombola più grande.

  3. Ciao Frank, da quanto ho capito con il keg il luppolo lo aggiungi solamente in fase di fermentazione attiva per far consumare poi l’ossigeno al lievito. Quindi un altro limite è quello di non poterlo aggiungere magari a fine fermentazione attiva e quindi avere diciamo solo “quell’aroma” da biotrasformazione. È corretto?

    • Come ho scritto, lo faccio in diversi modi e in diversi momenti. Ogni approccio ha i suo pro e contro, vanno valutati e sperimentati caso per caso.

  4. Ho dimenticato una cosa scusa, anche lo spurgo del lievito potrebbe esere un limite oppure non lo consideri come tale, superandolo facendo magari un travaso quando si tratta di una lager? Grazie

    • No, non lo considero un problema sui nostri piccoli batch. Prima delle lunghe lagerizzazioni ovviamente travaso.

      • Su questo punto delle lunghe lagerizzazioni volevo chiederti una cosa, avendo la possibilità di spurgare il lievito sarebbe come fare il travaso oppure il travaso è sempre necessario perché lascia meno sedimenti(ma magari fa entrare un po di ossigeno rispetto allo spurgo fatto con co2 senza cambiare fermentatore? Grazie come sempre per i tuoi grandi post.

        • Probabilmente se riesci a fare uno spurgo efficace (non sempre ci si riesce con i volumi casalinghi, in molti casi inizia a uscire birra prima che esca tutto il lievito) potrebbe funzionare.

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