Il mio rapporto con le English IPA non è dei migliori. Anni fa, nel pieno della pandemia, provai a produrne una utilizzando l’acqua di rete di Roma (link). Non venne granché: all’inizio sembrava quasi da lavandinare, con il tempo si mise a posto ma rimase una birra al massimo mediocre.

Dopo diversi anni, ho deciso di riprovare. Risultato nettamente migliore, ma ancora non ci siamo. Mi sono incaponito con il lievito Nottingham della Lallemand, sulla carta altamente flocculante, ma ancora una volta il risultato è stato una birra piuttosto torbida nonostante quasi due mesi di lagerizzazione.

Ho realizzato dopo l’inoculo che in realtà il Nottingham lo avevo preso per provarlo nella Oatmeal Stout, mentre in questa avevo pianificato di usare un classico US-05. Vabbè, capita. Non so nemmeno se dare tutta la colpa al lievito per questa tenace torbidità, potrebbe anche essere dovuta a polifenoli e proteine o a un mix dei due.

A ogni modo la birra è piacevole, ma per la seconda volta di fila mi è uscita una birra diversa da come la avrei voluta (la precedente era la Spéciale Belge, che però almeno alla fine si è pulita abbastanza). Una nuova occasione per riflettere e imparare qualcosa. Ma stavolta mi ci incaponisco, eh. Non la rifarò tra altri 5 anni, cercherò di riprovarci prima.

Salto l’introduzione sullo stile, ne ho parlato a sufficienza nel post dell’altra cotta.

RICETTA

Non ho cambiato molto rispetto alla ricetta precedente. Base di Maris Otter con un tocco di malto Monaco per dare uno sprint ai toni maltati. La base è supportata da una dose molto leggera di malto Crystal a media tostatura. Avendo ridotto il grado alcolico rispetto alla scorsa volta, per stare più in linea con le tipiche bevute inglesi, ho evitato di aggiungere zucchero.

Lievito Nottingham. Non era previsto, ma, come si dice: è andata così.

Luppoli tipicamente inglesi con un tocco di Cascade per una spinta sul citrico. Dosaggi bassi, lontani dall’approccio americano e dry hopping durante la fermentazione per ridurre l’ossidazione ma soprattutto per esaltare le note citriche grazie alla biotrasformazione e ridurre quelle più resinose. La Lallemand evidenzia la propensione del lievito Nottingham alla biotrasformazione grazie agli enzimi β-glucosidasi and β-liasi (link).

Acqua di rete di Roma anche stavolta. Rispetto alla precedente cotta dell’estate del 2019, è filtrata a carbone attivo. Ormai ho ridotto l’utilizzo dell’osmosi solo agli stili che ne hanno davvero bisogno, come Pilsner o Helles, filtrando semplicemente con il carbone attivo per tutte le altre cotte. L’approccio funziona, si risparmiano tempo e acqua alle spese di qualche millilitro in più di acido lattico da usare in mash e sparge. Non mi sembra crei grandi problemi.

Acqua sbilanciata sui solfati per accentuare secchezza e taglio amaro.

Al termine del mash mi sono ritrovato con una OG di 4 punti superiore rispetto a quanto previsto. Ho deciso di riportarla al valore target, aggiungendo circa un litro di acqua sant’Anna.

FERMENTAZIONE

Fermentazione piuttosto standard, senza problemi. Nel giro di 5 giorni le bolle sono quasi terminate. Ho misurato la densità al nono giorno trovandola a 1.012 con un 78% di attenuazione, in linea con le performance di questo lievito. All’assaggio la birra non era male, ma aveva una torbidità molto spiccata.

Ho lasciato la birra a temperatura ambiente (19°C) per un altro paio di giorni, poi ho fatto una settimana di cold crash nel fermentatore per evitare di portarmi dietro troppo lievito. A volte, se la birra ha una buona limpidezza dopo la fermentazione, faccio cold crash direttamente dopo il travaso nel fustino da 10 litri.

Ho carbonato forzatamente nel fustino mantenendo la carbonazione bassa, circa 2.0 volumi. Dopodiché ho aspettato un paio di mesi, nella speranza che si pulisse visivamente. Purtroppo, il lungo cold crash non è stato risolutivo.

ASSAGGIO

L’assaggio viene direttamente dalla spina, dopo che il fusto ha passato quasi due mesi nel frigorifero intorno ai 4°C.

 ASPETTO  Schiuma medio-bassa di colore avorio con bolle fini, buona persistenza. La birra è di colore ambrato molto chiaro, velatura eccessiva per lo stile ma non torbida (vedi foto sotto).

 AROMA  Intensità media. La luppolatura è incentrata sui toni agrumati che ricordano il pompelmo ma anche l’arancia e soprattutto il mandarino, supportati da una base erbacea (nel senso di erbe di campo, non erba tagliata) con un tocco di terroso. Mi sembra di percepire leggerissimi esteri che possono ricordare la mela golden o un filo pera. Non sono fastidiosi, anzi, si integrano bene. Il maltato è leggerissimo, si manifesta con un tocco di panificato (crosta di pane). Non sento caramello. Niente diacetile.

 AL PALATO  Si riconfermano gli aromi percepiti al naso, il malto è leggermente più intenso con una lieve nota biscottata, senza sconfinare nel caramello. L’amaro è di media intensità, non altissima ma offre un buon supporto alla dolcezza residua. Il luppolo, anche al palato, è soprattutto agrumato con venature di arancia. Finale mediamente secco, chiude con un leggero terroso. Il panificato (mollica di pane) è un filo eccessivo nel finale, che non è pulitissimo.

 MOUTHFEEL  Corpo medio, carbonazione media. Nessun calore alcolico, forse una leggerissima astringenza che non mi dà alcun fastidio.

CONSIDERAZIONI GENERALI

La birra, nel complesso, è piacevole. Come sempre, la mia personale misura di quanto una birra sia complessivamente riuscita – al di là dell’aderenza allo stile – è la misura del consumo che ne faccio. In questo caso, piuttosto veloce.

Visivamente mi urta, con questa velatura pesante. Il che si ripercuote anche sulla bevuta, non so se solo per una questione di suggestione indotta dall’aspetto della birra. Nel complesso la avrei voluta più pulita, anche al palato. Ma devo dire che gli aromi sono in linea con lo stile, sono al posto giusto e l’equilibrio complessivo è piuttosto azzeccato.

Sembra avere quel tocco “lievitoso” (yeasty) che non vorrei mai vedere scritto in una scheda BJCP perché non credo il lievito possa essere così tanto in sospensione da dare questa sensazione. Probabilmente è solo suggestione e non lo scriverei in una scheda, ma in qualche modo lo avverto sul finale del sorso. Che ce possa fa’.

Questa torbidità – maledetta! – mi porta istintivamente ad additare il lievito Nottingham come colpevole principale. Gli ho dato – per sbaglio – una seconda possibilità, ottenendo lo stesso identico risultato della volta scorsa: birra torbida. Coincidenze? Non lo so, davvero. Difficile dirlo. Posso immaginare però che dopo due mesi il lievito si sarebbe dovuto depositare, mentre una chill haze da proteine e polifenoli può essere più tenace. Ma sono solo ipotesi.

Avrei dovuto fare un protein rest? Non lo so, sono anni che non lo faccio e la limpidezza delle mie birre è sempre piuttosto buona. Dopo questa English IPA ho fatto una Ordinary Bitter con stesso processo e stesso malto base: era piuttosto limpida già prima del cold crash.

Non ho la soluzione al rebus, per ora.

Farò protein rest alla prossima cotta? No, non mi va. Non credo sinceramente possa essere un passaggio risolutivo. Ma potrei cambiare idea.

Nel complesso comunque la ricetta mi sembra solida, riproverò senza cambiare nulla a parte il lievito. Magari un bel BRY97 e passa la paura!

 

 

 

13 COMMENTS

  1. Ciao Frank, capisci a me.. che nessun lievito anche il meno flocculante per questioni fisiche rimane in alcun modo in sospensione.. nella mia esperienza Nottingham è uno dei lieviti che lascia la birra più pulita da se stesso in assoluto. Personalmente avrei posto più attenzione sui luppoli usati, insoliti per le IPA moderne (come giusto che sia dallo stile in questione) e che quindi in quantità, potrebbero aver apportato dei legami polifenoli/proteine che non ti aspetti: ma sti cazzi!

    • Oddio, sul fatto che nessun lievito rimanga in sospensione non mi trovo d’accordo. Difficile, certo, che rimanga in sospensione così a lungo, infatti è quello di cui parlavo nel post.

      Il dry hopping era veramente modesto, decisamente meno di tante altre luppolate che ho fatto che non sono uscite così torbide.

      Non credo nemmeno sia chill haze, peché ho lasciato il bicchiere a temperatura ambiente e non si è pulito. Probabilmente permanent haze, dovuta a legami proteine e polifenoli ma non so spiegarmi perché in questa birra sì e nelle altre no.

      Ci sono invece interessanti ricerche sui lieviti che possono essere “haze positive” pure senza rimanere in sospensione. Chissà.

      https://topcrop.co/yeast-and-haze

      • Ci sono infatti die lieviti che sono haze positive, ovvero tendono a formare più haze ma non per il fatto che siano in sospensione o no, ma per l’influenza che hanno sul legamo proteine/polifenoli. Quindi, il nottingham, pur essendo molto flocculante di per se’, potrebbe indurre haze in accoppiata al dry hopping.

        • Ok questo è un punto molto interessante, devo dire che le birre che ho fatto fin qui con Nottingham sono sempre state più sbilanciate sul malto con nessun Dry Hop, mi studio l’articolo, grazie

  2. mah, da tempo non uso più lieviti Lallemand perchè non mi convincono fino in fondo.
    spesso resta appunto quell’aroma lievitoso di cui parli.
    proverei con M36 liberty bell di MJ, personalmente lascerei perdere Fuggle e Cascade e userei, anzi, normalmente io uso Challenger, che ha quella nota di marmellata di arance che in E IPA ci va a nozze.
    e no, protein rest con malto pale proprio no
    tu quoque!!

    • Aspè, con calma. Dire che tutti i lieviti Lallemand lasciano aroma “lievitoso” (termine che mi fa rabbrividire 🙂 ) mi sembra un filo eccessivo. Come tutti i prodotturi, hanno nel range lieviti più convincenti e altri meno (dipende poi cosa ci si deve fare), ma la qualità è mediamente molto alta.

      Il Fuggle è un fantastico luppolo inglese, particolare ma molto caratteristico. Da delle note terrose per me essenziali in questi stili per dare il tocco inglese. L’arancia è anche tipica dell’EKG, che anche ho utilizzato. Il Challenger anche ci può stare. Il tocco di cascade secondo me ci sta benone con le sue note citriche e floreali.

      Protein non credo lo farò, infatti. Non penso ne valga la pena.

  3. Il BJCP però recita : al 12c
    Appearance
    Color ranges from golden to deep amber, but most are fairly pale.>>>>Should be clear, although unfiltered dry-hopped versions may be a bit hazy. <<<< Moderate-sized, persistent head stand with off-white color.
    E io, infatti, ho alzato bandiera bianca davanti al “bit hazy”. Tanto che se vedo una birra limpida penso che sia industriale.

  4. suggerirei l’uso di un bel krug di terracotta modello Franconia.
    ah, ho comprato anch’io filtro con carboni attivi, anche se la mia acqua di rete ha cloro residuo basso, <0,05, vediamo , anzi, sentiamo il risultato poi.

  5. Pensi che un test tipo: stessa cotta, divisa in due e fermentate con due lieviti diversi possa essere utile?

    • Probabilmente sì. Se una viene torbida e una no, la colpa è del lievito. Ma non è detto che sia lievito in sospensione… ne parlerò nel prossimo articolo.

  6. Ciao Frank, ho avuto un problema di velatura persistente (e permanente..)simile al tuo con una cotta di west coast ipa un mese fa, cotta filata liscia lunghissimo cold crash, al che ho cercato di capire il perché ma latito nel buio. Il fatto che la mia avesse una astringenza molto limitata mi porta a pensare che la colpa della velatura non sia dei polifenoli o delle proteine, potrebbe essere una interazione fra i lieviti e gli ingredienti non proprio freschissimi? Oppure dell’unica variazione che ho introdotto ovvero il d.h fatto dopo un lungo cold crash? Va detto che mi e’ sembrata anche un filo ossidata cosa che lavorando in pressione al netto di non fare errori non mi accade quasi mai. Mi viene da pensare che quando un lievito non e’ in formissima possano succedere di queste cose. Comunque ora ho in cold crash una english ipa fermentata con saf-ale 04 che so’ essere un po’ generico e a molti non piace ma per questo stile penso ci possa stare e la birra sembra cristallina. Complimenti come sempre e alla salute!

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