Nelle ultime cotte ho adottato un nuovo approccio alla produzione, descritto nel dettaglio in un post precedente (link). Inizialmente era pensato per sperimentazioni acide, ma strada facendo ho iniziato a utilizzarlo anche per provare nuovi lieviti. Riassumendo, dimensiono la cotta per produrre qualche litro di birra in più che metto a fermentare in una damigiana, generalmente fuori dal frigo. Per queste fermentazioni scelgo lieviti particolari, selvaggi o batteri. Senza curarmi della ricetta del mosto (pensata per la fermentazione principale) né dello stile che ne deriva.
La birra che presento oggi e che che ho definito genericamente farmhouse ale va inquadrata nell’ambito di questo contesto sperimentale, quindi fuori da stretti parametri stilistici. Per approfondire cosa sia una farmhouse ale rimando all’ottimo articolo di BereBirra (link). Nel mio caso, ho utilizzato il WLP670 della White Labs, chiamato American Farmhouse Blend: un mix di un lievito saison e di alcuni ceppi di brettanomyces. Una miscela che mi ha sempre incuriosito ma sulla quale ho letto pareri contrastanti.
Il mosto viene dalla cotta della Irish Red Ale “Erin Go Bragh” (link) ed è caratterizzato da una buona dose di caramello. Anche se teoricamente poco adatto per una saison o farmhouse che dir si voglia, alla fine si è rivelato un buon terreno di sperimentazione. Con un po’ di fantasia, potremmo definire questa birra una Brett Saison Irish Red Ale.
IL LIEVITO
Sul sito della White Labs non si trovano molte informazioni di dettaglio, quindi occorre cercare altrove. La voce che gira sul web (link) è che questo singolare mix derivi direttamente dal birrificio americano Lost Abbey, guidato da Thomme Arthur e specializzato in produzioni belghe. Sarà vero? Mah, poco importa. Rimane comunque una miscela interessante e pronta all’uso.
Anche se i diversi ceppi vengono inoculati simultaneamente, come in questo caso, i saccharomyces si mettono al lavoro prima dei brett, consumando gli zuccheri semplici (saccarosio, glucosio, fruttosio e maltosio) e solo in parte gli zuccheri complessi (maltotriosio e destrine varie). Se il mosto non contiene una quantità sufficiente di zuccheri complessi, i brett non trovano granché da mangiare. L’assenza di cibo impedirebbe a questi simpatici microrganismi di dare un contributo organolettico significativo alla birra.
Fortunatamente, la ricetta della Irish Red Ale prevedeva mash a 67°C per produrre un pò di zuccheri meno fermentabili, in modo da irrobustire il corpo di una birra di per se’ poco alcolica e tendente a una consistenza watery. La versione “standard”, fermentata con S04, si è assestata su una FG di 1.016. Il fatto che questa versione, fermentata con WLP670, sia arrivata a una FG di 1.005 è un buon segno. Considerando però che i lieviti saison attenuano già di per se’ molto più dell’S04, non potremo mai sapere quanti zuccheri hanno effettivamente lasciato da mangiare ai brett. Posso anticipare che a mio avviso il carattere wild dei brett si sente in questa birra, quindi qualcosa da mangiare avranno trovato.
Contrariamente a quanto faccio di solito, per questa fermentazione non ho preparato uno starter. Le ragioni sono due. In primis, i litri da fermentare erano davvero pochi (5): le due fiale che avevo acquistato erano abbastanza giovani per potersela cavare anche senza starter. In secondo luogo, la preparazione di uno starter partendo da mix di lieviti e brett potrebbe variare il rapporto tra la densità di cellule dei diversi ceppi sbilanciando il profilo aromatico finale. Certo uno starter è inevitabile quando si fermentano volumi maggiori se non si vuole spendere un capitale in fiale. È anche probabile che un singolo step di starter non vari di molto il rapporto tra i diversi ceppi, ma è sicuramente una variabile da tenere in considerazione.
Non ho trovato informazioni affidabili sulla quantità di cellule di lievito presenti in questa fiala. So solo che, trattandosi di un mix di saccharomyces e brett, dovrebbe essere più basso dallo standard di 100 miliardi. Ho provato a inserire il numero di lotto nel sito della White Labs (link) ma la ricerca non ha dato alcun risultato. Da qualche parte (purtroppo non ricordo dove) ho letto che il cell count di questo mix al confezionamento si dovrebbe attestare sui 60 miliardi. Basandomi sulla data di produzione, ho stimato un cell count di 60 miliardi di cellule per le mie due fiale, più che sufficiente per fermentare 5 litri di birra con OG 1.046.
FERMENTAZIONE
Come ho già scritto, in questo tipo di esperimenti fermento senza controllo di temperatura. A inizio settembre a Roma faceva però ancora piuttosto caldo e ho preferito tenere la damigiana qualche giorno in frigo a 18°C insieme alla Irish Red Ale; questo per evitare la formazione eccessiva di fenoli (medicinale) e etilacetato (solvente), cosa che mi è successa con altri ceppi saison. Al terzo giorno di fermentazione ho tolto la damigiana dal frigo lasciando che la temperatura si allineasse a quella ambiente.
A distanza di poco più di un mese, la densità si è assestata a 1.006. È poi calata di un solo punto nelle ultime tre settimane e ho deciso quindi di imbottigliare. La fermentazione tumultuosa è durata un paio di settimane. Non si è formata mai una vera e propria pellicola, ma verso la fine (e soprattutto in bottiglia) ho notato un piccolo velo sulla superficie, segno che i brett stavano lavorando. Dopo ogni misura (e quindi dopo ogni apertura della damigiana) ho immesso un po’ di CO2 sopra al mosto, al fine di scongiurare la produzione di acido acetico che può verificarsi se i brett entrano a contatto con una eccessiva quantità di ossigeno per un lungo tempo.
Dato che la birra aveva passato più di due mesi nel fermentatore a temperatura ambiente (anche piuttosto alta nelle prime settimane), ho imbottigliando aggiungendo una piccola quantità di lievito da rifermentazione: (il CBC1 della Danstar, 0.05 grammi/litro). Mi sono tenuto su 2.3 volumi, utilizzando 6.5 grammi/litro di destrosio..
ASSAGGIO (3 settimane di bottiglia)
AROMA Mi ha stupito molto la pulizia: niente solvente né medicinale a sporcare l’aroma. Piuttosto intense le note fruttate che ricordano gli agrumi (pompelmo, lime, limone) ma anche frutta a polpa gialla (pesca). Lieve e composta la nota speziata, inizialmente evoca i chiodi di garofano ma presto vira sul pepe nero. In sottofondo emerge una venatura funky tra la frutta rossa e la frutta tropicale (molto, molto leggera). Stona un po’ il caramello/mou che arriva dalla base maltata, ma non così tanto da dare fastidio. La contrapposizione citrico vs caramello ricorda vagamente una american amber ale. Naso più che soddisfacente, forse il migliore tra le tante saison che ho prodotto.
ASPETTO Ovviamente identico a quello della Irish Red Ale, quindi ricopio 🙂 . Il cappello di schiuma è buono. Non è non molto persistente ma rimane sempre un piccolo velo bianco sulla birra, fino al termine della bevuta. Buono anche il lacing sulle pareti del bicchiere. Il colore è ambrato carico con riflessi rubini. Non è limpida, ma nemmeno eccessivamente torbida. La definirei velata.
AL PALATO Ritroviamo le caratteristiche dell’aroma: citrico, pompelmo, frutta a polpa gialla. Si avverte anche un leggero tropicale (ananas, passion fruit). Il caramello è forse leggermente più intenso rispetto all’aroma. Una volta tanto, l’amaro fenolico del lievito non cozza con l’amaro del luppolo, anzi: i due lavorano in simbiosi conducendo la bevuta verso un piacevolissimo finale secco. Da tenere a mente il rapporto IBU/OG pari a 0.54.
MOUTHFEEL Carbonazione leggermente bassa per lo stile ma piacevole. Corpo watery, più acquoso rispetto a quello della sorellastra Irish Red Ale (probabilmente per l’azione dei lieviti che hanno fatto scendere la densità di ben 11 punti). Astringenza sotto controllo.
CONCLUSIONI Posso affermare con piacere che il WLP670 American Farmhouse Blend mi è piaciuto parecchio. Lo riproverò sicuramente in una fermentazione ad hoc, con una ricetta pensata per lo stile. Fresco, pulito, ha fatto un ottimo lavoro. Citrico al punto giusto, non troppo fenolico, leggermente fruttato. La nota funky è la ciliegina sulla torta. Sarà interessante lasciar maturare questa birra qualche mese in bottiglia, per vedere se i brett riusciranno a caratterizzarla maggiormente.
Che spettacolo, è sempre un piacere leggere i tuoi articoli e mi viene sempre voglia di copiarti nelle tue produzioni;peccato che so già di non avere abbastanza pazienza per aspettare una fermentazione di due mesi e mezzo!…figuriamoci per la maturazione…
Ciao Simone, grazie! Anche per me è difficile trovare la pazienza, ragion per cui produco ormai quasi sempre 5 litri in più da mettere in damigiana e dimenticare per un pò mentre seguo la fermentazione principale nel frigo. 🙂
Comincio ad essere molto interessato anche a questi tuoi esperimenti… seguirti é un piacere.
Due domande: si presta per una fermentazione secondaria o non ha senso? Questo per evitare problemi di starter…
Per seguire invece la tua linea in fermentazione primaria, come potrei calcolare uno starter? A tuo giudizio qual’é il numero più attendibile di cellule attive all’initerno delle confezioni?
Grazie ancora una volta
In secondaria lavorerebbero principalmente i Brett del mix, ma potrebbe funzionare. Sul conteggio delle cellule non saprei, avevo trovato quei 60 miliardi per fiala ma non sono riuscito più a ritrovare la fonte. Prova a scrivere alla White Labs, di solito rispondono.
ciao Frank,
sono indeciso se usare il SAISON BLEND (o BLEND II) di YEAST BAY o il WLP 670 per brassare una saison “classica” (base Pilsner con una manciata di munich e wheat)…viene fuori tanto la “sella di cavallo / fieno” o conferisce solo una leggerissima acidità ???
Ciao Frank, articolo molto interessante. Sto per provare anche io per la prima volta questo lievito in una cotta da circa 20 litri finali. Ho visto il grafico della fermentazione. Come mai fai alzare la temperatura addirittura di 10 gradi(da 18 a 28) dopo un paio di giorni per poi abbassare? Io pensavo di fare un paio di gg. A 18/19 per poi salire sui 21. Troppo poco secondo te? Ancora complimenti per i tuoi esperimenti, buona giornata
Solitamente i lieviti saison vengono spinti molto in alto dopo i primi giorni di fermentazione per favorire l’attenuazione. In questo caso mi sono fatto aiutare dalla temperatura ambientem seguendone l’evoluzione (come c’è scritto anche nel post). Un saluto!
Ho appena effettuato il primo test col rifrattometro dopo 5gg di fermentazione. Da 1068 siamo a 1040 circa. La fermentazione è partita in poche ore e c’è stata una tumultuosa per 24 ore che ha portato il mosto fino a 22.8 gradi. Ora si è riassestato da qualche gg. Sui 21 gradi, che è la temperatura che ho impostato io(ho attivato solo il cavo riscaldante viste le temperature).
Volevo chiederti se mi consigli di aumentare un po’ la temperatura per far “risvegliare” un po’ il lievito oppure resto così e aspetto? Due tre volte al giorno premo il coperchio del fermentatore al massimo in modo da far uscire la co2 creata il più possibile, consigli di levare il gorgogliatore? Grazie mille, un saluto e buon beer weekend 🙂
Per la temperatura ti consiglio lo schema che ho riportato nel post, perché nel mio caso è andato benissimo. Non c’è bisogno di spingere sul tappo, non credo che abbia alcun effetto pratico. A me questo mix di lieviti e batteri non ha dato problemi di stallo, quindi non ho tolto il gorgogliatore.
Perfetto ti ringrazio, vedrò di alzare un po’ i gradi