Già so che con questo post mi tirerò addosso le critiche dei puristi dell’homebrewing, ma non importa. Non è la prima volta, e non sarà nemmeno l’ultima. Chi segue il blog sa che sono un tipo che si documenta e che cerca di fare le cose per bene, nei limiti del possibile. Ciò non toglie che l’homebrewing rimane per me un hobby (non l’unico tra l’altro) e come tale deve anzitutto essere un divertimento. Con il passare degli anni, mi sono reso conto che spendere più di otto ore dietro a una cotta, con l’ansia di fare tutto per bene, iniziava ad allontanarsi dal mio concetto di divertimento. Volevo produrre più birre più spesso, ma non riuscivo mai a trovare il tempo per farlo. A quel punto ho deciso di ridurre al minimo lo sforzo, cercando allo stesso tempo di mantenere le birre prodotte al livello più alto possibile.
Diciamo che mi ritrovo molto nella filosofia del mitico homebrewer americano Denny Conn:
the best beer possible while having the most fun possible while doing the least work possible
In linea con questa filosofia, nel post di oggi propongo alcuni consigli che ho messo in pratica per ridurre i tempi di produzione. Alcune possono sembrare piccole sciocchezze, ma nel bilancio complessivo hanno fatto la differenza. Lo dico subito: non ho fatto test comparativi alla cieca tra le birre prodotte in un modo o nell’altro; questo sarebbe bastato, da solo, a togliere qualsiasi componente ludica a questo hobby. 🙂 Diciamo che nel complesso non ho avvertito un calo di qualità evidente, e questo mi basta.
Attenzione, non voglio dimostrare nulla: quelle che seguono non sono verità universali, rappresentano solo il mio pensiero e soprattutto riflettono la mia esperienza pratica. Alcuni passaggi vanno contro i “principi della scienza”, il che non significa che questi non siano validi. Il punto, secondo me, è che ogni nozione va ben contestualizzata e analizzata nel rapporto costi/benefici. Se fare un certo passaggio è opportuno in birrificio per ragioni di ottimizzazione della produzione o per garantire una certa stabilità al prodotto finito, non è affatto detto che lo sia anche in casa. In questo ambito, la stabilità del prodotto (shelf-life) e la massimizzazione dell’efficienza non rappresentano obiettivi primari. Almeno per quanto mi riguarda.
Per me hanno molto più valore la pratica e l’esperienza (leggi: fare tante birre). Se non trovo il tempo materiale per fare le cotte, o non mi diverto nel farle, il resto conta zero. Oggi riesco a concludere una cotta in 4 ore e mezza e imbottigliare in poco più di un’ora, pulizie comprese. Le birre che produco mi piacciono, e mediamente piacciono anche alle persone che le assaggiano (homebrewers, amici, parenti, birrai, giudici). Ovviamente per i molti che non hanno assaggiato le mie birre, le parole contano poco. Che dire: nel blog ho sempre raccontato tutto quello che ho fatto (successi e insuccessi), ognuno è libero di pensarla come vuole. Di credermi oppure no. Non mi offendo.
Ora basta chiacchiere: partiamo.
LA MALEDETTA SACCA
I puristi storcono sempre il naso quando si parla di BIAB (Brew In A Bag). Per la mia esperienza, la maggior parte delle parole negative spese su questo metodo sono frutto di pregiudizi (link). Lo trovo invece un approccio valido che semplifica molto la giornata di cotta senza influire in maniera significativa sul risultato finale. Grazie al BIAB, la mia attrezzatura occupa a malapena uno scaffale dell’armadio nel ripostiglio e le mie cotte durano al peggio 5 ore, pulizie comprese.
BOLLITURE BREVI
Lo so, lo so: la letteratura insegna che solo una bollitura di 90 minuti riesce a volatilizzare l’80% dell’aroma di DMS, un difetto sgradevole che caratterizza la birra con aroma di mais in scatola o verdure bollite. Questo è sicuramente vero per i birrifici, quando si fanno bollire ettolitri di mosto; diverse le dinamiche nelle nostre bolliture casalinghe, dove difficilmente arriviamo al mezzo ettolitro. Non avendo trovato mai la minima traccia di DMS nelle mie birre, ho iniziato ad accorciare le bolliture a 60 minuti (anche quelle delle basse fermentazioni, dove il DMS può essere più evidente per via dell’utilizzo di malto pilsner poco tostato e dei delicati equilibri organolettici di questi stili). Nessuna traccia di DMS rilevata a oggi, né da parte mia né da parte di amici homebrewers o giudici che hanno assaggiato le mie birre. Sul tema consiglio di leggere questo esperimento nel blog Brulosophy. Non dico di bollire 30 minuti (la bollitura da 60 porta anche altri benefici), ma bollire 90 minuti non è probabilmente necessario nella maggior parte dei casi.
MONOSTEP MASH
Per beneficiare degli (eventuali) effetti positivi di un mash multistep, bisogna sapere bene quello che si sta facendo. Dovremmo conoscere nel dettaglio il lotto di malto che abbiamo tra le mani, disporre delle analisi di laboratorio ed essere in grado di leggerle. Chi produce birra in casa raramente dispone di queste informazioni e ancora più raramente è in grado di interpretarle. A che pro allora perdere tempo davanti alla pentola alzando la temperatura ogni dieci minuti, con il rischio di sbagliare e di fare danni? Posso capire un protein rest “veloce” in fase di mashin (che io non faccio comunque), ma tutto il resto secondo me sono sottigliezze di cui si perde il senso strada facendo. Meglio scegliere una temperatura di mash e lasciar andare per un’ora senza troppe preoccupazioni.
MASH AUTOMATIZZATO
Non sono un fan dell’automazione, ma il controllo del mash con il PID ha dato una svolta alle mie giornate di cotta. Indubbiamente è possibile tenere la temperatura accendendo e spegnendo il fornello, ma un controllo automatico toglie qualsiasi ansia e ti permette di fare altro durante i 60 minuti di mash: iniziare a preparare i fermentatori, pulire il mulino, stare un po’ con la famiglia, iniziare a preparare il pranzo e via dicendo. In alternativa, si può isolare la pentola e tenerla chiusa senza controllo della temperatura per l’intera durata del mash: un metodo più economico che offre lo stesso livello di libertà e tranquillità (la lieve discesa dalla temperatura non influisce particolarmente sul profilo di mash).
PESARE GLI INGREDIENTI PRIMA
Può sembrare una stupidaggine, ma diverse volte mi è capitato di pesare male gli ingredienti per via della distrazione (o di rendermi conto che mi mancava un luppolo la mattina stessa della cotta). Da quando ho acquistato la macchina per il sottovuoto, peso luppoli e malti qualche giorno prima della cotta, con calma e attenzione appena ho un po’ di tempo libero. Poi metto tutto sottovuoto e il giorno della cotta apro e butto in pentola.
NON REIDRATARE IL LIEVITO SECCO
Tema controverso, questo. Lo so che Chris White nel suo libro consiglia di reidratare il lievito secco, pena una moria delle cellule. Non dico che questo non sia vero, figuriamoci, ma nel tempo mi è sembrato che la reidratazione non apportasse particolari benefici alle mie birre. Per questa ragione nelle birre con bassa OG, dove la pressione osmotica che mette sotto stress il lievito secco è più bassa, tendo a non reidratare. Per birre con OG più alta (diciamo sopra i 6% ABV), idrato. Dici: vabbè, ma quanto tempo vuoi risparmiare così? Non molto, lo so, ma mi tolgo dalle balle un’altra cosa a cui pensare. Che poi, lo stesso Chris White nel medesimo testo (qualche riga più in basso), dice che una reidratazione condotta male (per esempio non controllando bene la temperatura dell’acqua o lasciando il lievito in acqua per troppo tempo) potrebbe portare più conseguenze negative della non reidratazione. Morale: non sto dicendo che la reidratazione non serva, ma che io a volte non la faccio per le ragioni di cui sopra. Punto.
NIENTE TRAVASI INTERMEDI
Vabbè, non lo ripeto nemmeno più. 🙂 Il famoso post della controversia lo trovate sempre online (link). Dici: vabbé, ma che ci vuole a travasare? Per un maniaco della pulizia e sanitizzazione come me, tra un passaggio di candeggina e un lavaggio, ci metto poco meno di un’ora. Se in quell’ora posso fare altro, sono ben felice. Inoltre, evito anche possibili rischi di infezioni e ossidazioni (che non sono altissimi se si fanno le cose per bene, sia chiaro).
SANITIZZARE CON LA LAVASTOVIGLIE
Una delle principali ragioni per cui produco solo 10 litri di birra a cotta: le bottiglie entrano comodamente nel ripiano inferiore della lavastoviglie, a testa in giù. La sera precedente al giorno dell’imbottigliamento le carico e faccio partire un lavaggio a 70°C senza detersivo. Il giorno dopo mi alzo, travaso, apro la lavastoviglie, poso il fermentatore sul ripiano superiore e imbottiglio. Le bottiglie sono bell’e pronte (il vapore caldo del ciclo della lavastoviglie, senza sapone, è sufficiente per ridurre al minimo la carica batterica) ed eventuali gocce di mosto cadono direttamente sul pannello interno della lavastoviglie. Ulteriore tempo risparmiato.
In un prossimo post, invece, parlerò delle pratiche che purtroppo non sono riuscito a modificare, accorciare o eliminare, senza che il prodotto finito ne risentisse. 🙂
Ciao,
quando dici che non reidrati il lievito per birre con OG sotto i 6 gradi, intendi gradi Plato e quindi una densità di circa 1.024? Quindi sarebbe un metodo adottabile più che altro per birre molto “leggere” tipo Berliner weisse e simili, giusto?
Grazie. 🙂
No, no: ho scritto male (ora ho corretto). Intendendo sotto i 6 gradi ABV (quindi, più o meno, sotto 1.060 di OG).
Al solito un piccolo contributo personale. Premetto che mi trovo perfettamente con quanto riportato nell’articolo, il contributo verte sul fatto che la cosa che mi “stressa” di più è l’imbottigliamento, la sanitizzazione delle bottiglie etc. per cui da un po’ di tempo a questa parte ho deciso di usare keg, quelli da 9, da 18 o anche meglio i barilotti da 5, certo c’è un po’ di spesa da fare perché anche recuperando i keg usati la spesa non è poca ma vuoi mettere ridurre l’imbottigliamento e pulizia a poco meno di un quarto d’ora? Complimenti come sempre per il sito e un saluto
Verissimo! L’utilizzo dei keg è nei miei piani… prima o poi. 🙂
Ragazzi, il futuro è il forno. Sciacquo le bottiglie appena bevute, chiudo con stagnola e la sera prima ficco tutto in forno a 180° per 20′. Poi lascio raffreddare… Le mi cotte ora sono di 20L perché in forno mi ci stanno 40 bottiglie da 0,5L
Per ora è sempre andato tutto bene…
Sì, è indubbiamente buona alternativa. Lasci un pò di acqua all’interno, sì? Perché il calore secco non è efficace quanto il calore umido.
in caso di dry hop, travasi?
Raramente. Da un lato sarebbe meglio travasare (o spurgare) perché il lievito può interferire con il dry hopping. Però è anche vero che travasando si introduce inevitabilmente ossigeno, che pure interferisce con l’aroma di luppolo. Al solito, tutto è nel compromesso. A volte travaso, altre no. Ma è anche vero che faccio poche birre super luppolate.
Come sempre sono d’accordo col 99,9% di quello che scrivi. Faccio BIAB esattamente come fai tu e con risultati accettabili.
Io, l’avrò scritto e ripetuto centinaia di volte, penso che i detrattori del BIAB siano quelli che si sono arresi dopo una o due cotte con quel metodo. Non so se ricordi le tue prime cotte BIAB, ma sicuramente saranno state mezzi disastri (o almeno le mie lo erano). Poi col tempo, insistendo, si arriva a fare birre decenti e ora come ora anch’io in 4 ore faccio birre migliori di amici all-grainer che ci perdono giornate intere.
L’unico “limite” che vedo nel BIAB è il rapporto acqua/grani. In realtà non mi ha mai dato problemi, ma ne vedo l’unico dettaglio che differenzia questo metodo da una produzione da birrificio.
Per il resto anch’io non reidrato i secchi (in realtà quando posso uso solo US05 secco, per tutto il resto uso quasi sempre i liquidi con starter), faccio monostep (salvo rari casi), faccio bollire 60 minuti ecc ecc…
L’unico punto su cui divergo è il travaso. Non essendo maniaco della pulizia e sanitizzazione come te, ci metto veramente poco a travasare (tra l’altro lo faccio col sifone e tolgo tutto il fondo senza problemi), quindi continuo a farlo, se non altro per quelle birre che richiedono tanta limpidezza o dry-hopping. Di contro ora ho in fermentazione una porter che non travaserò.
Sul fatto della lavastoviglie mi hai dato uno spunto interessantissimo. Sicuramente provero’ imbottigliando la prossima cotta. Punto a fare cosi’, riempire la lavastoviglie a mezzogiorno con le bottiglie, lanciare il ciclo di lavaggio e, alle 18.30 quando torno dal lavoro, prendo su e imbottiglio. Bella bella idea… lo faro’ sicuramente.
Secondo me (e stando a quello che ho letto) la diluizione del mash non da in realtà grandi problemi. Molte delle controindicazioni del mash diluito che si leggono in giro sono vere in principio, ma secondo me hanno effetti decisamente trascurabili su piccoli volumi. Forse la controindicazione maggiore, come ho scritto nel post che ho linkato, è la stabilità organolettica minore dovuta al mosto torbido (e ricco di acidi grassi) che si porta in bollitura. Il che non significa necessariamente torbidità, ma può creare problemi di stabilità organolettica.
Secondo me il travaso non aiuta quasi per nulla la limpidezza se si fa cold crash e si travasa con sifone prima di imbottigliare. Comunque anche io travaso nel caso di dry hopping pesanti, cosa che accade di rado. 🙂
Ciao Frank, ma per quel che riguarda la sanitizzazione delle bottiglie, con la la lavastoviglie o il forno, imbottigliate poi direttamente oppure fate comunque un passaggio con avvinatore e in questo caso il prodotto da voi usato? Sarebbe una bella rogna in meno quella di dover usare scovolino, risciacquo e poi successivamente la soluzione sanitizzante…
Imbottiglio direttamente. Vapore e temperatura nella lavastoviglie sanitizzano già, non serve altro.
Ciao, sono d’accordo su quasi tutto tranne che per i volumi, io produco 45 litri a cotta con 3 pentole a gas, perché preferisco fare 6/8 ore di cotta una volta ogni 1/2 mesi piuttosto che farne meno litri più frequentemente, ma questo penso sia questione di organizzazione e di approccio più che altro. Se c’è qualcosa che veramente esce fuori da questo post è che l’organizzazione del lavoro è indispensabile per rendere la cotta il più piacevole possibile, infatti io preparo le cose da mercoledì per la cotta che faccio il sabato, un giorno faccio questo un giorno faccio quello in modo da arrivare alla cotta che devo solo mettere i grani in infusione.
Vorrei aggiungere qualcosina per far risparmiare tempo a chi come me usa il gas: mentre si fa lo sparge accendere il fuoco sotto il boil appena ha raggiunto un livello accettabile, in modo che quando lo sparge è finito ci si trovi un mosto gia a 80° o più; le prime birre tempo che finivo di fare lo sparge mi trovavo il mosto sotto i 40° e il temo per far bollire diventava lungo, attenti alla potenza del fuoco però, non vogliamo rischiare di far carammellare la birra.
Adesso faccio la birra in modo che il mash inizi a l’una cosi mi metto a tavola con gli amici e le fidanzate per mangiare, e fare la birra è diventata una festa e non uno stress, un occasione in più per stare insieme e assaggiare i risultati; anche per questo faccio 6/8 ore di cotta.
Ancora una volta non posso che essere d’accordo con te caro Frank…
Anche per me il concetto principale è ridurre al minimo lo sforzo e sopratutto il tempo perso a girare una manopola quando lo può fare qualcun altro…
Sono partito da un impianto Biab automatizzato ed in 5 ore facevo una cotta da 20 litri con attrezzatura pulita.
Da un anno ho un impianto herms da 50 litri in sala attrezzata in casa riuscendo a fare la cotta (a uomo presente) dalle 20.30 alle 23.30 (con tutto lavato). Tutte le fasi di mash si svolgono mentre controllo da remoto l’impianto e nel frattempo posso cenare e stare con la famiglia 🙂
Semplificando tutto il processo e seguendo molti dei tuoi consigli, per me fare la birra è un hobby che riesce ad incastrarsi perfettamente con le mie altre passioni e sopratutto con i miei pargoli… e direi con dei risultati più che soddisfacenti 😛
Grande Frank! Come sempre condivido quello che scrivi .
Aggiungo che ora che sono passato al BIAB è diventata una droga…
Ti volevo chiedere una tua ulteriore opinione sul protein rest quando si usano grosse percentuali di fiocchi o grani non maltati.
In particolare sto per fare una saison con il 33% di fiocchi di farro che è tra i cereali quello che ha la percentuale più alta di proteine (ho letto fino al 17%). Il resto sarà pilsner.
Secondo te può essere utile farlo? l’unico problema che posso avere è del chill haze?
Ciao
Ciao Giuseppe, non saprei dirti con certezza. In questo caso credo sia meglio fare per sicurezza una decina di minuti nel range alto del protein rest (diciamo intorno ai 55C). Ma non ho mai usato il farro né sono un esperto del protein rest (come sai), quindi prendi questo consiglio con le pinze. Il problema principale è chill haze e resa minore nel mash (con il BIAB non abbiamo problemi di stuck sparge).
ho fatto da poco una cotta con 10% farro e 10% avena, ho fatto protein rest a 54° per circa 20 minuti, e il risultato in bottiglia dopo un mese è di lievissimo chill haze, direi più che accettabile su una birra di questo tipo. se punti alla limpidezza 20 % sono già impegnativi.
Comunque per mi esperienza il chill haze tende a ridursi col tempo se la birra sta molto al fresco (intorno ai 10°) avviene una sorta di lagerizzazione in bottiglia.
ci vuole tempo, minimo 4-5 mesi, quindi dipende dal tipo di birra che intendi fare.
Se è da bere fresca, vai di protein rest ma non aspettarti miracoli 🙂
Concordo con tutto ma vorrei aggiungere la mia esperienza in fatto di automazione. Sicuramente il pid aiuta moltissimo, ma ancora di più aiuta un sistema tipo Ardibir (ho appena letto il tuo post su SmartPid, che è ancora meglio), non solo perchè permette la gestione dall’inizio alla fine della cotta ma manche perchè permette la partenza ritardata. Io la sera prima imposto la ricetta, inserisco la sacca e l’acqua e vado a dormire. La mattina dopo, quando alle 6 arrivo al garage, l’acqua gia è a temperatura pronta per il mash in. Questo mi ha fatto risparmiare un sacco di tempo
Ciao a tutti
Ciao Frank,per quanto riguarda il sanificazione in lavastoviglie delle bottiglie capisco l’esclusione del detersivo,ma ho qualche perplessità su eventuale residuo del brillantante….o non lo metti nella lavastoviglie? Grazie
Non lo uso.
Buongiorno Frank. Sono un totale neofita, che si documenta (e ti segue) da parecchio, ma che è partito solo con il lockdown, ad oggi tre cotte tutte da kit (totale neofita, appunto) ma che si sta attrezzando per passare ai grani.
Ho letto questo tuo articolo molto interessante sulle semplificazioni del processo, in particolare mi ha interessato il punto in cui dici che si può scegliere di fare un monostep lasciando in infusione i grani nella pentola con fuoco spento per la durata del mash, dal momento che il lieve calo di temperatura non influisce sulle proprietà organolettiche del prodotto finito.
Ho visto alcuni video di un ragazzo che pratica per piccole produzioni quello che lui chiama il “metodo tradizionale”, in cui opera come dici tu, ma lasciando poi in infusione i grani tutta la notte per riprendere poi al mattino con lo sparge e la successiva bollitura e luppolatura del mosto. Al di là di alcuni passaggi del suo procedimento che possono sicuramente essere migliorati (mi viene in mente la filtrazione delle trebbie ad esempio, non farla con un colino ma in un contenitore con bazooka e rubinetto per dirne una), mi farebbe piacere avere un tuo parere sincero: quali effetti collaterali potrebbero esserci nel lasciare i grani in infusione per sette-otto ore a temperatura via via calante, (al di là del maggiore tempo necessario poi al mattino per portare in bollitura il mosto dopo lo sparge)? Perché per fare piccole produzioni di prova mi sembrerebbe un metodo meravigliosamente semplice e comodo…
Grazie mille
Alcuni lo fanno, e in genere funziona. Il problema è che è difficile controllare la fermentabilità, perchè in un arco di tempo così lungo gli enzimi continuano a lavorare e alla fine hai mosto più fermentabile. Inoltre c’è il rischio che i batteri presenti sui grani producano acido lattico e off-flavours nel frattempo. In genere non fanno in tempo, ma il rischio non è zero.
Perfetto, grazie mille per la risposta, mi hai chiarito la questione. Un’opinione ragionata è quello che cercavo, perché più che altro ero incappato in commenti di nazi-puristi che infamavano il procedimento senza spiegarne il motivo, a parte evidenti pregiudizi…
Grazie ancora, alla prossima
Frank, una domanda, ma la lavastoviglie, la usi solo per le bottiglie? Perchè io ho provato codesto modo, ma mi sembrava di sentire il profumo del brillantante…. Magari era una mia paranoia…
Io adesso le passo in forno quando ne ho una carica, e le tappo.
Stappo e imbottiglio, per ora non ho avuto problemi, sono già 4 volte che uso questo metodo.
Per il monostep, anche io sono un fautore del biab in mono. io di solito faccio tutto tra i 68 72 gradi… un po’ ballerina non precisa perchè per ora uso un fornello e non la resistenza, appena riesco a comprare una resistenza elettrica passerò all’elettrico per il mash e la bollitura a gas… o addiruttura tutto elettrico.
Premesso che per i lavaggi classici in lavastoviglie non aggiungo brillantante ma uso detersivi liquidi o pastiglie (anche se credo lo abbiano dentro), non mi ha mai dato problemi sulle bottiglie in vetro. La sanitizzazione prima di riempirle però la faccio con ciclo solo con acqua a 75°C, senza detersivo. Che invece uso quando le metto dentro insieme ai piatti dopo aver bevuto la birra, ma poi le lascio asciugare diversi giorni prima di tapparle da asciutte e riporle. È probabile che poi il ciclo di sanitizzazione e lavaggio senza detersivo aiuti nel rimuovere gli odori. In genere poi la plastica ssorbe più gli odori, tant’è che per conservare il cibo non uso da tempo i contenitori in plastica ma quelli in vetro, perchè alcune volte avvertivo aromi da residui di detersivo.