Sebbene da diversi anni utilizzi con soddisfazione la contropressione, ogni tanto si ripresenta il dilemma: rifermento o non rifermento? Questo accade soprattutto per le birre belghe e inglesi.

Premetto che la mia motivazione non è risparmiare tempo. È vero che carbonando tramite valvola di spunding o forzatamente si risparmia qualche giorno di rifermentazione, ma parliamo di inezie. Passata l’euforia delle prima cotte, non è che avere la birra frizzante due o tre giorni prima mi cambi la vita.

Il dilemma – almeno nel mio caso – non è sui tempi. C’è dell’altro.

Perché rifermentare?

In molti risponderebbero che certe birre vanno rifermentate e basta. Perché si è sempre fatto così e ancora oggi si fa così. La Saison Dupont in contropressione? Un’eresia! Ed è vero, probabilmente. Però.

Andando a ricercare le motivazioni scientifiche, si fa fatica a individuare articoli o approfondimenti che spieghino scientificamente cosa cambi nella birra durante la rifermentazione. Davvero una fermentazione in pressione – perché questo è la rifermentazione – può avere un impatto significativo sul profilo organolettico? Il lievito si moltiplica così tanto in bottiglia? Ricordiamo che sta consumando quei pochissimi punti di densità che mediamente aggiungiamo con lo zucchero di priming.

Non lo so. Può darsi. C’è chi giuria e spergiura che sia così.

Nel mio piccolo, ho fatto qualche prova ma non ho notato differenze eclatanti tra birra carbonata forzatamente e birra rifermentata. C’è da dire che non sono stati test alla cieca eseguiti per bene. Tutt’altro: ho preso due bicchieri, ho chiuso gli occhi e ho assaggiato. Lasciano il tempo che trovano. Ma vale lo stesso per chi sostiene il contrario, confrontando la birra che sta bevendo con il ricordo che ha – nella sua testa – della stessa birra (o peggio di una simile) carbonata forzatamente e prodotta un anno prima. Validità del test: zero.

Olivier Dedeycker spiega i benefici della rifermentazione in orizzontale della Saison Dupont

Facciamo che però mi fido.

Con gli anni ho imparato a confidare nelle pratiche che vengono tramandate come tradizioni birrarie secolari e che ancora oggi sono seguite con convinzione da centinaia di birrai in tutto il mondo. Anche in assenza di solide evidenze scientifiche. Quindi, ok: la rifermentazione, in alcuni casi, è parte integrante del profilo organolettico della birra. Ci sto. Tradizionalisti: avete vinto.

Veniamo invece alle ragioni pratiche che spingono alcuni birrai a passare per la rifermentazione, in questo caso fondate su basi più solide:

  • è più semplice rispetto al trasferimento in bottiglia in isobarico
  • perdona errori di imbottigliamento e protegge – in parte – dall’ossidazione
  • rende molto più semplice la gestione di carbonazioni molto alte

Gli ultimi due punti, insieme al rispetto della tradizione – in particolare per il mondo belga -, sono quelli che mi hanno portato a scrivere questo post.

L’esempio della Duvel

Quando una birra deve essere molto carbonata, come quasi tutte le birre belghe, la rifermentazione in bottiglia aiuta a raggiungere i volumi desiderati senza particolari problemi.

Usando la valvola di spunding a fine fermentazione, per raggiungere 3 volumi di anidride bisognerebbe applicare una pressione di 2.45 bar (35 psi) se la birra sta fermentando a 20°C. Con il classico Fermzilla siamo già al limite di tenuta.

Anche se carbonassimo forzatamente durante il cold crash in un keg a parte, sarebbe molto difficile spillare la birra senza produrre un eccesso di schiuma che porterebbe a immediata desaturazione nel bicchiere con perdita dei benefici dell’alta carbonazione. Bilanciando a dovere la linea di spillatura si potrebbe riuscire nell’impresa, ma servirebbero competenze specifiche e probabilmente una linea a parte per spillare birre molto carbonate. Scomodo e non immediato.

Trasferirla in lattina a queste carbonazioni è praticamente impossibile, sempre per via dell’eccessiva produzione di schiuma. Spostarla in una bottiglia in pressione sarebbe fattibile, ma anche in questo caso si rischierebbero fontane di schiuma al momento della tappatura.

Insomma, un bel casino. Non impossibile, intendiamoci, ma con qualche rogna non da poco.

La Duvel, l’iconica Belgian Golden Strong Ale belga, è carbonata a 4.3 volumi. Come racconta Brendán Kearney (Belgian Smaak) in questo articolo pubblicato su Beer & Brewing, la Duvel fa montare ai publican un impianto bilanciato appositamente per spillare la birra dal fusto.

Per imbottigliare, la Duvel applica a un metodo calibrato negli anni: la birra arriva in bottiglia parzialmente carbonata per poi rifermentare fino a raggiungere i volumi desiderati. Viene aggiunto lievito al momento dell’imbottigliamento insieme allo zucchero di priming, in quantità precise per beneficiare degli effetti della rifermentazione citati prima senza avere troppo lievito sul fondo. La birra già parzialmente carbonata aiuta a tappare sulla schiuma riducendo drasticamente il problema dell’aria che rimane nel collo della bottiglia.

Mi è sembrato un approccio molto sensato che ho voluto replicare in casa.

 

Rifermentazione parziale in casa

Per prima cosa lascio fermentare e maturare la birra nel keg per il tempo necessario. Nel caso di Tripel o Belgian Golden Strong Ale, in genere sposto la birra in un keg saturato di anidride carbonica quando la fermentazione è finita e lascio maturare a temperatura ambiente (20-25°C) per un mesetto.

Questo permette alla birra di assestarsi e al lievito di consumare gli eventuali ultimi punti di densità. Il keg è chiuso, senza blow-off, l’eventuale anidride carbonica prodotta in questa fase andrà a contribuire alla carbonazione finale della birra.

Durante questo periodo di maturazione, ogni tanto controllo la pressione del keg con un manometro. L’obiettivo è avere una pressione che porti a una carbonazione di circa 1.8-2.0 volumi. Se va oltre, sgaso. Se non ci arriva, inserisco altra anidride carbonica con la bombola fino ad arrivare alla pressione – e alla carbonazione – desiderata.

Dopo la maturazione, a volte passo per il cold crash per pulire e stabilizzare ulteriormente la birra, specialmente nel caso di Tripel o Belgian Golden Strong Ale. Altre volte, quando ho in produzione Barley Wine e Imperial Stout, imbottiglio direttamente dopo la maturazione in keg senza passare per il cold crash. Questo per due ragioni:

  • le birre inglesi ad elevato grado alcolico passeranno ancora molti mesi a temperatura ambiente una volta imbottigliate, inutile farle passare per il cold crash
  • la temperatura più alta in fase di imbottigliamento rende più facile la produzione di schiuma al momento dell’applicazione del tappo per questi stili che raggiungono una carbonazione molto più bassa.

Le belghe chiare tendo invece a tenerle in frigo per la maturazione in bottiglia perché sono molto più delicate.

Per imbottigliare uso il comodissimo iTap senza pompa da vuoto. In questo caso lo trovo davvero ideale, visto che la rifermentazione parziale dovrebbe proteggere dall’eventuale bassa dose di ossigeno che si solubilizza durante il riempimento della bottiglia. Nel caso di imbottigliamento di birre luppolate che non rifermento, preferisco usare l’asta cinese che satura e riempie la bottiglia dal basso.

Il setup è lo stesso che utilizzo per imbottigliare birra già carbonata. Le due soluzioni di priming le aggiungo dopo aver riempito la bottiglia. Il getto che esce dalla siringa aiuta a formare la schiuma che mi permette di tappare senza lasciare aria nel collo della bottiglia. In alcuni casi scuoto la bottiglia su un tappetino di gomma per far salire la schiuma.

Come si fanno i calcoli per le soluzioni di priming?

Ipotizziamo di avere la nostra birra in un fusto nel frigo a 5°C. Sul manometro leggiamo una pressione di  0.35 bar (5 psi). Dal calcolatore online di Brewer’s Friend la birra risulta carbonata a 1.8 volumi. Perfetto.

Per arrivare a 3 volumi mancano 1.2 volumi. Questi li andremo a produrre con la rifermentazione. 

Per valutare quanto zucchero utilizzare nella soluzione di priming, ci possiamo aiutare con i calcoli che trovate in un vecchio post. Ricapitolando:

  • 1 punto di densità in bottiglia fa aumentare la carbonazione di 0.65 volumi
  • a noi serve aggiungere 1.2 volumi, quindi 1.2/0.65=+1.85 punti di densità in bottiglia
  • un grammo di destrosio aggiunge 0.35 punti di densità (lo zucchero 0.384)
  • per la soluzione di priming ci servono 1.85/0.35=5.3 grammi di destrosio. Se usassimo zucchero da tavola, ci servirebbero 1.85/0.384=4.8 grammi di zucchero

Per diluire opportunamente lo zucchero nella soluzione di priming che poi andremo a dosare bottiglia per bottiglia, è sufficiente farsi due conti o usare un calcolatore già impostato per lo scopo. Ne creai uno qualche tempo fa nel file Excel che trovate in quest’altro post.

In genere aggiungo anche del lievito in ogni bottiglia, non indispensabile se si imbottiglia la birra subito dopo un veloce cold-crash di una quindicina di giorni.

Sciolgo il lievito secco in una soluzione di acqua e lo inserisco bottiglia per bottiglia. La soluzione la preparo a parte rispetto a quella di priming per evitare un possibile stress osmotico dovuto alla alta concentrazione di zucchero. Come dosaggio per il lievito, mi oriento su 0.03-0.04 g/L. Dopo averla aperta, rimetto la bustina sottovuoto e la riutilizzo per un po’ di volte. Dopo qualche mese la butto, anche se è rimasto del lievito.

Le birre belghe in genere le rifermento con T58, le inglesi con CBC-1 della Lallemand o F2 della Fermentis.

Ecco le due soluzioni pronte, in due vasetti diversi con due siringhe di dosaggio.

Esempio pratico

Partiamo dal dato di partenza, ovvero i 5.3 g/L di destrosio necessari per aggiungere 1.2 volumi in bottiglia. Ipotizzando di preparare una soluzione 50% acqua e 50% zucchero, e dovendo imbottigliare in questo esempio 3,3 litri in totale (0,33 L x 10 bottiglie), a occhio serviranno circa 5.3×3.3=18 g di zucchero.

Impostiamone 20 g nel file per non stare risicati nelle dosi e aggiungiamo 20 ml di acqua per fare una soluzione 50/50 di acqua e zucchero. Possiamo pesare il tutto (compresa l’acqua) con il bilancino di precisione dei luppoli. Il file calcola un dosaggio di 2,8 ml di soluzione per bottiglia da 0,33 L. Volendo, per comodità, potremmo arrivare a 3,0 ml tondi tondi aumentando un po’ l’acqua della soluzione.

In genere preparo sempre la soluzione di priming al 50/50, ma si possono variare le dosi di acqua e zucchero a piacimento. Varierà in automatico la dose calcolata per ogni formato di bottiglia. Occhio a non farla poco diluita perché altrimenti diventa difficile aspirarla con la siringa.

Per quanto riguarda la soluzione di lievito, abbiamo detto che serviranno 0.03 g/L di lievito. La diluizione della soluzione del lievito la scelgo arbitrariamente, cercando di ottenere un dosaggio per bottiglia misurabile con facilità. In questo caso, idratando 0.15 g di lievito in 15 ml di acqua (uso acqua da una bottiglia nuova) ottengo 15 ml di soluzione con dosaggio di 1 ml di soluzione per ciascuna delle 10 bottiglie da 0,33 L.

In conclusione

Potrebbe sembrare tutto molto complicato, ma vi garantisco che ci si prende presto la mano. E i risultati mi sono sembrati davvero ottimi, oltre al sollievo di poter finalmente utilizzare l’iTap senza patemi d’animo per l’ossidazione.

Nelle birre molto carbonate, come gli stili del Belgio, è più semplice dividere il livello di carbonazione target tra fusto e bottiglia. Per le inglesi, invece, dove spesso si arriva a malapena a 2 volumi in totale, bisogna andare un po’ di fino. In questi casi, consiglio di imbottigliare la birra a temperatura ambiente per una più agevole gestione della carbonazione in fusto (leggere decimi di bar sul manometro quando la birra è in frigo, è dura) e per una più facile produzione di schiuma quando si deve tappare la bottiglia.

7 COMMENTS

  1. Ciao Frank. Io lavoro totalmente non in contropressione, ma ho iniziato a tenere il fermentatore (un atmosferico in inox troncoconico) leggermente in pressione (1-2 psi) per poter gestire fermentazione e cold crash senza avere mai aria che entra nel fermentatore. La qualità della birra che arriva al momento dell’imbottigliamento è molto migliorata, ma qui sta il problema: come minimizzare l’ossidazione al trasferimennto in bottiglia.
    Imbottiglio con asta travaso dal fondo del fermentatore e sciroppo di destrosio inoculato tramite siringa, questo però non fa generare significativa schiuma per tappare su di questa. Come posso ottenerla facilmente a tuo parere? Usare una soluzione acqua e zucchero non sotto forma di sciroppo ma non zucchero in grani potrebbe migliorare la schiumatura? Ultima cosa: la produzione di schiuma in quella fase potrebbe far diminuire, i volumi già presenti di co2 disciolti nella birra?

    Grazie!

    • Ciao Giorgio, effettivamente non è facile far schiumare la birra se non si usa un contenutore che possa tenere una certa pressione. Inoltre, se le bolle non sono belle fini, lo sforzo diventa abbastanza inutile.

      Nel tuo caso puoi fare due cose: 1) riempire le bottiglie praticamente fino all’orlo. Non è difficile, con l’asta di imbottigliamento di riesce facilmente premendo l’estremità sulla parte interna del collo della bottiglia. Il riempimento fino all’orlo non ha effetti negativi se si sanitizza bene il tappo, e in questo modo riduci l’aria che rimane nel collo della bottiglia (il problema maggiore quando si imbottiglia). 2) Puoi aggiungere una punta di metabisolfito insieme alla soluzione di priming (15 mg/L). Come antiossidante, funziona abbastanza bene.

      Puoi fare anche entrambe le cose.

      • Grazie per i consigli Frank! Rempire la bottiglia fino all’orlo lasciando poco spazio alla parte gassosa non porta rischi di eventuale sovrappressione? Si fa tranquillamente?
        Per il metabisolfito invece, posso scioglierlo con lo zucchero e farlo bollire o va messo nello sciroppo una volta freddo? Subisce qualche modifica chimica bollendo a 100°c?

        Grazie!

        • Sinceramente non vedo necessità di bollire nemmeno lo zucchero, io lo sciolgo e basta. Non so se crea problemi bollire il metabisolfito, ma eviteri. Lo spazio vuoto nel collo della bottiglia serve per legge e per garantire un cuscinetto se la birra sovracarbona e viene scossa durante il viaggio, ma se le tieni in casa non c’è problema.

  2. Ciao Frank, più o meno quanti volumi di co2 servono minimo nella birra da imbottigliare per tappare agevolmente sulla schiuma? Se uso la spunding a fine fermentazione per arrivare a circa 1.5 volumi riesco a temperatura di cold crash a tappare sulla schiuma? Anche io ho itap e stavo valutando o pompa da vuoto o rifermentazione parziale come te,

    • Direi di sì: 1,5 volumi vanno bene. Diciamo che sulle belghe è più facile, perché puoi carbonare parzialmente a due e poi arrivare a tre con la rifermentazione. Ma anche 1.5 dovrebbe bastare per produrre la schiuma e tappare.

      • Grazie mille.
        Che poi tra l altro pensandoci bene, se poi devo rifermentare, tanto vale riportare la birra a temperatura ambiente quando devo imbottigliarla, così facendo dovrebbe far ancora meno fatica a creare schiuma.

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